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C’era una volta ‘The Boys’

E ancora c’è, ma nella quarta stagione da satira del potere la serie, ideata da Eric Kripke, pare finita in un ginepraio di sottotrame poco interessanti

Su Amazon Prime. Nella foto, da sinistra, Antony Starr (Homelander) e il giovane Cameron Crovetti
(Keystone)
3 luglio 2024
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‘The Boys’ partiva da un presupposto semplice: era la storia di un mondo in cui quelli che sembravano buoni – i supereroi – erano in realtà degli stronzi, mentre quelli che sembravano stronzi erano i veri supereroi. La serie è tratta da una serie a fumetti di culto (terminata nel 2012) che prendeva in giro i supereroi Marvel e DC e quattro stagioni dopo, più una dello spin-off ‘Gen V’ che racconta di un’università per aspiranti supereroi, la trama si è complicata e da satira del potere – in particolare del potere trumpiano – ‘The Boys’ è diventata un groviglio di sottotrame difficile da districare.

Per sommi capi

Una breve introduzione per chi non lo avesse seguito e volesse recuperare (si trova su Amazon Prime). I “ragazzi” del titolo sono un gruppo di sfigati o semidelinquenti finanziato dalla CIA per smascherare e fermare il complotto dei supereroi – o meglio dell’azienda che controlla i supereroi – che per il momento non hanno accesso all’esercito o a posizioni politiche. Proprio come nella nostra realtà, la democrazia americana è a rischio di finire nelle mani di uno o più persone al di sopra della legge. Il principale pericolo è Homelander, il “Protettore”, simbolo vivente degli Stati Uniti, vestito della bandiera americana, biondo come Ken e con poteri illimitati. Interpretato da Antony Starr (una delle scelte di casting più azzeccate della storia delle serie tv, con una faccia di cartapesta come quella di Cristiano Ronaldo), Homelander è la nemesi di Superman: con gli stessi poteri – vola, spara i laser dagli occhi – ma cinico e meschino, tanto narcisista e disposto a tutto pur di non scendere a compromessi – perché dovrebbe, visto che sa volare e ha i laser negli occhi? – quanto triste e autocommiserevole. Fa sia paura che pena. E il fatto che faccia pena e sia disperato, fa ancora più paura.

Se Superman era un alieno, simbolo un po’ opaco della cultura americana a cavallo tra le due guerre e rappresentante della verità e della giustizia, Homelander e tutti i supereroi del mondo di ‘The Boys’ sono semplicemente degli umani dopati, cavie per un farmaco (il compound V) sperimentato sui bambini per scopi militari e che alcuni genitori hanno iniettato nei loro figli nella speranza che diventassero delle star. Sono, cioè, simbolo di quanto noi umani possiamo amare l’ipocrisia e l’ingiustizia. Homelander, essendo umano, vive tormentato dai sensi di colpa e dal ricordo dei traumi vissuti da piccolo, è bisognoso di affetto più di un neonato e ha fin troppo chiari problemi di rabbia. Lo avevamo lasciato, alla fine della terza stagione, in mezzo alla folla esultante dopo che, innervosito da un contestatore durante un evento pubblico, lo aveva incenerito. Anziché capire la minaccia che rappresentava, le persone che già lo idolatravano hanno festeggiato la sua manifestazione di violenza e crudeltà. Un collegamento non troppo complicato da fare è con quello che disse Donald Trump nel 2016: “Potrei sparare a qualcuno per strada e non perderei consensi”. Solo che Homelander, lo scopriamo in apertura di questa nuova stagione, non è contento lo stesso. I suoi sostenitori lo difendono (scavando nella vita privata della vittima per dipingerlo come un pedofilo) ma l’approvazione pubblica lo annoia, mentre quella delle persone che lo circondano, comprensibilmente preoccupate per la propria vita, lo innervosisce ancora di più.

