laR+ Netflix

Paura e delirio al Wembley Stadium

‘The Final: attacco a Wembley’, cronaca della furia che l’11 luglio 2021 rispedì il calcio britannico nei suoi peggiori incubi

‘Non puoi andare alla partita senza farti una birra. Rende le cose più interessanti’
(Keystone)
10 giugno 2024
|

“Amico tifoso che ti rechi allo stadio

Con quegli occhi iniettati di gioia. Gol”

(Elio e le Storie Tese, ‘Amico uligano’, 1992)

“Oggi milioni di inglesi si sono svegliati con la speranza che finalmente la squadra alzi il suo primo grande trofeo dal 1966. Dopo una lunga attesa, l’Inghilterra torna in finale. A casa nostra, qui a Wembley”. Il drone vola alto, come vuole il documentario Netflix, e le voci della Bbc fuori campo fanno il resto. Il volatile inquadra Wembley, oggi un po’ meno iconico di quello del 1923 in cui si tennero Live Aid e i Mondiali del 1966, stadio sulle cui macerie, nel 2007, il nuovo Wembley Stadium è nato. Ma il flashback è dietro l’angolo ed ecco Bobby Moore che riceve la Coppa Rimet dalle reali mani di Elisabetta vestita di verde pisello, ecco le Union Jack sventolanti, ecco il tabellone luminoso (ma solo perché la finale si giocava di giorno) con lo score finale: Inghilterra-Germania 4-2. A tornare dal 1966 al 2021 è un attimo: sono le 8 di mattina di Italia-Inghilterra, finale degli Europei 2021 slittati di un anno per pandemia. Per la precisione: sono le 8 di mattina dell’11 luglio 2021 e sebbene da giorni tutto il Regno Unito canti, urli, scriva, digiti “It’s coming home” (sta tornando a casa, la coppa), l’11 luglio non è una data in cui si possa dare l’Italia calcistica per spacciata (“Tardelli, raddoppio! Uno splendido gol di Tardelli! Esultiamo con Pertini!”).

Io c’ero

Conosciamo Max dall’Essex, professione ‘fan dell’Inghilterra’, che con la bandiera sulle spalle canta ‘Sweet Caroline’ di Neil Diamond (dopo la semifinale vinta contro la Germania, il dj di Wembley Mr. Perry l’ha sparata dagli altoparlanti, e ora Neil Diamond porta fortuna); conosciamo Mike, professionista dello Yorkshire, fortunato di poter pagare 600 sterline per un biglietto invece che mille, 5mila, 10mila al mercato nero; Mike porta il padre 70enne alla partita che sanerà una vita di umiliazioni, per sé e per il suo vecchio, dalla notte di Francia ’98 in cui Beckham fu espulso contro l’Argentina (Beckham che ancora non ci dorme la notte, lo dice nella serie a lui dedicata) alla semifinale persa ai rigori contro l’Italia nell’Europeo del 2012, indietro fino alla Mano de Dios di Messico ’86, l’umiliazione più grande. Almeno fino all’11 luglio 2021.

C’è Dan dallo Shropshire, nato col calcio nel sangue, giovane adulto abbastanza risoluto che quando gioca l’Inghilterra si scioglie, e la sua vita è più felice: “Non mi perdo questa partita per niente al mondo”, giura a sé stesso. C’è Liam, il direttore dello Stadio di Wembley, chiamato a garantire la sicurezza di quello che lui chiama “il colosseo”. C’è Taz, di origini pakistane, che non poteva permettersi il biglietto e allora ha trovato un posto nella security per dire ai figli un giorno “c’ero anch’io”, perché “se l’Inghilterra vince voglio esserci, potrebbe non succedere mai più”. C’è Kevin, dall’East London, di origini asiatiche, uno che a ogni Mondiale e a ogni Europeo srotola la bandiera fuori dalla sua finestra pur sapendo che in molti non lo considerano inglese, “ma sono nato nelle Midland, perché non dovrei?”. E c’è Gianluca, che dal 1993 si è installato a sud di Londra ed è felice che la figlia sia mezza inglese e mezza italiana, ed è pronto a spendere qualsiasi cifra perché Maya un giorno possa dire: “L’11 luglio del 2021 ero a Wembley con mio padre”.


Keystone
Wembley Way


Keystone

‘It’s coming Rome’

“It’s coming home”, gridano sugli autobus, ma anche “football’s coming home”, il calcio sta tornando a casa, lì dove era nato poco più di un secolo e mezzo fa e da dove l’Inghilterra, per decenni, non si era mai mossa per giocare contro nessun altro. Il complesso di superiorità vacillò nella Battaglia di Highbury, il 14 novembre 1934 nell’omonimo stadio, quando l’Italia di Pozzo sfiorò il pareggio e Nicolò Carosio coniò per quella partita il termine “vittorioso pareggio”. E siccome “It’s coming home”, alle 8.30 del mattino Wembley Way, la Via della Conciliazione che porta allo stadio, è già piena di senzabiglietto carichi di alcol: “Come dargli torto? È una vera festa!” dice la radio, “il Covid ci aveva chiusi in casa” dice Dan, ricordando la depressione da lockdown, e aggiunge: “Non puoi andare alla partita senza farti una birra. Rende le cose più interessanti”.

