In rigoroso ordine alfabetico, quelle che ci hanno tenuto compagnia durante l'anno che sta per finire, o quelle che vale la pena recuperare e ricordare
Le serie TV scandiscono le annate come una volta facevano i Mondiali. Il 2019 è l’anno in cui è finito ‘Games of Throne’. Il 2020 è quello del ‘Mandalorian’ e di ‘Normal People’. Il 2021, beh, l’anno di ‘Squid Game’. Il 2022 invece è quello in cui è finito ‘Better Call Saul’ ed è iniziata ‘House of Dragon’. Chissà, magari qualcuno ricorda così gli anni che passano. E allora: il 2023? Qui ci sono dieci serie, rigorosamente in ordine alfabetico, che ci hanno tenuto compagnia o che vale la pena recuperare e ricordare.
‘The Bear’, seconda stagione (Disney)
Se la prima stagione era stata ai limiti della sostenibilità per quanto intensa (era stata definita come un film di guerra ambientato in una cucina) la seconda marca una pausa significativa nel ritmo della narrazione e si prende il tempo di approfondire la psicologia dei vari personaggi, con episodi dedicati a ciascuno di loro. Al centro dell’affresco c’è sempre Carmi, giovane cuoco di successo intrappolato nel fast food incasinato che gli ha lasciato in eredità il fratello suicida. In questa nuova stagione però lo sta provando a trasformare in un ristorante esclusivo, nel bel mezzo di una crisi economica che a Chicago fa chiudere un ristorante dopo l’altro. Un solo episodio è raccontato al ritmo frenetico della prima stagione, ed è un lungo flashback in cui vediamo la madre di Carmi – una splendida Jamie Lee-Curtis sull’orlo di una crisi di nervi, anzi, ben al di là di quell’orlo – preparare sette pesci, con sette ricette diverse, per la vigilia di Natale. Il passaggio dalla performatività autodistruttiva della prima stagione a una creatività più positiva e sentimentale è piuttosto marcato, e qualcuno è rimasto deluso da una seconda stagione così introspettiva. Alla fine però ‘The Bear’ continua a piacere e si conferma come una delle serie con più potenziale di questi anni.
Carmi nel fast food incasinato
‘Fargo’, quinta stagione (Now Tv)
Ispirata al film dei fratelli Coen, ‘Fargo’ è una serie antologica in cui ogni stagione fa storia a sé. Personaggi e ambientazione variano di volta in volta, come il cast. Quest’anno è toccato a Juno Temple (conosciuta ai più con ‘Ted Lasso’) e John Hamm (‘Mad Men’) interpretare una donna con sorprendenti e straordinarie doti di sopravvivenza – a metà strada tra Rambo e McGyver – e uno sceriffo del North Dakota vecchio stile, che gira a cavallo e considera una moglie come “proprietà” del marito. La storia come sempre incasinata e sorprendente – un intreccio complicato di accidenti e scene di fughe e agguati, una specie di tutti contro tutti che enfatizza lo stile delle stagioni passate – e a suo modo è un commento all’America post-trumpiana sempre al limite della guerra civile. Sta ancora andando in onda ed è difficile farsi un giudizio completo ma le prime puntate sono partite fortissimo.
‘Fleishman a pezzi’ (Disney)
Forse una delle serie più enigmatiche dell’anno, che sembra parlare di una cosa ma in realtà ne sta raccontando (anche) un’altra. Comincia come la storia di un divorzio, in cui un medico giudizioso viene abbandonato dalla moglie iper-ambiziosa (e prova a districarsi tra app per appuntamenti e figli a carico) e finisce raccontando la disperazione e la solitudine di una donna dell’alta borghesia newyorchese. Di fondo ‘Fleishman a pezzi’ critica l’idea tradizionale di famiglia e gli stereotipi sui ruoli di genere, lasciando una sensazione amara in bocca, come un vino apparentemente buono ma avvelenato. In compenso è una delle serie meglio recitate dell’anno. Il nervosismo di Jesse Eisenberg è quasi intollerabile, come l’egocentrismo che gli impedisce di vedere quello che ha intorno, e il talento di Claire Danes merita da sola la visione della serie. Sconsigliata a chi sta pensando di chiudere una lunga storia d’amore.
‘Gen V’ (Prime)
C’era grande attesa per lo spin-off di ‘The Boys’, la serie di supereroi comica, satirica, anti-Marvel. ‘Gen V’ è ambientata in una scuola per ragazzi con superpoteri, che non per forza devono finire in costume a fare i supereroi ma, in un mondo terribilmente simile al nostro, magari si accontenteranno di diventare influencer o star di serie B. D’altra parte se il tuo potere è quello di rimpicciolire fino alle dimensioni di un criceto vomitando, che razza di supereroe puoi diventare? Come c’era da aspettarsi, il sangue scorre a fiumi e nei modi più impensabili (è pur sempre una serie tratta da un fumetto) e sotto sotto c’è un complotto governativo da smascherare. Proprio perché l’universo di ‘The Boys’ (con cui nell’ultima puntata si ricollega) è soprattutto una raffinata critica alla società americana, non vi aspettate che a trionfare sia il bene. Ricordate il motto di Spiderman: “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità?”. Scordatevelo. Anche i supereroi nell’America trumpiana sono degli stronzi.