Il suo nemico, quello che sembrava uno stronzo, è il capo della banda che combattere i supereroi, è una specie di cartonato del macho sempre incazzato e rissoso, con un nome ridicolo, Billy Butcher, e un accento neozelandese (interpretato dall’attore Karl Urban, anche lui piuttosto pazzesco per quanto sembri uscito da un fumetto di Serie B). Buthcer è la parodia dell’antieroe che risolve le cose con la violenza, eroso al proprio interno dalla depressione e dalla rabbia repressa – sempre non abbastanza repressa. Eppure ha buone intenzioni, vuole liberare gli Stati Uniti e il pianeta dalla minaccia di un dittatore coi superpoteri e, allo stesso tempo, salvare suo figlio adottivo, che in realtà è figlio di… proprio di Homelander! Incredibile, vero?

Possono bastare i laser

Vi risparmio i particolari, ma sono questi intrecci da soap-opera a complicare le cose in una serie che forse come nessun’altra era riuscita a riprodurre l’effetto “wow” che si ha quando si leggono i fumetti da bambini. ‘The Boys’ è diventata famosa per l’ironia sempre un po’ volgare dei suoi dialoghi e per le scene esageratamente truculente e sanguinose. In una delle più famose in assoluto, un supereroe col potere di cambiare dimensione, ingrandendosi o rimpicciolendosi, è diventato delle dimensioni di una formica per entrare nell’uretra del tizio con cui si stava divertendo in camera da letto. Lo vediamo camminare in quel tunnel carnoso dando grande piacere al suo partner, finché, proprio sul più bello, gli scappa uno starnuto, e starnutendo torna alle sue normali dimensioni – senza prima uscire dall’uretra in cui si era infilato. Anche qui: vi risparmio i particolari.

Queste scene erano funzionali ad alleggerire la satira sociale di ‘The Boys’, e l’atmosfera complottista che regna. Davano uno stile originale a una trama tutto sommato semplice e un po’ banale: come si ferma un supercattivo senza scrupoli? Adesso però questo tipo di trovate sono diventate una specie di marchio di fabbrica, una scommessa rilanciata di puntata in puntata con lo spettatore: vediamo che ti sorprendo e scandalizzo anche stavolta? In compenso sono state sviluppate tutte le sottotrame dei personaggi di contorno: un buffo francese che lavorava con la mafia russa e in questa stagione ha una storia d’amore omosessuale; una giapponese muta, rapita dalla propria famiglia e riempita di superpoteri per farla diventare una supercattiva (e creare quindi il bisogno di supereroi); Hugie, un nerd a cui un supereroe ha accidentalmente polverizzato la fidanzata mentre camminavano mano nella mano. Ci sono anche Starlight, supereroina pentita, e Milk, un afroamericano che indossa solo magliette di rapper degli anni novanta: ognuno di loro ha la propria storia e le proprie motivazioni, solo che nessuna di queste è minimamente interessante quanto vedere Homelander usare i propri laser.

Per concludere

In modo un po’ paradossale, gli spettatori di ‘The Boys’ finiscono per rivedersi in Homelander e per volere che la serie diventi tutto quello che prendeva in giro all’inizio: una normale storia di supereroi. Nella sua noia e nelle sue piccolezze Homelander è il personaggio più credibile e profondo. Proprio come Superman compensava la frustrazione dell’uomo moderno, Homelander sembra agire sul nervosismo della nostra epoca, su quel tipo di ansia – politica, climatica – che diventa quasi attrazione per l’apocalisse. La sua cattiveria, la sua grandezza insieme alla sua piccolezza, sono di gran lunga la cosa più interessante di ‘The Boys’, anche in virtù del suo fallimento di proporre un’alternativa alla distruzione totale che Homelander in fin dei conti rappresenta. Se il potere è corrotto e le masse instupidite, se Butcher è solo l’ennesimo maschio alpha autodistruttivo, perché mai dovremmo sperare che qualcuno fermi Homelander?

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