Dopo lo shock ‘bellico’ scendono fortemente petrolio, metalli, cereali. Ma dietro c’è il timore di una recessione
Magari non è il caso di essere troppo ottimisti sull’andamento dell’inflazione, però qualche schiarita c’è: in particolare, i prezzi delle materie prime sui mercati internazionali sono in sensibile calo. Da aprile i prezzi del rame, dell’alluminio, dello zinco, sono scesi del 30%, come pure quello dei cereali (grazie anche alla progressiva riapertura dei porti ucraini); la quotazione del petrolio greggio ha perso il 20%, il ferro addirittura il 40%. Una boccata d’ossigeno per molti settori produttivi, ma anche un piccolo contributo a controbilanciare l’effetto dei prezzi del gas, triplicati rispetto allo scorso anno. Cosa sta succedendo? E cosa dobbiamo aspettarci, nel mondo e qui da noi? Lo abbiamo chiesto a GianLuigi Mandruzzato, Senior economist di Efg Bank specializzato proprio nell’osservazione di questi mercati.
Quali sono i fattori che spiegano la contrazione rispetto alla primavera?
Il calo va letto alla luce dei forti aumenti precedenti, scatenati in buona misura dalla guerra in Ucraina, dato che la Russia e l’Ucraina stessa sono fornitori storici per questi mercati. Lo shock iniziale aveva aumentato il timore che le materie prime scarseggiassero, ed era partita una corsa agli approvvigionamenti che aveva fatto schizzare in alto le quotazioni. Ora questo timore si è un po’ ridimensionato, nonostante il conflitto perduri. Ma c’è dell’altro.
Cosa?
Le prospettive economiche si stanno deteriorando. La recessione attesa e la conseguente riduzione dell’attività produttiva portano le imprese a contenere la domanda di materie prime. In questo gioca un ruolo molto importante il perdurare delle rigide misure anti-Covid in Cina, che di fatto paralizzano una parte dell’economia. Un altro fattore importante in questo senso è l’aumento dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali occidentali, che funge di per sé da freno all’economia e all’inflazione.
Al ‘rilassamento’ dei prezzi contribuisce anche il superamento di alcuni colli di bottiglia nelle filiere di fornitura?
A livello di fornitura è soprattutto il calo dei costi di trasporto a calmierare l’inflazione: i prezzi dei noli marittimi sono scesi significativamente grazie alla maggiore disponibilità dei cargo e alla normalizzazione dell’attività portuale.
Con tutto che ci sarà probabilmente da affrontare una recessione, famiglie e imprese potranno almeno contare su un’inflazione meno violenta?
Attenzione, il calo del prezzo delle materie prime in generale è un segno positivo per l’inflazione, ma non è l’unico fattore in gioco: il prezzo del gas naturale è ancora altissimo ed è più che quintuplicato rispetto all’anno scorso. Questo incide anche sulla Svizzera, perché se è vero che la nostra energia dipende solo per l’1% dalle fonti fossili, l’elevata inflazione nell’area euro, all’8,9% e che potrebbe crescere ancora, si rifletterà sui beni che da questa importiamo. Inoltre gli scenari energetici restano molto volatili, anche perché la siccità degli ultimi mesi minaccia il potenziale dei bacini idroelettrici elvetici. Resta il fatto che il nostro Paese si trova in una posizione di vantaggio rispetto al resto d’Europa, anche perché l’apprezzamento del franco mitiga l’inflazione importata.
Quali sono le prospettive per il prezzo del gas?
Anche in questo caso abbiamo visto una corsa ai rifornimenti già lo scorso inverno, all’aumentare delle tensioni geopolitiche con la Russia, che ha innescato gli aumenti di prezzo. Oggi vediamo che gli stock – localizzati in grotte e depositi sotterranei in Europa – stanno migliorando, nonostante Gazprom abbia ridotto i suoi flussi al 20% dei volumi dell’anno scorso. Segno che la diversificazione delle fonti di approvvigionamento – con nuove forniture ad esempio da Norvegia e Nordafrica e gas liquefatto dagli Usa – sta funzionando, anche se i timori per nuove fasi di scarsità continuano a tenere alti i prezzi, e le incognite aperte dal conflitto in corso restano tali.
Come potrebbe leggere la discesa dei prezzi delle materie prime l’industria ticinese?
In generale il loro calo è sempre una buona notizia, consolidata dall’apprezzamento del franco visto che parliamo di beni quasi esclusivamente d’importazione. Questi fattori contribuiscono a contenere i costi di produzione e migliorare dunque la sostenibilità finanziaria.
Che però dovrà scontare l’effetto del franco forte sulle esportazioni. Inoltre il Ticino, in particolare Lugano, è anche un importante centro per il commercio di materie prime. Il calo dei prezzi minaccia il settore?
Non direi, quello delle materie prime è un settore storicamente volatile, credo che per i trader certe fluttuazioni facciano parte del gioco.
Cala infine anche il petrolio greggio. Il pieno ci costerà meno?
La tendenza dovrebbe essere quella. Già vediamo che i prezzi alla pompa negli Stati Uniti sono scesi del 20-25%, e sono in calo anche i margini ‘caricati’ dalle raffinerie. Di solito, il prezzo della benzina in Svizzera segue la scia americana ed europea.
Infografica laRegione, dati Corriere della sera, immagine Depositphotos