laR+ LA RECENSIONE

Il magnifico ritratto di un mastro sarto

È in sala ‘Il caftano blu’, un film di rara bellezza e sensibilità, imperdibile per gli amanti del cinema ad alti livelli

L’altro, lei, lui
18 dicembre 2023
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Esistono prodotti cinematografici talmente ben assemblati da ricordarci che una trama non è solo una storia, bensì una fittissima rete di filamenti ordinati e interdipendenti, che tengono insieme l’intera struttura narrativa. Sono sicuramente innumerevoli le possibilità e le scelte che un autore considera nel creare e raccontare una vicenda e, talvolta, i risultati non solo riescono a risultare ineccepibili, ma anche a cogliere quella componente effimera, non esattamente circoscrivibile e tangibile, che è l’umanità. Questo è il caso di ‘Il caftano blu’, di Maryam Touzani, premio Fipresci a Cannes e vero gioiello, o meglio caftano, raffinato e sensibile, genuino e dotato di una saggezza semplice quanto profonda.

La prova attoriale dei due protagonisti Saleh Bakri e Lubna Azabal rasenta l’indescrivibile, grazie a una cura molecolare dei gesti, delle espressioni e dei corpi, accompagnati da situazioni cariche di emozioni: con dolce malinconia, riflessioni profonde, grandi risate e lacrime, lo spettatore non può che sentirsi in estasi, trascinato e al tempo stesso coccolato, oltre che rimanere impressionato dalla precisione degli incastri dell’intreccio, proprio come un ago con cui si ricama un tessuto a mano, con capacità e grazia, sapientemente e con ogni asola al proprio posto, perfettamente equidistante dalla precedente e dalla successiva, senza l’ombra di una sbavatura.

Dalla gelosia all’accettazione dell’altro

Halim è un mastro sarto di Salé, vicino a Rabat, specializzato nella confezione di caftani, tradizionali ed eleganti indumenti locali, adatti a occasioni importanti. Un uomo mite e piuttosto fragile, che trova sostegno grazie alla moglie Mina, donna forte di carattere e senza peli sulla lingua, nonostante celi la propria omosessualità, esplorata con timidezza facendo sesso occasionale con sconosciuti nel hammam della città. Le commissioni sono tante e la bottega fatica a rimanere al passo con le richieste dei clienti, quindi viene assunto l’apprendista Youssef, un bravo ragazzo ligio alla sartoria e molto attratto da Halim, che venera in quanto uno tra i pochi artigiani rimasti a lavorare completamente a mano.

Il triangolo che inevitabilmente si viene a creare porta Mina, gravemente malata ma che mantiene saldamente la propria immagine granitica, a essere molto severa con Youssef, gelosa e insospettita dalla sua insolita passione per quell’arte ormai morente. L’aggravarsi della sua condizione di salute coincide, tuttavia, con una rinascita morale, che si traduce nella progressiva accettazione di Youssef, mentre Halim si prende cura di lei, lavorando parallelamente e con dedizione a un pregiato caftano blu.

Amare è comprendere

Una messa in scena ineguagliabile, in grado di mantenere un distacco rispettoso nei confronti dei personaggi nonostante la scelta, legata alla precisione della professione in oggetto, di osservare gli individui estremamente da vicino, nel dettaglio, senza però risultare invadenti e discostandosi dunque dalla frenesia tipica della vicinanza, come quella visibile ad esempio nei capolavori ‘Rosetta’ dei Dardenne e ‘Saul fia’ di Nemes. L’amore, nel senso geloso e possessivo del termine, lascia completamente spazio alla ricerca della felicità; anche nonostante la tradizione religiosa e l’omofobia, vengono asciugate tutte le componenti malsane della relazione amorosa per focalizzarsi su ciò che dovrebbe essere, cioè l’auspicio del benessere e della libertà del proprio partner.

Una moderna ‘Pastorale americana’ marocchina, capace di tenere incollati allo schermo e che riesce a trasmettere il fascino della sartoria, raggiungendo vette al limite del trascendente, grazie alla meticolosità e all’apertura mentale con cui la regista approccia, andando in profondità nella psiche con modesta consapevolezza, temi molto attuali e spesso raccontati con furbizia, come il conflitto genitoriale, la malattia e soprattutto l’omosessualità repressa. ‘Il caftano blu’ non è dunque solo un film bensì una vera e propria esperienza, un ritratto profondamente umano che entra educatamente nel cuore di chi guarda e abbatte ogni sorta di muro divisorio tra le persone, un vero e proprio monumento all’amore e alla comprensione reciproca che trasmette quella connessione esistente, anche se invisibile e spesso dimenticata, tra ogni individuo.