Il rincaro di carburante e materie prime colpisce solo in parte il budget della famiglia-tipo, che teme semmai quello dei costi di abitazione
"Potrebbe andare peggio, potrebbe piovere". Oppure – con un’aggiunta alla celebre battuta di ‘Frankenstein Junior’ – potremmo trovarci con l’inflazione di Italia e Germania. È il primo pensiero che viene in mente leggendo lo studio appena dedicato dall’Ufficio di statistica all’aumento dei prezzi, che ci dice anzitutto una cosa: quelli dei singoli beni e servizi fluttuano qui come altrove, franco più franco meno, ma le merci maggiormente interessate dall’inflazione incidono sui nostri budget meno che nei Paesi confinanti. Se a ciò si aggiunge il fatto che il franco è una valuta-rifugio – tende cioè ad apprezzarsi in situazioni di crisi rispetto alle altre monete, rendendo le importazioni più economiche – e che la Confederazione mantiene un certo grado di indipendenza energetica, ecco spiegato perché il carovita in Svizzera si ferma sotto la soglia del 3% su base annua, contro il 7-9% dei Paesi confinanti. Parliamo comunque di circa 3mila franchi in meno all’anno a disposizione di una famiglia media, stando ai dati dell’Unione sindacale svizzera, e sempre che il sistema internazionale non ci riservi altri acquazzoni.
‘Il rebus dell’inflazione è anche una questione di pesi’, recita già dal titolo lo studio dell’Ustat: da noi, a pesare maggiormente sui conti a fine mese è l’abitazione (26% tra affitto e riscaldamento, fortunatamente con una quota minima dipendente dal gas). «Rispetto ad altri Paesi», spiega l’autore dell’analisi Eric Stephani, «ha un’incidenza preponderante l’affitto, che inizia a evidenziare segni di risalita, i quali però al momento sono ancora inferiori a quelli mostrati dall’Indice dei prezzi al consumo (Ipc)». Così, anche se il prezzo del gasolio da riscaldamento è aumentato del 111% dal dicembre 2020 e quello della benzina del 48%, la situazione è meno drammatica rispetto all’Italia, dove un pieno e la bolletta del gas portano via una fetta ben maggiore del reddito medio (vedi tabella).
Tuttavia il Ticino si potrebbe trovare in una posizione particolarmente vulnerabile, almeno se lo paragoniamo alla realtà oltre Gottardo: «I salari inferiori – come pure la quota maggiore di persone pensionate – fanno sì che a livello cantonale vi siano più economie domestiche nella fascia a basso reddito», nota Stephani: «Tramite l’indagine sui redditi e i consumi delle economie domestiche (Ibed) sappiamo che sono le economie domestiche coi redditi più bassi a indicare uno sbilanciamento della spesa verso i beni primari, tra cui prodotti alimentari e alloggio, rispetto a beni secondari e risparmi. Di conseguenza, come emerso in altri Paesi, l’andamento dell’Ipc potrebbe avere un aumento maggiore per le economie domestiche a basso reddito».
Peraltro, è possibile che i rincari dovuti ai costi di trasporto e ai colli di bottiglia nella fornitura di materie prime e semilavorati si ripercuotano prima o poi anche sugli affitti, vero elefante nella stanza della spesa svizzera: «L’aumento dei prezzi dei combustibili e dei materiali da costruzione incide già sulla realizzazione di nuovi edifici, e potrebbe presto avere un impatto sul mercato immobiliare. A questo si aggiungono la possibilità di indicizzare gli affitti all’Ipc e l’aumento dei tassi di riferimento deciso dalla Banca nazionale svizzera. (Giovedì scorso la Bns ha alzato di mezzo punto percentuale il tasso di riferimento, ndr.) Tutto questo potrebbe comportare un ulteriore aumento delle spese per i proprietari e di conseguenza per gli inquilini».
In ogni caso, secondo Stephani «la situazione è in costante evoluzione e non è facile prevedere cosa accadrà nei prossimi mesi». Anche perché se è vero che il prezzo del cibo – che nel paniere tipo pesa per il 12,6% dei consumi totali – ha ‘strappato’ solo dell’1,3% rispetto a dicembre, a maggio l’aumento si è fatto più ripido e presto potrebbe finire per incorporare anch’esso il maggior costo dei trasporti, oltre alle incertezze sulle forniture internazionali legate anche al conflitto in Ucraina.
