Un uomo segnato dalla vita ma senza età, che regalava fiducia nel mondo. L’incontro con la malattia del secolo nella Real Story di Daniele Bernardi
A Lugano, a metà anni 90, era impossibile per uno studente delle superiori non incontrarlo. Che Albi avesse avuto una vita travagliata glielo si leggeva in volto, ma era impossibile quantificarne l’età. Nel 1997, Daniele Bernardi aveva 17 anni, nell’aria “c’era una strana elettricità” che gli faceva credere che “tutto fosse possibile”. A Lugano, “Albi era l’amico di tutti e di nessuno”, e tutti sapevano della sua malattia.
‘Droga, yoga ed HIV’ è un racconto radiofonico che arriva con la Giornata mondiale della lotta all’Aids. Dal 1° dicembre sarà ascoltabile su www.rsi.ch/drogayogahiv e Spotify (e su Rete Due, all’interno di ‘Colpo di scena’, dal 2 al 6 dicembre alle 20), nel suo intersecare la giovinezza del futuro autore-attore-regista Bernardi (sue le parole di cui sopra, dalle note di presentazione) con quella di Albi, che giovane lo era stato tra i primi 70 e gli 80. Sullo sfondo, la malattia del secolo, il ventesimo. Lunedì 2 dicembre alle 17.30 poi, alla Locanda della Masseria, Zonaprotetta in collaborazione con Audiofiction Rsi (che lo ha prodotto) presenta il podcast in questione, scritto e diretto da Bernardi e inserito nelle ‘Real Story’ della Rsi, autori scelti che raccontano un fatto della propria vita. Oltre a Bernardi, parteciperanno all’incontro Vincenza Guarnaccia, coordinatrice di Zonaprotetta, Enos Bernasconi, Direttore medico Servizio di malattie infettive Eoc, e Flavio Stroppini, autore-regista Audiofiction Rsi.
Daniele Bernardi: chi era Albi?
Albi si aggregava ai capannelli di ragazzi che si formavano nei parchetti o per strada, soprattutto in Piazza Dante. Erano i giorni dell’occupazione del Molino, della piena esplosione del fenomeno dei canapai, girava molta erba, Internet era una cosa innocua e ancora c’era molta discussione, molta musica. Albi arrivava a noi attraverso la cultura legata allo yoga, ma anche portando con sé il racconto della sua malattia. Noi ragazzi vivevamo lo smarrimento esistenziale tipico dell’età, ma pure quello di anni non facili, durante i quali molti miei coetanei si sono persi per strada. Il biglietto da visita di Albi era una piccola foto di una personalità indiana chiamata Madre Meera, che dava a tutti noi. Di questa donna ci faceva dono pure dell’indirizzo postale, invitandoci a rivolgerci a lei per qualunque tipo di richiesta. Al di là della particolarità della figura, anche un poco assurda, la cosa interessante era che ai nostri occhi smarriti questo adulto un po’ bambino riusciva, attraverso il suo racconto, a farsi garante di una possibilità di futuro, di un sogno d’avvenire. Albi era un residuo di anni 70 che nutriva le nostre speranze.
Per parlarne adesso in modo così accorato, Albi deve averti segnato in modo profondo...
Ha segnato me e tanti altri. Albi è il mio incontro con l’Aids, con cui la mia generazione è cresciuta. Ero bambino negli anni del terrore, dell’allarme mediatico, ed ero atterrito dalla malattia, dal contagio che passava attraverso il sangue, la sessualità, da quel suo essere il morbo dei reietti, dei diversi, dei tossici, degli omosessuali, di chi aveva comportamenti sessualmente strani. La paura non mi abbandonò fino all’inizio dell’adolescenza nemmeno se le informazioni diventavano via via più chiare. La mia mente di fanciullo faceva dei tali voli pindarici che mi convincevo di possibilità di contagio assurde.
Le zanzare?
