laR+ L’intervista

Enzo Decaro, l'autostrada dell’arte tra i De Filippo e Molière

Il 19 dicembre al Cinema Teatro Chiasso con ‘L’avaro immaginario’, le ‘carrette dei comici’ tra Napoli e Parigi in un Seicento ‘buio ma non troppo’

Nello spettacolo da lui scritto e diretto
18 dicembre 2024
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In Francia è Scaramouche, ma il nome vero sarebbe Scaramuccia. Per quanto non sia stato il primo a interpretarlo, a rendere popolarissimo quel personaggio della commedia dell’arte fu il napoletano Tiberio Fiorillo, che un giorno se ne andò da Napoli in Francia. Non è dato sapere come e perché, ma potrebbe essere salito su una di quelle “carrette dei comici” che in un burrascoso Seicento di guerre ed epidemie, ma anche di genio creativo di alcuni, percorrevano il tragitto Napoli-Parigi. Come Oreste Bruno e famiglia, teatranti in viaggio sulle orme di Molière.

La “carretta dei comici” fu immagine e storia tanto cara a Peppino e Luigi De Filippo, così Enzo Decaro porta in scena la curiosità che a un certo punto della loro carriera spinse i due, padre e figlio, a confrontarsi con il teatro di Molière. Lo fa fondendo ‘L’avaro’ con ‘Il malato immaginario’, che diventa ‘L’avaro immaginario’, con Decaro alla regia ma pure sul palco insieme a Nunzia Schiano, e con Luigi Bignone, Carlo Di Maio, Roberto Fiorentino, Massimo Pagano, Fabiana Russo e Ingrid Sansone della Compagnia Luigi De Filippo. Questi sette quadri, più un prologo e un epilogo, andranno in scena domani alle 20.30 al Cinema Teatro Chiasso, con musiche tratte da ‘Le Molière Immaginaire’ di Nino Rota. Attore, sceneggiatore e cabarettista italiano che nella Smorfia, con Massimo Troisi e Lello Arena, ha riscritto la comicità napoletana, Decaro sta percorrendo anch’egli, ma più comodamente, una “autostrada dell’arte”, che da Modena, sede di due repliche, lo porterà a Chiasso.

Enzo Decaro: come s’incrociano i De Filippo con Molière ?

Questa sorta di viaggio letterario li include entrambi, benché i primi a percorrerlo siano stati gli artisti sopra quelle “carrette” che tanto affascinarono soprattutto Peppino De Filippo, che li ha raccontati nel loro percorrere questa ‘autostrada dell’arte’ che da Napoli andava verso Parigi, spesso senza ritorno visto che gli attori, in fuga dalla dominazione spagnola, venivano accolti a corte. Più recentemente, Peppino e il figlio Luigi avevano esplorato il mondo di Molière e questo ha acceso in me la curiosità di andare a vedere da vicino che cosa li avesse mossi a scrutare, a sentire così vicino e contiguo il mondo di alcuni personaggi del grande drammaturgo francese.

E dove l’ha portata la sua curiosità?

In un Seicento che al di là di quel che ci viene insegnato in quelle poche, confuse e approssimative nozioni scolastiche, è un tempo che ha molti aspetti simili al nostro, un tempo principalmente buio, di confusione, di grande smarrimento, di guerre che iniziano finiscono e ricominciano, di crudeltà diffusa e spesso impunita, ma anche un secolo di grandi menti, di grandi luci: settant’anni prima della morte di Molière, nello stesso giorno moriva Giordano Bruno, che è presente nel nostro viaggio. Il Seicento è il tempo di Cervantes, di Calderón de la Barca, un tempo dalle tinte oscure, di tanto in tanto rischiarato.

Il Seicento epoca in cui – citiamo dalle note di regia – ‘la Compagnia arriva nei pressi di un centro abitato, il carretto viaggiante diventa palcoscenico’ e ‘si fa il Teatro’. E col teatro ‘si riesce anche a mangiare’…

In particolare negli ultimi decenni non si è fatta grande politica di aiuto al teatro inteso come professione. Evidentemente il teatro non è ancora, o non è più considerato un valore importante per possibilità di comunicazione, pensiero, progresso civile continuo. Nemmeno se il pubblico la pensa diversamente, perché soprattutto dopo la pandemia troviamo i teatri pieni, che sono la testimonianza di una necessità fisica di incontro, di ascolto. Il teatro di oggi come posto del pensiero è forse l’aspetto più carente, mentre nel Seicento era tutto molto più letterale: chi al tempo possedeva un po’ di commedia dell’arte o arte della commedia, come i nostri protagonisti, nel teatro riusciva addirittura a trovare sostentamento, portando in ogni luogo la sua magia ma anche la musica, ignota alla maggior parte della popolazione. Lungo questa autostrada Napoli-Parigi c’era realmente la possibilità di sostentarsi fisicamente e non solo nello spirito, il che è qualcosa di molto eroico.

Questo fondere due opere insieme, l’inglobare la figura di Giordano Bruno, che nello spettacolo è lo zio prete del protagonista Oreste Bruno, pare conferma di un’autostrada, la sua, fatta di sperimentazione che le è propria sin dai tempi della Smorfia, un giocare con temi e generi che sparigliò le carte…

La mia può essere una ricerca che ogni volta approfondisce, nella quale possono cambiare i protagonisti, le stagioni. Si cercano motivazioni artistiche e letterarie più classiche e nello stesso secolo, come in questo caso, viene da imbattersi nel pensiero di Giordano Bruno, un uomo troppo avanti per il tempo che ha vissuto ma anche rispetto al tempo che noi stiamo vivendo. Ci si domanda spesso da quale pianeta sia scesa una persona con tale chiarezza e tali pensieri che sono ancora al di là dall’essere minimamente raggiunti, sfiorati o compresi.

A proposito di quel carretto che diventa palcoscenico: anche lei è dell’idea che il palcoscenico sia ovunque?

Sì, malgrado certa politica tenda ad accentrare il grosso delle risorse nei grandi centri di produzione nazionale, nei teatri stabili, penalizzando quell’atto spontaneo che è il teatro, sia in offerta che in ricezione. Il comporre a tavolino, l’algoritmo, con il teatro non funziona bene, servono un’idea e un gruppo di persone che decidono di portarla avanti. Serve, come nel nostro caso, trovare una corrispondenza d’ascolto in un pubblico sempre più bombardato, rimbambito dall’eccesso, da un rumore quasi osceno legato al numero, alla quantità, dal quale è difficile isolarsi. Devo invece constatare che il teatro è ancora un luogo di incontro, di scambio, e dove c’è sempre qualcosa da apprendere reciprocamente.

Il sogno di Ottavio Bruno è quello di incontrare Molière. Lei ne ha uno irrealizzato?

Mi basta il grande privilegio di potermi misurare, anche solo sulla scena, con il pensiero di questi grandi del teatro, pensieri profondamente umani, fuori dal tempo e, per questo, di ogni tempo. Questo privilegio ho la fortuna di viverlo ogni sera, e di condividerlo con chi viene a teatro.