Nell’immaginario collettivo gli anziani sono le persone in pensione, definizione che viene data anche dalla nostra legge secondo cui "sono considerate anziane le persone che hanno l’età per il diritto alle indennità di vecchiaia".
I tempi però sono cambiati e la cosiddetta terza età non è più sinonimo di quella fase della vita che porta a essere più fragili (situazione ormai demandata a una quarta età). Si tratta piuttosto di un momento della vita dove le persone hanno ancora tanto da dare e vanno ancora coinvolte come parte attiva della nostra comunità, per evitare situazioni di povertà, isolamento o l’ancor più triste solitudine. Solitudine per cui non esiste una vera e propria campagna di prevenzione ma che fortunatamente viene assistita dai molteplici servizi di appoggio e volontariato, dai centri diurni, dai servizi a domicilio presenti sul territorio e dai fondamentali famigliari curanti.
Quest’ultima categoria però si trova spesso a sua volta in una situazione di anzianità ed è quindi notevole lo sforzo che deve compiere per assolvere all’incarico di curante. Una politica più incisiva sul fronte conciliabilità famiglia-lavoro avrebbe a mio modo di vedere due vantaggi in questo caso, da una parte permettendo a parenti più giovani di farsi carico di queste mansioni senza dover rinunciare alla propria vita professionale e dall’altra permetterebbe alle persone anziane di restare al proprio domicilio più a lungo, lasciando alle case anziani presenti sul territorio il ruolo di "luogo di vita, dignità e benessere".