Mercoledì a Salisburgo e giovedì al Lac l'Osi e la Quarta sinfonia del compositore austriaco. Il direttore principale parla di questo ‘viaggio senza fine’
Sul tavolino la partitura con matita e post-it, in sottofondo dall'Auditorio vari strumenti finiscono ognuno per conto loro una prova che, d'insieme, è terminata da neanche dieci minuti. Il direttore principale dell'Orchestra della Svizzera italiana Markus Poschner si siede sul divano del suo camerino, fuori dalla finestra il cielo è plumbeo e non promette niente di buono. «Ho una grande passione per Anton Bruckner», comincio a dirgli per rompere il ghiaccio. Poschner gira leggermente il volto, guarda sorpreso e risponde con uno spontaneo «Oh, really?» (Davvero?, ndr) con un sorriso che si allarga e fa capire davvero cosa significhi per lui questo compositore di cui si stanno celebrando i 200 anni dalla nascita. Ed è un «Oh, really?» che è solo l'inizio del racconto di un rapporto, di una scoperta e soprattutto di un viaggio «senza fine» tra Bruckner e Poschner. E anche tra Bruckner e l'Osi.
Quello di Bruckner è un viaggio che comincia nel 1824. Perché se ne parla e lo si celebra così tanto a 200 anni dalla sua nascita? Questo umile e tenace compositore austriaco è riuscito a superare lo scoglio del tempo? E come?
È una domanda molto interessante, ma per me la risposta giusta si trova se assieme ci si pone un'altra questione: perché siamo così attratti e ispirati dalla musica del passato? Perché è molto curioso, dato che 200 anni fa era assolutamente insolito e inconsueto suonare musica del passato. Suonavano solo musica contemporanea. Era folle per loro suonare musica composta da persone morte. Nel XVII secolo, nel XVIII secolo, persino nel XIX secolo, si suonava sempre musica contemporanea. Il tempo è importante, ma non è l'unico parametro. Per esempio la Gioconda di Leonardo da Vinci al Louvre è sempre magnifica: non è un dipinto vecchio, per me, perché è sempre attuale. Analogamente, nella mia partitura qui ho solo, diciamo, una mappa stradale. Una mappa per un bellissimo paesaggio, per un universo che è immanente. E noi oggi, i vivi, dobbiamo e vogliamo riportare in vita queste partiture navigando in questi universi. Perché siamo persone, e il nostro linguaggio sono le nostre emozioni fin da quando vivevamo nelle caverne e ci raccontavamo storie attorno al fuoco: le emozioni sono sempre contemporanee, indipendentemente dall'anno a cui risale la musica che si suona. La musica di Bruckner, ciò che cercava di esprimere con le sue partiture, per me è questa infinitezza, anzi, è andare oltre l'infinito. È come un'espansione. Ha un approccio un po‘ spirituale, ha a che fare con il non accettare alcun confine. Come quando fai un'escursione in montagna, sei in cima, vedi l'alba sorgere. Cose che sono difficili da descrivere con le parole. Ma che portano un'emozione molto forte, e questa musica è sempre come questa alba. È una sorta di spinta verso una condizione diversa. E per questa ragione, non si tratta di tempo. Non importa se è stata scritta 100 anni fa, 200 anni fa, ieri o oggi.
Nella sua immanenza, però, Bruckner per lei è stato uno dei punti d'interesse principali nella sua carriera. Quanto si sono sentiti ispirati il maestro Poschner e l'uomo Markus?
Eh... moltissimo. È vero, ho sempre avuto un rapporto stretto con la musica di Bruckner perché sono originario di Monaco di Baviera e io, da studente, ma già da adolescente, ho assistito spesso alle prove con l'Orchestra di Monaco, diretta da Sergiu Celibidache e anche da Sir Colin Davis e più tardi da Zubin Mehta. Era l'inizio degli anni Novanta, e tutti loro eseguivano Bruckner molto spesso, perché c’è una tradizione bruckneriana molto forte a Monaco. Città dove ha avuto davvero inizio la sua carriera internazionale, con la prima esecuzione della Settima sinfonia davanti al re Ludwig II. Fu un successo incredibile. Il primo grande successo che abbia mai avuto, alla soglia dei 60 anni. Un uomo anziano, al suo primo successo: quasi commovente. Quindi forse Monaco, in un certo senso, è legata a Bruckner. E così sono stato molto ispirato, all'inizio senza nemmeno comprenderlo bene, perché con Bruckner ci vuole tempo. Molto. Ho diretto per la prima volta la sua musica oltre i trent'anni, non solo perché le sue partiture sono davvero complicate ma perché si deve rispondere a così tante domande per accedere al mondo di Bruckner. Certo, sarà un po‘ banale, perché anche il mondo di Beethoven e Mozart è complicato, non troveremo mai un compositore che non è complicato... Ma da un punto di vista professionale, da direttore d'orchestra, come provare Bruckner, come mescolare i colori, come produrre il giusto tempo, anzi, cosa significa davvero il tempo con Bruckner, pone tantissime questioni. E c’è bisogno di molta fiducia nelle tue capacità, e nel tuo modo di gestire un'orchestra. La maggior parte delle sue sinfonie sono per una grande orchestrazione, quindi c‘è bisogno di 80, 90 musicisti, a volte di più. Ci vuole una solidità che matura con l'esperienza. Fin dai primi anni, e ancora adesso, sono convinto che debba esserci una verità diversa da ciò che sentivo nelle esecuzioni convenzionali. Perché Celibidache era molto speciale: a volte si aveva più a che fare con lui che con Bruckner, perché aveva un approccio molto personale. Puoi farlo, certo, perché non è assolutamente un problema, le partiture sono multidimensionali. Ma le sue esecuzioni duravano minimo 20 minuti in più di tutte le altre. Ed era un approccio così strano rispetto a tutte le indicazioni scritte. E anche io, quando ho comprato le mie prime partiture, ho letto qualcosa di diverso. Questo è l'uomo Markus e il direttore Poschner che insieme crescono.
