Incontriamo due dei musicisti dell’Orchestra popolare che fa danzare i 150mila di Melpignano, sabato 21 settembre a Locarno per la Festa dei Popoli
Melpignano è un comune della provincia di Lecce, in Puglia, poco più di duemila abitanti che d’estate possono diventare duecentomila, ovvero coloro che presenziano ogni anno, danzanti, all’evento conclusivo della Notte della Taranta. Il Concertone è il punto d’arrivo di una più lunga esperienza itinerante che inizia da Corigliano d’Otranto, comune appartenente – come Melpignano – alla regione della Grecìa Salentina, isola linguistica in cui si parla il griko, idioma di origine greca. Non saranno in duecentomila sabato in Piazza Grande a Locarno, ma il luogo è abbastanza capiente per ospitare il pubblico dell’Orchestra popolare della Notte della Taranta, punto fermo di quanto accade in Puglia in estate, ma anche compagine che porta la pizzica e altri suoni salentini nel mondo. L’occasione è la Festa dei Popoli, due giorni di full immersion nella cultura salentina che partono sabato alle 17 in Piazza Remo Rossi con i laboratori di pizzica dal corpo di ballo della Notte della Taranta, che alle 21 si unirà all’Orchestra per il Concertone ticinese (opening act alle 20.30 con Diamante e le danze di fuoco di Brenno). Domenica 22, la festa si allarga ad altri angoli di mondo, all’insegna dello slogan 2024: ‘Verso un noi più grande’.
«Rappresentiamo una parte delle sonorità del Sud Italia, nel nostro repertorio ci sono vari canti legati sia alla pizzica che ad altri contesti musicali. Siamo tutti del Salento, della Puglia». Peppo Grassi (un diploma in mandolino preso al Conservatorio di Brescia e una laurea in antropologia alla Sapienza di Roma, che in musica «fa sempre brodo») è uno dei due interlocutori scelti per farci raccontare di questa orchestra. A Locarno «è la Festa dei Popoli, dunque ci saranno le pizziche ma anche i canti di lavoro, perché la nostra musica è anche quello, insieme al recupero dei canti in griko. Insomma il Salento non è solo pizziche e meloterapia del tarantismo».
Dicesi “tarantismo” quella “sindrome culturale di tipo isterico riscontrata nel Sud Italia” collegata a una patologia che si riteneva, in un passato nemmeno troppo remoto, essere causata dal morso di ragni. Il termine viene da ‘taranta’ o ‘tarantola’, nomi comuni della Lycosa tarantula, ragno diffuso nelle zone mediterranee e che prende il nome dalla città di Taranto. Stante il carattere locale del tarantismo, presente in quell’unico contesto culturale, esso viene considerato una forma di isteria, o un termine indicante manifestazioni idiopatiche (non dovute a cause esterne note). Scusandoci con gli illustri autori di più approfonditi studi, e citando dalla leggenda, la tarantola con il suo morso provocherebbe la crisi e la ‘meloterapia’ ne sarebbe la cura, grazie al potere lenitivo di una musica incentrata un tempo su violino e tamburello, a volte suonata per giorni. ‘Esorcismo in musica’ lo hanno chiamato. Al di là della leggenda, e al di là dell’esorcismo, “cosa c’è, ti ha morso una tarantola?” è espressione applicabile a quanto in agosto accade nel Salento...
La Notte della Taranta nasce nel 1998, due anni dopo arriva il Festival itinerante; l’omonima Orchestra popolare nasce nel 2004 con Ambrogio Sparagna, dal 2010 l’organizzazione è curata dalla Fondazione Notte della Taranta. Particolarità dell’evento (che l’agosto scorso ha ‘pizzicato’ un milione di telespettatori Rai) è la presenza di un Maestro Concertatore, una personalità musicale di grande rilievo invitata a fornire nuove versioni dei classici della tradizione, insieme a ospiti italiani e non. Dal 1998 a oggi, anche con più edizioni all’attivo, i Maestri Concertatori sono stati Daniele Sepe, il fu Piero Milesi e il fu Joe Zawinul, Vittorio Cosma, l’ex Police Stewart Copeland, lo stesso Sparagna, Mauro Pagani, Ludovico Einaudi, Goran Bregović, Giovanni Sollima, Phil Manzanera, Carmen Consoli, Raphael Gualazzi, Andrea Mirò, Fabio Mastrangelo, Paolo Buonvino, Enrico Melozzi e Madame, Dardust, Fiorella Mannoia e, quest’anno, il produttore Shablo.