Peggio. Ricordo di aver sentito al Quotidiano che si prendeva l’Aids limonando! Dunque conoscere Albi fu da un lato estremamente tranquillizzante. Per quanto sull’Aids dicesse anche una certa quantità di cose sbagliate, allo stesso tempo ha sfatato la mostruosità che ci atterriva per mostrarcela nella sua concretezza, anche solo spiegando ad alcuni di noi la differenza tra sieropositivo e malato di Aids. Albi ha rappresentato anche l’incontro con la cultura indiana, che lui portava attraverso Sri Aurobindo, autore straordinario che si muoveva a cavallo tra la poesia, la lotta politica e lo yoga. Nell’epoca dell’evaporazione del padre, già iniziata da tempo, Albi a Lugano era la presenza, era ‘colui che c’è’. E in fondo cos’altro è un genitore se non colui che c’è?
Quello di Albi è un soggetto talmente potente che da domani mattina meriterebbe una pièce teatrale. Perché un podcast?
Per l’interesse di Audiofiction Rsi, la mia Real story si aggiunge a quella di Olmo Cerri sulla canapa, a quella di Flavio Stroppini sul suo compagno di classe Loris, assassinato da bambino, e ad altre ancora. Sono stato abitato a lungo da questo racconto e subito ci ho pensato quando mi è stato proposto di realizzare un podcast. Negli anni avevo già provato a scrivere sull’argomento, ma non ero mai soddisfatto, anche perché Albi era un fantastico raccontatore di storie. Già da ragazzino mi dicevo che su di lui si sarebbe dovuto fare un fumetto, un romanzo.
Da quali fonti hai attinto?
Ho molto materiale, fotocopie, volantini, lettere, poesie, racconti personali e ricordi di amici. Quando Albi è morto, nel 2012, ho scoperto un suo blog in rete, lasciato in abbandono. Lì, nero su bianco, ho trovato tracciato il tragitto della sua vita. Allora ho immaginato che il blog potesse essere la linea guida della narrazione e che dovesse apparire nel podcast come un’astronave, perché Albi diceva che tre cose gli avevano cambiato la vita: l’anarchia, la fantascienza e Sri Aurobindo. Ho pensato che incrociare il mondo dello yoga con la fantascienza potesse creare un immaginario bellissimo.
Il podcast ci riporta all’epoca del contagio per eccellenza, per molti la risposta divina a noi peccatori irredimibili. Com’è che di Aids non se ne parla più?
Dipende da Paese a Paese. In Svizzera se ne parla ancora, in Italia il problema mi pare ignorato. È anche vero che, se curati per tempo, oggi si può avere una vita dignitosissima senza contagiare nessuno, pure senza l’utilizzo di contraccettivi. Così com’è vero che ora ci si può proteggere, se sai che avrai un momento sessualmente a rischio, attraverso la PrEP, vale a dire l’assunzione preventiva della terapia. Comunque l’Aids circola ancora e io ne voglio parlare anche per capire cosa ci siamo lasciati alle spalle sia tanto tempo fa che l’altro ieri, con il Covid.
Non è che l’Aids non è più ‘di moda’?
Forse sì. Sull’Aids sono usciti film, fumetti, romanzi, però credo sia interessante ragionare su di esso in rapporto alla pandemia: confrontata a quel contagio più lontano nel tempo vediamo che quest’ultima ha avuto caratteristiche simili: con l’Aids era “colpa dei froci, dei tossici”, ma anche nel Covid la persona che contagiava era un colpevole. Ciò detto, col mio lavoro ho voluto celebrare, nella figura di Albi, chi paradossalmente, da ‘bandito’, si fa garante di una parola di fiducia verso il futuro per le giovani generazioni. Mi chiedo se mai, oggi, nel piccolo di qualche peculiare realtà, arriverà un Albi a dar fiducia ai ragazzi del mondo. Albi, che era tutt’altro che una persona da idealizzare, ma la cui funzione, in quel determinato contesto degli anni 90, fu per molti decisiva.