Alla fine vince il direttore o vince l'uomo?
Spero entrambi (ride, ndr). Perché vivono intensamente la gravità della musica di Bruckner, il suo pathos, un accesso a un suono travolgente. Ma tutto questo in Bruckner è solo parte della verità. Ho avuto tantissime discussioni con me stesso, e come dicevamo prima ho dovuto aspettare di diventare direttore principale per suonare Bruckner... non lo si può fare da assistente, o da ospite, ancor più da giovane o magari in un'orchestra straniera che non ti conosce. Ho dovuto aspettare di diventare direttore principale a Brema per eseguire Bruckner, e questo percorso iniziale ha preso dieci anni della mia vita. Poi tutto il resto, perché non si arriva mai alla fine di questa strada. C’è sempre quella domanda di fondo che è “e adesso?”. È una storia che mi affascina perché la fine non arriva mai. Per il direttore e per l'uomo.
Osi
Markus Poschner
Giovedì con l'Orchestra della Svizzera italiana al Lac suonerete la Quarta sinfonia. Ce ne può parlare?
Abbiamo un'ora solo per questo? (ride, ndr). Beh, possiamo cominciare col dire qualcosa che può davvero far capire in breve di chi e cosa stiamo parlando: Bruckner compose questa sinfonia e terminò alcune parti prima e quasi parallelamente a una delle più grandi umiliazioni subite nella sua vita, la prima esecuzione da lui stesso diretta della Terza sinfonia. Fu un completo disastro: urla dal pubblico, persone che se ne andavano. Ma stava già pensando a qualcosa di nuovo, a un paesaggio di completa bellezza. Quella della Quarta sinfonia è una lunga, lunga storia: Bruckner vi ha rimesso mano più volte, ma mostrando la caratura dell'uomo che era. Quanti di noi musicisti ci saremmo rimessi in gioco dopo un fallimento simile? In quanti avremmo abbandonato il nostro lavoro perché sentivamo di non essere compresi? Pure parte dell'orchestra se ne andò dal palco quella sera, gli ultimi leggii si alzarono e andarono via. Ma Bruckner non smise di comporre, ed è un miracolo che abbia continuato a essere convinto delle sue idee perché con la Quarta intraprese un percorso completamente nuovo e cambiò l'approccio. Questa sinfonia esce dalla natura, ha alcune citazioni qua e là da Beethoven e Mozart, ci sono ancora legami con i suoi primi lavori ma l'orchestrazione è rinnovata: il corno è lo strumento principale all'inizio, se prima la composizione era molto misurata ora si sente molta più libertà, tranquillità... una ventata d'aria fresca, un suono totalmente nuovo. Penso che nel profondo del suo cuore sentisse che era il momento di cambiare direzione.
Rimanendo però sempre fedele a se stesso.
Certo, è questa la sua forza che è anche figlia della sua umiltà. Cambiò approccio, cambiò atteggiamento magari. Ma le sue idee e la sua voglia di trasmettere l'immensità con la sua musica non cambiarono mai. Era come se continuasse a dire, con umile orgoglio, “io sono questo”. Non fu molto capito e compreso in vita, mi fa molto piacere che però 200 anni dopo se ne parli ancora. Ho appena registrato 18 versioni delle sue sinfonie con la Bruckner Orchester Linz e l'Orchestra della radio di Vienna ed è stato un percorso che mi ha regalato molte emozioni e una scoperta continua.
Anche con l'Osi è stato molto attivo riguardo a Bruckner in questi anni. Ricordiamo tutti il concerto più recente, con l'esecuzione della Seconda sinfonia l'anno scorso. E mercoledì, il giorno prima del concerto al Lac, con l'Osi sarete a Salisburgo a suonare la Quarta di cui stiamo parlando. Quanto la emoziona questa trasferta in un tempio della musica?
Tantissimo! Mi piace molto l'idea di poter presentare questa sinfonia suonata da un'orchestra come l'Osi in una delle culle della musica, anche perché ogni orchestra ha un suo suono, un suo modo di suonare, e come detto prima la partitura è una, ma le interpretazioni possono essere moltissime. È affascinante anche per me continuare così la mia scoperta di questo autore, e sono contento di portare il peculiare suono dell'Osi al pubblico austriaco.
Immagini di essere davanti a una persona che non ha mai sentito nulla di Anton Bruckner, che parole userebbe per convincerlo ad andare al Lac giovedì sera?
(Ci pensa un attimo, poi sospira sorridendo, ndr). Viaggiare è stupendo, credo sia una delle cose più belle che si possano fare. Gli direi che sarebbe un viaggio di un'ora nell'immensità, in un altro mondo, nella natura e nella spiritualità di un compositore che tanto ci ha dato. E ogni viaggio è arricchente. Ormai siamo abituati alla radio in auto mentre guidiamo, canzoni di tre minuti, a ciclo continuo. A queste persone suggerisco di venire al Lac, di chiudere gli occhi e usare le orecchie per viaggiare un'ora insieme a Bruckner in mondi incredibilmente affascinanti.