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Libertà pianistica di Sergio Cammariere

I mondi musicali più diversi sdoganati da ‘Tutto quello che un uomo’, una canzone ‘arrivata, forse, dal cielo’. Il primo febbraio al Teatro di Locarno

Piano solo, al Teatro di Locarno. Biglietti su www.biglietteria.ch e www.ticketcorner.ch
9 dicembre 2024
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Il Tubo non ne ha traccia, ma il pianista, compositore, cantautore Sergio Cammariere, archivista audio/video che della propria vita dispone di ampie testimonianze analogiche («già convertite in digitale», assicura), ne serberà senz’altro una copia. È un’esecuzione di ‘Sorella mia’ al concerto del Primo Maggio di Roma del 2003. Il brano apriva ‘Dalla pace del mare lontano’ prima che ‘Tutto quello che un uomo’, piccolo capolavoro della canzone jazzata, conquistasse un sorprendente terzo posto al Sanremo di quell’anno. Sorprendente per i destini della canzone jazzata nel tempio della musica leggera italiana, di cui il pianista crotonese segnò un passaggio a suo modo rivoluzionario. ‘Sorella mia’, col suo tema struggente di pianoforte, e l’intero set romano dello chansonnier, sanciva, rimarcandola, l’esistenza di un pianoman capace di unire melodia e virtuosismi, canzone italiana e jazz. Insomma: roba buona.

Che Cammariere, classe 1960, fosse una realtà se n’erano accorti molto prima i puristi del Tenco, ma ci sarebbe voluto il Festival per rilanciare quell’album, che regala anche ‘Tempo perduto’, ‘Via da questo mare’, ‘Le porte del sogno’, il manifesto ‘Vita d’artista’ (“Vivere d’arte, che vita da cane”) e ‘Cantautore piccolino’, dichiarazione di umiltà in rima (“confrontato a Paoli Gino”) ridimensionata nel tempo dal successo di Sergio. Dopo quella notte romana, di lì a qualche mese sarebbe arrivato ‘Sul sentiero’, aperto da un pezzo in sei (‘Libero nell’aria’) che Radio DeeJay (che non è esattamente Radio Swiss Jazz) mise in alta rotazione; sarebbero poi arrivati ‘Il pane, il vino, la visione’, ‘Carovane’, altri premi Tenco, altre musiche dal mondo e per il cinema, fino a ‘Una sola giornata’ (2023), ultimo album d’inediti. Più un paio di album piano solo – ‘Piano’ (2017) e ‘Piano nudo’ (2021) – che ci portano fino al Teatro di Locarno, sabato primo febbraio 2025, suo unico concerto svizzero (special guest al violoncello Giovanna Famulari, prevendita su www.biglietteria.ch, www.ticketcorner.ch).

Sergio Cammariere. Le note promozionali del concerto parlano del pianoforte come “prolungamento del suo essere”, dove l’essere è il tuo e il pianoforte anche. Il piano solo è forma nella quale non ci si può nascondere e forse in cui meglio ci si può raccontare…

La penso anche io così. È un concerto più intimo, delicato, lo strumento accompagna la voce, si realizza quella sottrazione, quella pulizia, l’ordine e la misura rendono il concerto irripetibile. Il gruppo, certo, regala più improvvisazione, porta verso il jazz, il latin jazz e altrove. Da solo è diverso, ma in fondo le canzoni sono nate al pianoforte. E a parte le canzoni, questo concerto mi dà la possibilità di eseguire tre-quattro brani strumentali che vengono dai miei due dischi di solo piano, che sono stati un compendio, con dentro alcune miniature da lungometraggio, qualcosa di familiare per me che ho lavorato tanto con il cinema.

‘Libero nell’aria’ (Rizzoli) è anche il titolo della tua autobiografia, che include i giorni da pianista di pianobar all’Hotel Palace di Milano, anni in cui il pianobarista, prima delle tastiere e dei midi file, doveva saper suonare davvero…

Il pianobarista è stata una figura dignitosissima, poi il karaoke ne decretò la fine. Sì, nel libro descrivo quel momento come un passaggio importante della mia vita. Ero partito dalla Calabria per andare a fare l’università a Firenze, che non ho finito perché suonavo; un giorno entrai nell’agenzia che mi mandava nei grandi alberghi a suonare, la Coppini e Sonatori di Bagno a Ripoli, eravamo in molti, il mio amico Stefano Palatresi, Leo Sanfelice. Mi capitò di suonare anche al Grand Hotel di Rimini, tanto amato da Fellini. Arrivai al Palace di Milano dal Golf Hotel di Campo Carlomagno, a Madonna di Campiglio, sbarcando nella metropoli come un emigrante, con la tastiera e l’impianto Montarbo richiudibile: feci una specie di audizione e fui regolarizzato contrattualmente.