Melpignano è contaminazione tra generi. «È la musica in sé a consentirla, ma anche il modo in cui ogni Maestro Concertatore si pone verso la tradizione. Quel che è certo è che ogni anno è diverso, non esiste un concerto simile a un altro. Anche questa è la bellezza». È la semplicità delle strutture il segreto di della contaminazione? «Noi musicisti diamo un codice a tutte le musiche, che nel tempo si modificano, evolvono, o vengono scritte ex novo. Credo che il segreto stia nel fatto che è musica popolare, come lo è stato il jazz. Le connessioni con altri generi sono sempre inevitabili». La Notte della Taranta è anche ricerca, scoperta, recupero: «Ogni musicista fa le proprie ricerche», conclude Grassi, «ci sono studiosi a vario livello, provenienti da questa o quella zona del Salento. Molto è stato registrato e pubblicato, ma è anche fondamentale diffonderlo, perché chiuso in un cassetto non serve a nessuno».
Voce e tamburello, ci parla da Santa Maria al Bagno, frazione di Nardò, Lecce. Lo scorso 12 settembre il maltempo ha fermato il concerto del suo Arneo Tambourine Project, omaggio all’antica ronda salentina, la musica e il ballo al centro e gli spettatori in cerchio. Il maltempo ha fermato anche e soprattutto il giro in barca della Beata vergine Assunta, salutata dai fuochi pirotecnici prima di sfilare per le strade del paese. «Oggi (domenica scorsa, ndr) il concerto dovremmo portarlo a casa», dice Giancarlo Paglialunga, «perché domani con l’Orchestra della Notte della Taranta partiamo per la Macedonia». Il Concertone, come è immaginabile, non è l’unico evento dell’Orchestra: «Il nostro lavoro – racconta Giancarlo – è diventato negli anni sempre più impegnativo, con tour in Italia e all’estero», ma per quanto l’Orchestra giri il mondo, Melpignano resta «un evento irripetibile». Ciò che si ripete è semmai «la magia di quello che suoniamo, e vale anche per gli altri gruppi che fanno questa musica da sempre. Riesco a vedere con gli occhi della Notte della Taranta ma anche con quelli del movimento dei concerti fuori dall’Italia, e il circuito è molto vasto, che si tratti di festival di nicchia o grandi piazze».
Quando tempo si prende il Concertone? «Dipende dagli impegni del Maestro Concertatore. I primi appuntamenti sono in primavera, proviamo un paio di giorni al mese ma non esiste uno schema, dipende da chi dirige». Una prima edizione con Ambrogio Sparagna nel 2005, la successiva con Ludovico Einaudi: «Ricordo con particolare emozione i due anni con Einaudi e la successiva tournée con la sua formazione. Mi sono restate nel cuore anche le direzioni di Buonvino, Gualazzi e Consoli». Quanto alla contaminazione: «Il segreto è sempre l’apertura. Noi salentini che abbiamo ascoltato da altre fonti questa musica siamo solo ambasciatori, pronti a prendere e a dare». Vale anche per il lavoro di ricerca: «Siamo sempre coinvolti, dare e chiedere allo stesso tempo evita ogni rischio di appiattimento». Quanto c’è ancora da scoprire? «Ogni anno ci meravigliamo per cose nuove, recuperate da questo patrimonio immenso grazie al lavoro di etnomusicologi e ricercatori».
A Locarno sarà «un bell’intreccio di voci». Quattro, per la precisione. «Sono cresciuto da autodidatta ascoltando i grandi interpreti della black music, da Sam Cooke a Ray Charles a Bill Withers, cantanti magistrali del blues e del soul americano. Ci cado spesso, vuol dire che ne ho bisogno, di cantare e di ascoltare queste sonorità». Black music e pizzica, più contaminati di così…