Sempre restando ai trasporti – delle persone, stavolta – essi incidono mediamente per l’11% sulle spese famigliari: oltre al carburante, a causa dei problemi di forniture è aumentato il costo delle auto nuove (+5,5% nel 2021 su base annua) e usate (+14,6%), una tendenza confermata nei primi mesi di quest’anno, che però potrebbe risolversi nel corso dell’anno man mano che vecchie e nuove filiere raggiungeranno la piena operatività. Per ora, comunque, sono proprio i trasporti a penalizzare in modo più evidente il potere d’acquisto.
In generale, conclude Stephani, «la Confederazione, tramite la Segreteria di Stato dell’economia (Seco), teme anzitutto uno scenario: una crescita dell’indice dei prezzi al consumo in un momento di rallentamento economico (nello scenario peggiore, prezzi che salgono del 2,8% contro il +2,4% di Pil per il 2022, ndr). Una prospettiva piuttosto inconsueta, visto che normalmente la crescita dei prezzi accompagna la crescita economica, in particolare quando questa è spinta dalla crescita dei consumi».
Ma come viene calcolata l’inflazione? In breve, e tagliandola un po’ con l’accetta: si svolge un’indagine nazionale coinvolgendo circa 3mila economie domestiche, chiedendo loro di contabilizzare con precisione le proprie spese e il reddito. Questo permette di capire quanto i diversi tipi di consumi pesino sul bilancio complessivo della famiglia ‘media’ e di ponderare di conseguenza l’incidenza dei prezzi di ciascuna categoria, il cui andamento viene misurato rilevando quelli di circa 100mila beni e servizi (costantemente attualizzati a seconda delle esigenze, ma in modo tale da permettere il confronto storico). In pratica, è come se si disegnasse un carrello della spesa archetipico e poi si andassero a leggere i prezzi su ciascun prodotto che vi si trova, facendo il ‘conto’. Salvo alcune eccezioni, spiega Stephani, «sono compresi nel paniere tutti i beni per i quali una famiglia spende mediamente almeno 6 franchi al mese». Quello che se ne deriva è un Indice generale dei prezzi al consumo (Ipc) adeguato di volta in volta all’evoluzione della spesa reale, diviso in sottoindici quali generi alimentari e costi d’abitazione. Inoltre, è possibile armonizzare tale indice per facilitare il confronto internazionale.
A differenza che in altri Paesi, in Svizzera non è effettuata una misurazione differenziata per le diverse fasce di reddito, cosa che aiuterebbe a misurare meglio ‘vincenti’ e ‘perdenti’ per ogni specifica fase di andamento dei prezzi. Peraltro l’indice dei prezzi al consumo, vista anche la sua complessità, si calcola solo su base nazionale e non cantonale. Infine non rientra nel paniere l’assicurazione sanitaria, perché, per definizione, l’Ipc monitora i prezzi dei beni e dei servizi, come ad esempio un consulto medico o un’operazione, mentre secondo l’Ufficio federale di statistica l’evoluzione dei premi che osserviamo da anni non dipende tanto dall’aumento dei prezzi di determinate prestazioni – un’operazione chirurgica, un ricovero – ma piuttosto dalla frequenza con la quale vi si ricorre. Questo, insieme al costante complicarsi dell’offerta di servizi sanitari e al fatto che l’assicurazione è un trasferimento forfettario – e non un prezzo pagato ‘on demand’ per le singole prestazioni –, rende impossibile guardare ai premi per misurare la pura evoluzione dei prezzi nel settore sanitario. Si ovvia (parzialmente) al problema prendendo in considerazione solo le tariffe di certi servizi sanitari e il prezzo dei farmaci. Le spese per la salute risultano comunque pesare per il 17% sul budget della famiglia-tipo, seconde solo a quelle per l’abitazione (26%) e davanti alle spese per alimenti e bevande analcoliche (12%).