‘Vita d’artista, senza illusioni / Vivendo i sogni nelle canzoni’…

Vita da pianista negli hotel, un ruolo da tapeur. Il pianista se stava un po’ per i fatti suoi, ogni tanto veniva ascoltato, ogni tanto no. Ero libero di suonare gli standard americani, la bossanova, le canzoni napoletane, il repertorio italiano; malgrado la scarsa attenzione, provavo la soddisfazione di vivere di musica ed essere autonomo, senza dover chiedere soldi a papà e mamma. In quegli anni ho anche avuto un bar, a un certo punto ero pianista di pianobar nel mio bar, dove servivo anche i cocktail, la conquista inaspettata di un ragazzo pieno di sogni.

Il successo arriva molto in là nella tua carriera, e non dalla mattina alla sera…

Ho raggiunto la popolarità a 43 anni, un’età relativamente tarda, inconsueta. Prima di quel disco erano accadute tante cose. Le prime canzoni intorno ai vent’anni, il primo disco, la colonna sonora del film intitolato ‘Quando eravamo repressi’ di Pino Quartullo, vinile oggi introvabile, che ho firmato come ‘Stress: Sergio Cammariere!’, nome con il quale facemmo diverse cose per il cinema. Componevo canzoni con i miei amici, che mi aiutavano a scrivere i testi, parte nella quale ho lacune. Poi, alla It di Vincenzo Micocci, è avvenuto l’incontro con Roberto Kunstler. Da allora non ci siamo mai separati.

Come lavorate? Uno al piano di sopra e l’altro a quello di sotto, come Elton John e Bernie Taupin?

È un work in progress continuo. Con Roberto non ci vediamo da quindici anni, lavoriamo molto al telefono, quotidianamente, perché così deve essere. Abbiamo forse un centinaio di canzoni inedite, che per l’80 per cento scartiamo prima di assemblare un nuovo disco, sul quale lavoriamo di solito per un anno.

Otto anni dopo ‘I ricordi e le persone’, primo disco di canzoni, arriva l’album di riferimento, ‘Dalla pace del mare lontano’, e il ‘cantautore piccolino’ non è più piccolino…

Buona parte di quelle canzoni nacquero già alla fine degli anni Ottanta e trovarono le giuste parole più tardi. Scrivevo con gli amici Luca Lionello e Gianmarco Tognazzi. ‘Le porte del sogno’, per esempio, s’intitolava ‘Fermi piano’, un pezzo che piacque tanto a Paola Turci, amica di Gianmarco, che ascoltò il provino e volle cantarlo. Alcune parole di quella prima versione sono rimaste, “Giro giro, tremo tremo”. Un altro brano scritto nel 1988 è ‘Partenze senza arrivi’, una bossanova che ha cambiato quattro volte il testo, per essere pubblicata poi nel secondo album come ‘Ferragosto’, con le parole di Samuele Bersani. Il testo originario era di Luca Lionello, poi ci hanno riprovato Sergio Bardotti, Kunstler. Ho atteso anni prima che Samuele mi regalasse la versione definitiva.

Nel 2003, il disco torna nei negozi aperto da una nuova canzone, ‘Tutto quello che un uomo’, e da lì nessuna pausa tra un disco e l’altro più lunga di due o tre anni…

Potrei chiamarla ‘congiunzione cosmica’, ma l’espressione sarebbe un’altra, più colorita. Avevo avuto una militanza, avevo vinto un Premio Tenco, poi ero riuscito a mettere quel disco nelle mani di Pippo Baudo. Le canzoni avevano già dieci anni: ‘Sorella mia’ era nata sette anni prima, ‘Tempo perduto’ nel 1995, quella che sarebbe diventata ‘Le porte del sogno’ di anni ne aveva dieci. Già le suonavamo dal vivo. Nel 1999 all’Alexander Platz di Roma era nato il mio trio con Luca Bulgarelli e Amedeo Ariano, altri due punti fermi della mia carriera.

Il disco fu cantato e suonato praticamente live, poi venne Alex Britti a mettere delle chitarre, Fabrizio Bosso a mettere la tromba. Il primo pezzo registrato fu ‘Il mare’ (cover di ‘La Mer’ di Charles Trenet, ndr). Fu una specie di buona la prima, e il fatto che a tante persone quel disco sia rimasto dentro, io me lo spiego così. Poi arrivò la Emi, poi Sanremo: Pippo mi chiamò, avevo la canzone nata da pochissime settimane, che non so da dove sia arrivata, forse dal cielo.

‘Tutto quello che un uomo’ momento reality: come è nata, dove, che tempo faceva...