Prima di mezzogiorno, su Wembley Way in procinto di diventare cloaca a cielo aperto, c’è gente appesa ai semafori, ai pali della luce, in piedi sui tetti delle case; nella nuvola di cocaina che piano piano si alza s’intravedono l’esibizionista sul cofano di un’auto che mostra il britannico membro e un altro esibizionista – soprannominato, è ovvio, “rocketman” – con un fumogeno rosso nel britannico ano. Max sale sul tetto del bus, si svuota una lattina di birra in bocca e danza, cantando, già si sa, ‘Sweet Caroline’. “Tutti mi filmavamo, mi sentivo un eroe”, ricorda.

Alle 14 la situazione è già sfuggita di mano: la polizia, convinta che la zona a rischio sarebbe stata il centro di Londra, raggiunge Wembley ignara del fatto che l’hooligan medio ha un solo scopo: entrare senza biglietto. E a migliaia ci riescono, sfondando un primo cancello e andando a occupare la zona di sicurezza anti-Covid dello stadio; negli altri settori c’è chi si accontenta degli scalini, di stare in piedi o, molto più semplicemente, ruba il posto a chi ha pagato regolare biglietto. Lasciamo ciò che segue ai patiti delle catastrofi, o di quelle sfiorate per poco.


Keystone

‘R’ come Rashford (e come ‘razzismo’)

C’è un inglese che l’11 luglio del 2021 ha tifato contro la propria squadra. È Liam, il direttore di Wembley, perché se Gianluigi Donnarumma detto Gigio non avesse parato il rigore decisivo di Italia-Inghilterra, altre migliaia di disperati che ancora assediavano Wembley Stadium durante i calci di rigore sarebbero entrati una volta aperti i cancelli, nel defluire della marea di britannici in festa. Per fortuna di Liam, mentre la squadra italiana porta in trionfo il suo portiere e in un pianto che ha significati più profondi della vittoria sportiva appena conquistata Gianluca Vialli, capo delegazione, abbraccia Roberto Mancini, allenatore, la folla all’esterno si gira su sé stessa, prende Wembley Way in senso contrario e se ne torna a casa. Quel che resta è devastazione e razzismo social: Marcus Rashford ha sbagliato un rigore e qualcuno a Manchester oltraggia il murale a lui dedicato, l’omaggio cittadino a chi ha garantito ai giovani in difficoltà buoni pasti gratuiti durante le vacanze; c’è chi augura la morte a Jadon Sancho e Bukayo Saka, gli altri due sfortunati rigoristi, dimostrando come a tanti inglesi poco inorgogliva la nazionale multietnica che aveva unito la nazione ancor prima di scendere in campo.


Keystone

Anarchy in the U.K.

‘The Final: attacco a Wembley’ è il resoconto del giorno in cui l’Inghilterra calcistica si ritrovò a rivivere i suoi incubi peggiori, dalla furia omicida degli hooligan del Liverpool, i 39 italiani morti nella trappola dell’Heysel, ai quasi 100 inglesi schiacciati nel fatiscente stadio di Hillsborough, a Sheffield. E per motivi che attingono alla pura casualità, l’11 luglio del 2021 nessuno si fece troppo male.

Il documentario di Robert Miller e Kwabena Oppong rende il medesimo servizio di ‘Woodstock 99: Peace, Love and Rage’, il racconto dei tre giorni di pace, amore e rabbia – e di stupri, morti (tre), incendi e vandalismo – durante i quali a Rome, stato di New York, si tenne il fallito tentativo di rivivere il mito di Woodstock, dove trent’anni prima il sesso libero non aveva ucciso nessuno. Ma se ‘Woodstock 99’ dice tutto, in ‘The Final: attacco a Wembley’ c’è una mancanza per certi versi fondamentale: la caccia all’italiano fuori e dentro lo stadio a fine partita, ampiamente documentata dai media al tempo e ampiamente documentabile oggi, a tre anni e un Europeo di distanza. Quell’omissione, e quel poco di buonismo conclusivo un po’ stucchevole (anche il padre di Max, da giovane, era solito salire sul tetto degli autobus e la cosa rende orgoglioso il figlio, contento lui) portano tutto, nostalgicamente, quasi romanticamente dalle parti dei Sex Pistols, in tempi che non sono più quelli dei Sex Pistols. O forse lo sono ancora.


Keystone
Street art

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