Prendo spunto dal "Manifesto for Maintenance Art" del 1969 di Mierle Laderman Ukeles, che in apertura definì "l’istinto di vita" così: l’unificazione, il ritorno eterno, la perpetuazione e la conservazione delle specie, i sistemi e le operazioni di sopravvivenza, l’equilibrio; e "l’Istinto di morte" come: separazione, individualismo, il seguire la propria strada, il fare le proprie cose.
Seguendo queste, pur parziali, definizioni, una visione progressista della società, così come si sta delineando all’interno dell’area rosso-verde, va indubbiamente in direzione di un istinto di vita. Chi invece proclama separazioni tra "noi" e "gli altri", tra più e meno meritevoli, e invita ad occuparsi molto di sé e poco degli altri, mette in atto un istinto di morte.
Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da una forte spinta verso l’individualismo e il successo personale. Le generazioni più giovani, invece, sono alla ricerca di un maggior benessere collettivo, spinti dal bisogno di conservare la specie che sta subendo le conseguenze dello sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali, e dalla richiesta di un diverso e migliore equilibrio nella propria vita. Ne è un esempio l’atteggiamento nei confronti del lavoro. Giovani, e meno giovani, lungi da "non aver voglia di lavorare", rifiutano il modello produttivo attuale se questo rende il lavoro insostenibile (salari, orari, ritmi, conciliazione, valori) e se comporta l’adesione a modalità di lavoro che portano all’aumento allarmante delle assenze per malattie a carattere psicologico (più 20% nell’ultimo anno in Svizzera). L’area progressista, impegnandosi per i più svantaggiati e concentrandosi sul senso da dare al lavoro, può contribuire a riformarlo riallineandone i valori con quelli delle nuove generazioni.