L’aneddoto è il consueto, ma va sempre raccontato. Quando nasce una melodia, spesso sono le parole a fornire l’input, e invece per ‘Tutto quello che un uomo’ nacque prima la musica. È più difficile mettere parole sensate sopra una melodia preesistente, è lì il grande lavoro fatto con Roberto, un lavoro di suono, di senso, evitando aporìe. Il giorno in cui la canzone nacque, feci sentire a Roberto quella serie di note (le note di ‘Se non fosse per te crollerebbe il mio cielo’, ndr) pronunciando un gramelot, e con Roberto le prime parole che nacquero furono “Interrompo il digiuno con quattro biscotti” (ride, ndr). Roberto è così, è un genio della parola, e poi arrivò la strofa finale, scritta di getto, “tu sarai la regina dei miei desideri”. Tutto il resto mancava, compresa l’introduzione. Il titolo è stato per un po’ ‘Come un piccolo principe’, poi, a pochi giorni dall’incisione, uscì quello definitivo.

Vent’anni più tardi, nel 2023, Mina la canta in ‘Ti amo come un pazzo’. Mina è davvero un punto di arrivo per un autore di canzoni?

Sì, sia per me che per Roberto è stato una sorta di premio alla carriera, per quanto avessimo già scritto canzoni per altri interpreti, come ‘L’azzurro immenso’ per Ornella Vanoni, per esempio. Ma Mina è sempre Mina, la più grande di tutti.

‘Tutto quello che un uomo’ riporta al Sanremo degli Avion Travel, di Stefano Di Battista, Nicky Nicolai, l’acustico sanremese che è sparito. Insomma, il jazz non frequenta più il Festival…

Considero le venute dei crooner a Sanremo come degli incidenti. Ricordo Johnny Dorelli, qualche anno prima di me con un pezzo coraggiosissimo, ‘Meglio così’, scritto da Giorgio Calabrese; ricordo Nicola Arigliano, la bandiera dei crooner, che canta ‘Colpevole’ (edizione 2005, ndr). Il mio è stato un caso, credo di avere aperto una porta, a Stefano (Di Battista, ndr), a Simona Molinari, a Raphael Gualazzi.

Sanremo è una ‘situescion’, come la chiami tu, che ti manca?

Se avessi 25 anni di meno, sì. Già a 43 è stata dura. Oggi per fare Sanremo devi essere un atleta. Tornai a Sanremo nel 2008, ma Pippo premeva perché vi tornassi già nel 2006; andavo nel suo studio in via della Giuliana a fargli sentire i miei provini, provai con ‘I quadri di ieri’, ma non arrivava mai il pezzo giusto; poi è arrivato ‘L’amore non si spiega’ e quando sono tornato al Festival è stato un film. A Sanremo è impossibile dormire, è come entrare in una lavatrice. È una situescion che prima o poi potrà ricapitare, non lo escludo. Sicuramente non nell’immediato.

Non abbiamo ancora parlato della tua parentela con Rino Gaetano…

Frequentammo la stessa casa discografica, la It, sebbene a distanza di qualche anno. Scoprii che era mio cugino quindici anni dopo la sua morte, una cosa cinematografica. La Film Commission Calabria si era molto interessata a un mio documentario su di lui, poi per una serie di motivi la situazione è saltata, ma possiedo molto materiale, tra cui una bellissima scena con la mamma di Rino che mi racconta del figlio.

Ti sei speso in mondi musicali tra i più diversi, come vivi questo momento storico? Ma soprattutto, cosa ascolti?

Sono ancorato a cose del passato, ma annuso quel che gira intorno. Grazie alla tecnologia faccio playlist con Apple Music; vivendo in campagna, prendo spesso la macchina e le ascolto. Posso elencartele… faccio scorrere: ‘Bill Evans’, ‘Bossanova’, ‘Classica’, ‘David Sylvian’, ‘Don Grolnick’, ‘Jazz fusion’, ‘Jazz latin’. Ne ho una intitolata ‘Is good’, dove metto le cose recenti che più mi piacciono, Robert Glasper, Moonchild, Lalah Hathaway. Amo il neo soul, gli australiani Hiatus Kaiyote. È quello che ascolto in auto, il resto non lo ascolto. Il resto è a-musica, è privazione, assenza.

Per finire: tutto quello che Sergio Cammariere può fare, e che in futuro farà?

Ho scritto le musiche per ‘Revival’, un horror esoterico di Dario Germani con attori molto bravi per il quale ho espresso la parte elettronica di Sergio Cammariere. Ho iniziato con i primi sequencer, i primi Atari, e mi affascinava l’idea di comporre una colonna sonora completamente elettronica, con suoni che fanno davvero rabbrividire! (ride, ndr).

Finirà nella compilation ‘Horror’...

‘Horror/Esoteria’. È una storia di vita e di morte, è per me un film diverso da tutti gli altri, avendo io musicato spesso drammi e commedie. Un altro film, un corto d’animazione intitolato ‘Marabu’, di Fabio Teriaca, sta vincendo premi ovunque. E sto scrivendo altre canzoni con Roberto. Ecco, dopo questa telefonata lo chiamerò per interagire su nuove applicazioni.