La direzione dell’Istituto di Previdenza del Cantone Ticino ha comunicato che il tasso di conversione delle rendite pensionistiche degli affiliati alla Ipct verrà ridotto progressivamente di un quinto a partire dal 2024 (dal 6,17 al 5%). Ciò comporta la riduzione del 20% del potere d’acquisto della più vasta cerchia di famiglie del cantone, ovvero quella del personale assoggettato alla cassa pensione citata. Non si dimentichi che nel corso degli ultimi anni il personale assoggettato all’Ipct ha già dovuto subire diversi pesanti peggioramenti. In particolare, con la riforma del 2012, le rendite di pensione sono già state ridotte del 20% a seguito del passaggio dal primato delle prestazioni al primato dei contributi. Inoltre, numerose altre misure di risanamento sono state poste a carico degli assicurati.
Spesso la politica ticinese bolla le rivendicazioni dei dipendenti pubblici e delle dipendenti pubbliche (nobilmente soprannominati fuchi dal Mattino della domenica) come inutili ed irriconoscenti dal momento che esse provengono da una categoria di persone privilegiate, ben remunerate e al riparo dai rischi di licenziamento. Ebbene, coloro che liquidano tale problematica in questo modo si dimenticano che gli affiliati alla Ipct costituiscono una platea ben più vasta del funzionariato pubblico e dei docenti: stiamo parlando di una fetta preponderante della classe media ticinese che, se spinta verso la povertà relativa, smetterà di incarnare l’ossatura economica del Paese e si ritroverà nella cerchia di famiglie, sempre più ampia, che sopravvive grazie ai sussidi di cassa malati.
È necessario ora più che mai che il futuro Parlamento cantonale si batta per un chiaro e deciso No alla riduzione del tasso di conversione Ipct.
Salviamo il ceto medio, per davvero.