Meditate ve lo suggerisce un discriminato che si ribella al letargo
Il decreto emanato il 27 marzo 2020 ha rinnovato il divieto per le persone che hanno compiuto 65 anni di recarsi personalmente a effettuare acquisti e la trasgressione è punita con una multa disciplinare di CHF 100 analogamente all`Ordinanza del Consiglio federale. Solo che in quell’Ordinanza, a parte l'ingiunzione a rimanere a casa (art. 10b), non è prevista sanzione alcuna per chi dovesse disattenderla. Di conseguenza, il divieto emanato contro (un divieto non può essere mai a favore) chi ha compiuto i 65 anni è contrario al diritto federale e quindi illegale, non potendo il Cantone arrogarsi maggiori competenze di quelle federali.
Il divieto è poi ingiusto. Come ogni limite calato dall’alto quello dei 65 anni è infatti più che opinabile, dato che fa astrazione dallo stato valetudinario delle persone e dal fatto che negli ultimi decenni le speranze di vita si sono, e di molto, allungate. Oggi come oggi un 70enne è come un 60enne di pochi lustri or sono, tant'è vero, ad esempio, che l'età della visita medica di controllo per i conducenti anziani è stata recentemente innalzata a 75 anni. Non solo. Dai dati della pandemia risulta che il coronavirus colpisce tutti, che la media delle persone infette è di 51 anni (www.swissinfo.ch) e che l'infezione si diffonde nelle case per anziani, dove vige il confinamento e l'isolamento. Il divieto è inoltre incoerente, consentendo di uscire di casa per svolgere attività motorie nel rispetto delle norme igieniche e distanze sociali, che sono identiche a quelle che valgono per chi si reca a provvedere. Per il che il divieto appare arbitrario. Il principio di proporzionalità avrebbe imposto di fissare delle fasce orarie in cui permettere l'accesso ai negozi, specie mattutine che sono più consone a chi è in là con gli anni e tendenzialmente si sveglia presto. Ma tant'è. Il divieto è stato diffuso come le gride manzoniane, rafforzato da misure da Stato di polizia e non di diritto, come il controllo dei documenti che oltretutto è di competenza solo della polizia (art. 7b Legge sulla polizia) perché costituisce una limitazione grave ai diritti fondamentali della libertà di movimento (art. 10 cpv. 2 Costituzione) e della protezione della sfera privata e dei dati personali (art. 13 Costituzione). Invece l'esibizione dei documenti di identità, che nessuno è obbligato a portare appresso (sentenza Tribunale federale 109 Ia 146 consid. 4b pag. 150), è stata demandata a zelanti “securini” appostati davanti ai negozi e sono apparsi cartelli di divieto d'accesso che fanno venire in mente l'ignominia di quelli esposti dai nazisti o dai segregazionisti. E su questo aspetto uno spunto di riflessione si impone. L'art. 8 cpv. 2 della Costituzione sancisce che nessuno può essere discriminato, in particolare a causa dell'origine, della razza, dell'età, ecc. L’art. 261bis Codice Penale punisce la discriminazione. Il suo capoverso 6 commina la detenzione sino a 3 anni o una pena pecuniaria a chiunque rifiuti a ad una persona o ad un gruppo di persone, per la loro razza, etnia o religione, un servizio da lui offerto e destinato al pubblico (cpv. 5). Il 9 febbraio di quest’anno è stata approvata in votazione popolare la modifica del disposto penale, aggiungendo l’orientamento sessuale come atto di discriminazione. Se quindi si è punibili per aver negato l'accesso al negozio a causa dell'orientamento sessuale del cliente, si dovrebbe anche esserlo a causa dell'età, che è altrettanto discriminante. Sembra paradossale e la norma penale non lo prevede, ma il diritto protetto costituzionalmente è identico.
Meditate dunque, ve lo suggerisce un discriminato che si ribella al letargo,