‘A Song’ è la canzone di chi pensa ancora in termini di album e l’album sarà ‘Stranger’, riflessione sul fare musica ed essere padre di Cecilia
Se negli anni Ottanta non leggevi le riviste specializzate non potevi sapere quando sarebbe uscito il nuovo album di Tizio, ma era bello passare davanti al negozio di dischi, vedere la copertina in vetrina e fare i salti di gioia. Oggi per avere la sorpresa ci si dovrebbe isolare dal mondo per un paio d’anni, rischiando di perdersi qualche guerra. Ma sarà che è (sarà, il prossimo 11 ottobre) un album intero e non un singolo soltanto, il nuovo di Andrea Bignasca porta sempre con sé un profumo di record store day. «È un retaggio che ho», ci dice il rocker, «da una parte ho sempre pensato in termini di album, dall’altra mi accorgo che se pensassi più a singole canzoni mi garantirei un turnover un po’ più veloce, e spese non più tutte in una volta». Il fatto è che a lui le canzoni vengono sempre «a grappoli» e va bene così, abituati come siamo a ragionare per temi, per dischi interi che sono insieme la sintesi di un artista e di un momento storico, bilanci di vita per i quali un tempo si era disposti ad attendere anni, anche lustri. «Il futuro sarà ibrido», dice Andrea, «ma non credo che potrò mai abbandonare l’album».
Ma andiamo alla domanda fondamentale di questa intervista (si scherza): i capelli corti? «Sono arrivati insieme a mia figlia, o meglio, quelli lunghi se ne sono andati con il suo arrivo, ma è un caso, anche perché di solito sono le mamme a farsi il taglio da mamma (ride, ndr). La verità è che non mi ricordavo più l’ultimo good hairday (più o meno, l’ultima buona giornata dal barbiere, ndr). Li ho tagliati e non mi sono mai guardato indietro. Non mi mancano, a parte sul palco, per qualche headbanging (lo scuotere la testa tipico dei rocker, ndr)». Dopo la preghiera ‘Undo Me’, in maggio, un mese fa è arrivato l’inno ‘In a City by the Water’, cronaca emotiva di una giornata cominciata a Sonvico e conclusasi “in una città sull’acqua”, nello specifico Lisbona, dov’è nata Cecilia, la figlia di cui sopra. Ora è la volta di ‘A Song’, traccia 1 di un album che si chiama ‘Stranger’. È da questo titolo che cominciamo a parlare di musica.
«‘Stranger’ sono io straniero a me stesso, in questa situazione di padre che è una novità per me». Per Bignasca, ‘Stranger’ «è mia figlia che non conoscevamo e che conosciamo ogni giorno di più, è la mia compagna». Se ‘Gone’ (2015) era dolore, ‘Murder’ (2018) rabbia e ‘Keep Me From Drowning’ (2021) un momento di calma, «‘Stranger’ vuole essere una rinascita». Detto in modo non sentimentalistico, ‘Stranger’ è un disco d’amore verso sé stessi, verso la musica fatta per vivere, verso una donna e una figlia. «No, Cecilia non ha cambiato il mio modo di scrivere canzoni, sono nate nella modalità di sempre, prima la musica e poi le parole. È cambiato che avendo una figlia sono rimasto molto più tempo a Lisbona, abbiamo lavorato tanto in remoto per quel che riguarda la pre e la postproduzione, quasi fossimo ancora in lockdown. Per certi versi è stata una fortuna, perché ci ha permesso di avanzare a grandi passi». Il plurale include Gian-Andrea Costa (basso), Chrigel Bosshard (batteria), Oliver Illy (tastiere) e Matteo Magni (cori, mix, mastering).
Lancia la Telecaster in aria, la riprende al volo e su danze di rock and roll Bignasca se ne va a spasso chitarra al collo. Nel video di ‘A Song’ (featuring, al massimo, alcune simpatiche galline) ci sono solo lui e la sua chitarra, per un singolo così ‘catchy’ che si fa fatica ad andare oltre. «‘A Song’ riflette sull’invecchiare mio (“Goddamm, I look old / I thought myself to be in the clear”) e sul songwriting come mestiere e vocazione, ma anche su cosa voglia dire essere musicista e padre allo stesso tempo, su quanto sia importante garantire a mia figlia una presenza di padre, pur facendo quel che amo e facendolo con passione, perché la musica spesso mi porta via da lei fisicamente»..
‘A Song’ non può che stare all’inizio del disco anche perché la parola ‘canzone’ torna in molte delle 11 tracce. «Lo apprendo ora. Credo abbia senso: la scrittura, il creare canzoni da una parte e il creare vita dall’altra, in fondo è un po’ il binomio del disco». Dal punto di vista sonoro, tornando ai piaceri iniziali, tra synth e batteria coi “suonini” d’epoca, l’attacco di nostalgia è dietro l’angolo, ancor più a quarant’anni esatti da ‘Born In The U.S.A’. È un rigurgito d’infanzia? «Più che un volere tornare bambini è che i miei primi ascolti musicali arrivano da dischi e canzoni degli anni Ottanta. Mi andava di avere un album che s’allontanasse un poco da ciò che una band suona in modo naturale in una stanza prove, e che fosse più coraggioso nel trattare i suoni».
Quando ‘The Stranger’ arriverà tutto intero, Bignasca lo si ascolterà cantare anche in italiano. Non una strofa come in ‘Left My Heart At a Rest Stop’ su ‘Keep Me From Drowning’, ma una canzone intera: ‘Tutto Tuo’. «È la rinascita di una fame che sentivo quasi persa, una fame di voglia di fare, di andare a prendermi cose, una fame che sentivo fortissima quando ho iniziato, ormai dieci anni fa. Questa nuova fame è nata con mia figlia, è la voglia di dare un esempio e una promessa da musicista che vuole portare sempre a casa la pagnotta». ‘Tutto Tuo’ è la non-ninna nanna di Andrea Bignasca per Cecilia, e che non ci sarebbe stato il glockenspiel, da lui un po’ ce lo aspettavamo. «Però c’è un violoncello».