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Debora Petrina: cantante, pianista, ballerina, unica e trina

Dal vivo ha poche rivali. Cronaca di quasi un’ora e trenta di musica viva, carnale, squillante e in grado di risvegliarci da uno stanco lunedì sera

Lunedì 16 ottobre a Lugano
17 ottobre 2023
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‘L’età del disordine’, il quinto album di Debora Petrina, è un disco del 2022 ma il fatto che venga presentato in versione acustica a più di un anno dalla sua uscita non stranisce, colmo com’è di melodie lontane dagli standard attuali. Quanto prodotto dall’artista di Cittadella insieme a Marco Fasolo e ad Andrea Davì in sede di registrazione lasciava molti interrogativi sulla resa dal vivo, a livello di scelte stilistiche, data la peculiarità della materia pop di Debora, capace di passare dall’accademia all’orecchiabilità in un batter d’occhio. Niente di meglio per spingerci verso lo Studio Foce di Lugano in un lunedì sera autunnale, mentre il primo fresco inizia fortunatamente a farsi sentire. Il trio entra sul palcoscenico buio, eccezion fatta per un cono di luce sul pianoforte: basso, batteria e rispettivi musicisti rimangono al momento in ombra.

Alchimista

Il suono estratto dal pianoforte da Debora con una bacchetta da xilofono e i tasti è legnoso, caldo e la sua voce fa il resto. Le luci aumentano, illuminando anche Andrea Davì e Marco Valerio mentre l’incedere vocale e strumentale prende piede. I due musicisti (che si spendono anche insieme negli Orange Car Crash) vengono da ambiti distanti dal jazz e dalla musica leggera, ma riescono a sfruttare le proprie capacità vestendo i brani di Petrina in maniera elegante e ineccepibile. C’è del jazz, dell’oriente, del gioco nell’aria. Il pubblico non è numeroso ma molto attento, seduto ordinatamente sui tavolini da caffè disposti in sala. Debora sembra un’alchimista, una strega che stupisce per quanta naturalezza mette nel creare suoni da strumenti, gesti e metodi liberi. Quando si rivolge al piccolo astronauta è semplice immaginare il trio direttamente nello spazio, cocktail colorati come bolle a spasso per l’atmosfera. C’è una sorta di melancolia, di passaggio aereo e di comunicazione con l’aldilà e gli spiriti, con John Cage che sorride sornione dall’altro mondo mentre scorre ‘Roses of the Day’, ripresa della sua ‘Ezperience no.2’. I ritmi sono trascinanti, calorosi cadenzati, talvolta sacrali e trance, invece, quando Debora si avventura in danze selvatiche sul palco. Questo suo prendersi spazio e attenzione oltre alla semplice riproposizione dei brani dà il peso di una performer brillante, accompagnata perfettamente dai suoi musicisti di fiducia. Poi, spazio alla poesia e al nervosismo dei colleghi uomini perché, come dice, i musicisti maschi devono suonare sempre e un po’ la odiano, mentre ci racconta di una sua corsa, immaginata e prodotta in sella alla sua bicicletta.

Poi di botto in un groove anni 70 con un ‘Cocktailchemico’ si snoda in maniera sinuosa fra diversi movimenti fino a una chiusura magica. I racconti fra un brano e l’altro svelano il talento di una narratrice che merita sicuramente anche di essere approfondita su pagina. ‘Le begonie’ è giustamente introdotta e si conferma brano magnetico, intermezzato com’è da una fuga che pare il volo di una vespa sul balcone. Poi ritmo, ancora danze, groove che sembrano aver carburante sufficiente per andare avanti ore, ma è solo una trascinante resa di ‘Cuore Nero’, sempre dall’età del disordine. Mentre pasticcia con il pianoforte inserendo degli oggetti che non sa se avranno degli effetti, attacca ‘Era Ieri’. A tratti la voce sembra richiamare il suono di una tromba e occorre concentrarsi per uscire da un mondo strumentale, a seguire storie sudate, concitate e sofferte. Brindiamo a mate seguendo la scia impazzita di palline lanciate in ‘Ogni giorno’ e ci avviciniamo al termine del concerto, con un ricordo al contributo di Tiziano Scarpa per il suo libro. Esile e furibonda, originale, particolare, trascinante e vitale. Questo è stato il trio questa sera, questa è Petrina, vera forza della natura, ad accanirsi su tasti e parole fino a farci perdere il baricentro, riuscendo con il solo incedere della sua voce a farci straniare.

Bis

È il finale, applausi a scena aperta, il trio esce e a rientrare è la sola Debora. Campiona la sua voce a creare un tappeto percussivo ondeggiante, gravi note di piano a punteggiare un brano caracollante che viene stirata in passaggi virtuosi di solo piano fino a tornare al campionamento iniziale. Tornati Marco e Andrea, parte una ‘Odio l’estate’ da capelli scarmigliati, che dimostra la capacità del trio di stravolgere brani classici iniettandoli di sana follia e turgore.

Finisce così, quasi un’ora e trenta di musica viva, carnale, squillante e in grado di risvegliarci da uno stanco lunedì sera. Per quel che conta, possiamo sicuramente confermare il talento di una musicista e cantante a esprimersi con fantasia e stile nella lingua italiana. In sede di intervista Debora ci aveva raccontato delle sue insicurezze rispetto a questo grande passo, l’album interamente nella sua lingua madre. Oltre che confermarne la bontà possiamo anche asserire di come dal vivo sia in grado di muoversi in un ambiente raccolto senza molte rivali, trascinandoci con sé in un viaggio colorato, inquieto e personale.

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