‘Il Giuocatore’ di Carlo Goldoni, riletto nella sua cruda attualità dal regista Roberto Valerio, in scena giovedì e venerdì al Lac
Ci sono testi che attraversano i secoli come piume trasportate dal vento e altri che si aggrappano alla nostra coscienza come se avessero artigli. ‘Il Giuocatore’ di Carlo Goldoni, scritto nel 1750, appartiene senza dubbio alla seconda categoria: una commedia che, dietro le battute mordaci e i toni apparentemente scanzonati, nasconde un gioco pericolosamente serio. È un’indagine sul vizio, sull’autodistruzione e sull’assurda, irresistibile tentazione di sfidare l’inevitabile, anche quando il tavolo è ormai vuoto.
Goldoni, osservatore caustico e innegabile frequentatore delle stesse tentazioni che racconta, ci guida attraverso le menti di chi vive per rilanciare, contro ogni logica e contro sé stesso.
Sotto la regia di Roberto Valerio, portato giovedì e venerdì sul palco del Lac di Lugano, il testo abbandona gli orpelli settecenteschi e si presenta nella sua essenza più cruda: un ritratto che sembra parlare oggi come allora.
Al centro della scena troneggia una barca, ma la sua presenza è tutt’altro che decorativa. Con porte che sbattono e scale che giocano a nascondino, è un personaggio aggiuntivo. Una barca immobile, ancorata non a un porto, ma alle frustrazioni e ai fallimenti di chi ci vive dentro. Non salpa, non esplora, non promette avventure. È una metafora dei desideri dei protagonisti in sospeso: vincere, sposarsi, redimersi – sempre a un passo dal diventare realtà, ma eternamente irraggiungibile.
Le luci di Emiliano Pona accentuano questa tensione, alternando tonalità fredde e calde come un termometro delle emozioni.
Florindo, interpretato da Alessandro Averone, è il centro di gravità di questo disastro. Non rilancia per vincere, ma perché l’idea di accettare la sconfitta lo paralizza. È il giocatore per eccellenza, quello che si convince che il prossimo giro risolverà tutto, anche quando ha già perso soldi, dignità e un pizzico di amor proprio. Fragile, egoista, ridicolo, eppure magnetico, Florindo è l’archetipo del “malessere contemporaneo” che tutti, almeno una volta, abbiamo pensato di poter aggiustare – proprio come Rosaura, la sua promessa sposa. Rosaura, interpretata da Mimosa Campironi, è una donna consapevole, lucida, eppure tragicamente intrappolata in un amore che sa essere un vicolo cieco. Lei e Florindo sono le due facce di una stessa moneta: lei resta perché non sa lasciarlo andare, lui rilancia perché non sa fermarsi.
E quando non resta più nulla da perdere, Florindo cala il suo asso nella manica: promette matrimonio alla vecchia e ricca Gandolfa. Un gesto che è insieme un capolavoro di spregiudicatezza e una mossa disperata, tutto per inseguire il miraggio della "vincita favolosa”, eterna utopia di ogni giocatore, che promette riscatto, ma si assicura sempre di far pagare il conto prima che il sogno si realizzi.
Nelle mani di Valerio, la commedia si trasforma in uno specchio che riflette le ossessioni umane attraverso i secoli. Dai dadi settecenteschi agli algoritmi delle nostre dipendenze digitali, il mantra della scommessa – quel "ancora un giro e poi smetto" – rimane immutato. È un circolo vizioso senza data di scadenza, che sfida secoli e mode, proprio come i vizi che alimenta. Una continuità temporale che si traduce anche nei costumi, un miscuglio di epoche che confonde volutamente le carte: non siamo nel Settecento, ma nemmeno nel presente. Siamo in un limbo, perché i difetti umani non seguono il calendario gregoriano.
‘Il Giuocatore’ non lascia indifferenti, strappa risate al pubblico, salvo poi gelarle in gola quando la morsa dei debiti si stringe come un cappio attorno a Florindo. È una commedia che seduce con l'abilità di un mazzo di carte truccato: prima ridi, complice, ma ben presto ti rendi conto che il bluff è tuo.