La tragicommedia di Dürrenmatt del 1962 è andata in scena al Lac di Lugano
Particolare, dover scrivere di una commedia vista agli albori di una notte elettorale che ha posto le sorti del mondo sotto una luce, se possibile, ancor più cupa di quella a cui i nostri occhi si erano, purtroppo, già assuefatti. Particolare perché diventa pressoché impossibile, per me, scindere Storia contemporanea da storia premonitrice, anche se, assicuro i lettori, non è mia intenzione allontanarmi troppo dal testo, e quindi dalla sala teatrale, nel raccontare la geniale pièce intitolata ‘I fisici’, scritta da Friedrich Dürrenmatt nel 1962 e riproposta questi giorni al Lac, che l’ha prodotta insieme al Teatro Sociale di Bellinzona, dove andrà in scena giovedì 14 e venerdì 15 novembre, e in collaborazione con il Centre Dürrenmatt di Neuchâtel. La traduzione originale – all’appello mancano diversi personaggi, e il testo è stato snellito e modificato – è di Igor Horvat, che ne cura anche la regia e ricopre il ruolo del laconico commissario di polizia Richard Voss. La genialità di ‘I fisici’ risiede anche nel farci credere alla follia dei personaggi internati nella clinica “Les Cérisiers”, personaggi che si credono fisici – Einstein, o Newton, o qualcuno che finge di essere Newton perché in realtà crede di essere Einstein –, che lo sono sotto copertura perché in fuga dal potere e quindi in cerca di libertà, chi in missione per conto di quel potere. Lo svelamento, come in ogni commedia che si rispetti, avviene a poco a poco, in un crescendo di colpi di scena e mutamenti d’identità. Il finale è noto: per non commettere l’errore del vero Einstein, il cui sapere ha portato all’orrore della bomba atomica, i tre fisici decidono di non svelare le proprie scoperte all’umanità, non sospettando la vera follia di un altro personaggio che ora possiede quelle pericolose conoscenze. Distruzione, crudeltà. E nessuna speranza.
‘I fisici’ è una delle più riuscite commedie nere del drammaturgo nato a Berna poco più di un secolo fa, nel 1921, in cui al pessimismo di fondo si sposano umorismo, sarcasmo e grottesco; in questa però assistiamo alla scomparsa dell’eroe positivo, perché lo sviluppo è guidato dal caso con crudo realismo. La denuncia di questo breve capolavoro nichilista è rivolta a quegli scienziati che prestano il loro sapere ai politici e ai militari, determinando le sorti nefaste del mondo, ma qui, nel paradosso, assistiamo a una situazione per la quale i fisici sono le vittime di un sistema di potere senza scrupoli. Alla fine saranno loro, quelli rinchiusi, e libere le loro formule di andare nelle mani sbagliate.
Tornando alla nostra sala di teatro, gremita per due serate di fila di un folto pubblico, l’adattamento di Igor Horvat è stato originale nel voler inserire un immaginario e ideale dialogo tra l’autore di ieri e quello di oggi, ponendolo di fronte a nuovi linguaggi e nuove immagini, con l’inserimento del racconto dello stesso Dürrenmatt ‘La morte della Pizia’, riscrittura sarcastica del mito di Edipo proposto in scena sotto forma di contenuto audiovisivo. Anche se non era forse così necessario aggiungere contemporaneità a un testo che, nella sua versione originale, è più attuale che mai. Regista e attori bravi nel condurre lo spettatore con un discorso tra il folle e il concettuale, insieme al delicato e misurato disegno sonoro di Zeno Gabaglio e alle luci di Marzio Picchetti.
“La tragedia – scriveva Dürrenmatt in ‘Theaterprobleme’ già nel 1955 – presuppone colpa, necessità, misura, visuale, responsabilità. Nel gran pasticcio del nostro secolo, in questo squallido finale della razza bianca, non ci sono più né colpevoli né responsabili. Nessuno può farci niente, nessuno l’ha voluto. (…) Per noi, l’unica possibilità è la commedia”.