Presentato e applaudito a Venezia 80, è nelle sale il bel thriller romantico di un parigino Woody Allen
Se è carattere di stampa ‘Windsor Light Condensed’, bianco su fondo nero, se è lo swing nei titoli di testa (stavolta col piano elettrico), se è la fotografia di Vittorio Storaro, allora è un film di Woody Allen prima che sullo schermo si legga ‘Regia di’. Font e musica sono i punti fermi di una filmografia che va più o meno da ‘Io e Annie’ a ‘Un colpo di fortuna’ (Coup de Chance), nelle sale da oggi, primo film del regista newyorkese girato interamente in lingua francese.
La storia. L’incantevole Fanny (Lou de Laâge), spirito ribelle ai tempi del liceo, ha sposato l’irritante, laccato e un tantino viscido Jean (Melvil Poupaud), uomo d’affari non limpidissimi, sintetizzabili con il concetto “aiuta i ricchi a diventare ancora più ricchi”. A minare quel che solo all’apparenza è il perfetto equilibrio di coppia, compare – per caso, per strada – l’ex compagno di scuola Alain (Niels Schneider), che apre in Fanny ricordi parigini di vita bohemiènne. Alain ha sempre avuto una cotta per lei, è uno scrittore e al jet set e ai trenini elettrici di Jean, che al suo plastico d’epoca ha dedicato un’intera ala della casa, preferisce le bancarelle sulla Senna e le librerie del centro storico.
In Fanny, il fuoco non ancora spento per tutto ciò che nella vita ha un senso la avvicina ad Alain più del dovuto: un pranzo frugale apre a un altro pranzo frugale, una passeggiata nel parco apre a un’altra passeggiata nel parco, una chiacchierata sulla panchina – sempre dopo una passeggiata nel parco – apre all’amore non più platonico, da consumarsi in una di quelle mansarde di Parigi col bagno piccolo piccolo e la finestrella che dà sui tetti della città.
Una volta che la passione è sbucata da tutti i pori, Jean si accorge che Fanny è cambiata: gli orari che non collimano, il telefonino rivelatore e gli “scusa, ho mal di testa” bastano a un marito già affetto da manie di controllo per rivolgersi a un investigatore privato che gli dica quel che non vorrebbe mai sentirsi dire. La verità potrebbe fare ancor più male a un uomo che, si dice, avrebbe fatto eliminare il socio in affari in modalità poco ortodosse. Eppure, nessuno ha mai dubitato di lui: nemmeno la madre di Fanny, Camille (Valérie Lemercier), ospite della coppia nei giorni di crisi coniugale, ne ha mai messa in discussione la moralità. O almeno, non ancora.
Come in un gioco dell’oca, chiunque cercasse l’Allen dalle battute al fulmicotone dovrà tornare alla casella precedente e a quella precedente ancora, al ‘Rifkin’s Festival’ boicottato dal Covid e, ancor prima, a ‘Un giorno di pioggia a New York’ boicottato dal #MeToo. Presentato e applaudito fuori concorso a Venezia 80, puntellato dall’incalzante ‘Cantaloupe Island’ di Herbie Hancock, ‘Un colpo di fortuna’ ha un piede nelle migliori storie d’amore del regista (che sia Parigi o Manhattan poco importa, tutto inizia sempre per strada) e l’altro tra le bassezze umane di ‘Crimini e misfatti’ e ‘Match Point’.
Il regista torna così al thriller, l’unica forma di cinema che, dietro la macchina da presa, l’abbia mai intrigato (parole sue); torna all’Europa, dalle cui cinevisioni i cineasti statunitensi hanno copiato tutto (“solo il dixieland è un prodotto americano”, altre parole sue) e torna a celebrare il caso come momento imprescindibile delle nostre esistenze, qui unito alla scarsa propensione di molti a essere quel che potrebbero essere, vuoi per paura, vuoi per comodità, vuoi per convenzioni sociali, noia, mancanza di autostima, varie ed eventuali. E proprio come in ‘Match Point’, anche in questo grazioso ritratto delle fragilità umane c’è una pallina da tennis che, alla fine, cadrà da una parte o dall’altra del nastro (gioco, partita, incontro).