Comica, satirica, anti-Marvel
Last of Us (Sky)
Di ‘The Last of Us’ si è parlato soprattutto in relazione al videogioco da cui è stata tratta: è abbastanza fedele da piacere ai fan? Sì, visto che ha riprodotto alcune scene quasi frame per frame. Ma è anche sufficientemente originale, in modo da adattarsi a una narrazione non interattiva e attrarre nuovo pubblico? Anche in questo caso la risposta è stata sì. E lo si è capito dalla terza puntata, tra le più belle in assoluto dell’anno, in cui la storia del survivalista Bill si distanzia da come è raccontata nel videogioco e diventa una tenera e struggente storia d’amore omosessuale in un mondo ormai finito. Può l’ennesima apocalisse zombie – in cui un uomo adulto deve portare in salvo una bambina, in un paesaggio distrutto che solletica la nostra morbosità – rinsaldare la nostra fiducia nell’amore e nell’umanità? Se è scritta bene, perché no.
‘A Murder at the end of the world’ (Disney)
Nel 2016 Brit Marling e Zal Batmanglij hanno dato vita a una delle serie più originali, complesse e poetiche degli ultimi anni, ‘The OA’, cancellata da Netflix dopo due stagioni e ancora rimpianta da molti spettatori. Il loro ritorno con ‘A Murder at the end the world’ restituisce solo parte di quell’universo narrativo, scegliendo una più semplice storia di detective, un classico “whodunnit” (chi è stato?) ambientato in un resort per milionari in Islanda. Con, in parallelo, un’altra storia true crime ambientata negli Stati Uniti. Forse si sente troppo forte il desiderio di Marling e Batmanglij di parlare di più temi d’attualità possibile – crisi climatica, femminicidi, tecnoparanoia – ma è anche quello che distingue ‘A Murder at the end of the world’ dalle altre migliaia di storie di detective disponibili in streaming.
Dai creatori di ‘The OA’
‘Questo mondo non mi renderà cattivo’ (Netflix)
Quante possibilità ci sono di far produrre a Netflix una serie su un centro di accoglienza per migranti alla periferia di Roma e sul conflitto tra militanti di sinistra e neofascisti? Solo Zerocalcare può riuscire in un’impresa del genere, trasformando una questione politica quotidiana e piccola in una storia di formazione universale. L’empatia e la sensibilità di ‘Questo mondo non mi renderà cattivo’ rende possibile persino sentirsi vicini a un personaggio come Cesare: un bullo malinconico con problemi di droga che finisce nella ragnatela della destra contemporanea. Il sentimentalismo di Zerocalcare non ha limiti, come il suo coraggio nel confrontarsi con i limiti di un pubblico sempre più grande.
‘Reservation Dogs’, terza stagione (Disney)
La prima serie scritta, diretta e interpretata interamente da nativi americani, ‘Reservation Dogs’ ha avuto un successo sorprendente negli Usa. Racconta le avventure di quattro adolescenti ribelli alle prese con piccoli furti necessari a raccogliere i soldi per andare a vivere in California. Ma se la serie è piaciuta tanto è per come va in profondità nel raccontare ogni personaggio, trattando pur sempre con leggerezza e con un tono a volte surreale, temi come lutto, povertà e depressione. Quest’anno è arrivata alla sua terza e ultima stagione e in molti la rimpiangono già.
Lo scontro (Beef) (Netflix)
La storia di due automobilisti che, in seguito a un piccolo litigio stradale, decidono di rovinarsi la vita a vicenda, nel più classico effetto palla di neve. La premessa di ‘Beef’ è tanto semplice quanto complicate sono le sue conseguenze, ma è la frustrazione e la rabbia dei personaggi interpretati da Ali Wong (comica e scrittrice americana di origini asiatiche) e da Steven Yeun (di origini coreane, famoso per ‘The Walking Dead’ e candidato all’Oscar per Minari) ad aver permesso a milioni di spettatori di rivedersi in un conflitto così stupido e assurdo. Viviamo in tempi cupi, per carità, ma di sicuro non ci manca la capacità di riderci sopra.
Dark comedy sulla rabbia
‘Succession’ (Now Tv)
La serie che ha più segnato il 2023 è stata senza dubbio ‘Succession’, con la quarta stagione che ha regalato una conclusione coerente a un pubblico tanto affezionato quanto esigente. Poche serie tv possono dire di avere un finale soddisfacente e ‘Succession’ è una di queste, anche solo per non aver eluso il problema iniziale: chi dei suoi tre figli erediterà l’impero mediatico di Logan Roy? L’insicuro e megalomane Kendall? La cinica e sempre sottovalutata Shiv? Quell’infantile psicopatico di Roman? La capacità di Jesse Armstrong, l’ideatore della serie, di trovare una soluzione sorprendente quando era il momento giusto, e di tenerci sulle spine fino all’ultimo non ha tradito le aspettative. Così come resta forte e attuale la rappresentazione di un’élite ormai corrotta nel midollo, senza nessun interesse per il mondo che la circonda, incapace di vedere qualcosa oltre alla propria sopravvivenza in cima alla piramide alimentare.
In ‘Succession’ persino le peggiori caricature (tipo il Ceo di un gigante dello streaming, vagamente ispirato ad Elon Musk, che manda buste del proprio sangue a una dipendente di cui si è infatuato) sembrano ritratti fedeli o quanto meno verosimili. Ed è anche grazie alla recitazione di attori straordinari come Brian Cox e Jeremy Strong, se ‘Succession’ ha saputo tenere in equilibrio per quattro stagioni la meschina brutalità del capitalismo e il lirismo di conflitti familiari shakespeariani. Anche se ormai è finita, vivremo ancora a lungo nel mondo di ‘Succession’.