Norah Jones ha incantato il pubblico dell'auditorium Stravinski con i suoi brani più celebri e, per gli 84 anni di Mavis Staples, intonando ‘Tanti auguri’
Montreux - La ragazza del pianoforte accanto sale sul palco dell’auditorium Stravinski con l’incedere incerto e timido di chi ti suona alla porta senza convinzione per chiederti indietro lo zucchero o quei due accordi che ti aveva prestato. Indossa una giacca verde leggera ed extralarge, quasi un kimono, con i risvolti delle maniche tigrati: sulla schiena, a sorpresa, c’è un’enorme tigre glitterata, che addosso ad altre chissà, ma su di lei sembra semplicemente perfetta. Ha una frangetta da Amélie cresciuta, giusto un po’ più signora e un po’ più ribelle, di chi ha girato davvero il mondo, senza delegare la cosa a un nano da giardino. Quando finisce la seconda canzone, ‘What Am I To You?’, e si gira verso il pubblico per dire “merci beaucoup” è evidente che ha già fatto innamorare tutte e tutti quei pochi che – chissà perché – ancora non lo erano.
Norah Jones fa da sempre quell’effetto lì, da quando, ormai più di vent’anni fa – con l’uscita dell’album d’esordio ‘Come Away With Me’ – il mondo scoprì la sua grazia e il suo talento, inscindibili in lei, come se non potessero che essere la stessa cosa.
Era entrata in scena, sempre in punta di piedi e con un altro abito, già mezz’ora prima cantando ‘Happy Birthday to You’ a un monumento della musica americana, Mavis Staples, che ha compiuto 84 anni proprio sul palco di Montreux, esibendosi prima di quella che lei stessa ha amorevolmente chiamato “my baby sister”. Mavis, uno dei volti più noti e amati del soul e del gospel degli anni d’oro, è sinceramente sorpresa dalla festa di compleanno che le hanno organizzato davanti al pubblico, con il maxischermo che coglie l’emozione e il tremore del suo viso sommerso da abbracci e fiori.
La voce degli Staple Singers aveva iniziato il suo concerto con la celebre ‘For What It’s Worth’ dei Buffalo Springfield (quella che fa “Stop, hey what's that sound, everybody look what's going down”, e molti la staranno leggendo cantandola). Con Mavis, sul palco, due coriste che ormai hanno più voce di lei e un terzetto di musicisti che sembra il solito inossidabile gruppo Made in Usa che si autoreplica in eterno. Il batterista rigido e composto, un po’ su con l’età, l’aria da vicesceriffo che non ha mai fatto carriera in un qualche Stato che non sapremmo indicare sulla mappa; il bassista con l’abito scuro, la cravatta colorata e fuori moda e i pochi capelli bianchi sparati all’insù; il chitarrista impeccabile con il gilet nero e un cappello tipo Stetson che – apparentemente – sembra più importante della chitarra stessa. Suonano ovviamente da dio, come se non avessero fatto altro nella vita. E forse è proprio così.
© FFJM 2023, Lionel Flusin
Mavis Staples, che sul palco di Montreux ha compiuto 84 anni
La vecchia Mavis fatica a ingranare, continua a bere boccette di un liquido scuro che sembra una medicina dalla faccia disgustata che fa; si siede, sbuffa, lascia gli acuti alle coriste, si sbraccia e batte le mani avvolta in uno scialle multicolore che fa venire in mente l’indimenticabile Louise dei Jefferson, telefilm-icona degli anni Ottanta.
A un certo punto cita i mostri sacri del blues, da Muddy Waters a Buddy Guy, dice che il suo preferito era Howlin’ Wolf: “Ho passato la vita a provare a ululare come lui”. Arriva il momento del gospel ‘Far Celestial Shore’ e la sua voce ricomincia a graffiare. Quando termina ‘Slippery People’ dei Talking Heads scherza col pubblico, dice di stare attenti alla “gente scivolosa, che ce n’è tanta in giro” e poi si dilunga un po’ sull’autore, David Byrne, che definisce “timido, terribilmente timido”. Parla degli anni Settanta, indica qualcuno tra il pubblico avanti con l’età e gli dice “tu mi sa che c’eri. Io c’ero di sicuro”. Ricorda che è da 74 anni sulle scene, e sembra quasi impossibile, ma non lo è: quando gli Staple Singers esordirono in una chiesa di Chicago Mavis aveva appena 9 anni.
Norah Jones ne aveva invece 23 quando, nel 2002, uscì ‘Come Away with Me’. Era un disco soave e leggero eppure fu un terremoto che rilanciò le voci femminili al pianoforte e le fece riempire il salotto di Grammy: otto.
Oggi di anni ne ha 44, ma sembra sempre una ragazzina. Alla fine di ogni pezzo cerca lo sguardo complice di un musicista della band e sorride. Accarezza per un po’ il pianoforte, seduta, passa alle tastiere, in piedi, intonando ‘Say No More’ e ‘Can You Believe’. Poi imbraccia la chitarra e parte con ‘Long Way Home’ una canzone praticamente perfetta firmata Tom Waits che lei, con la sua voce, è riuscita perfino a migliorare.
Tutti aspettano ‘Don’t Know Why’, lei ci gira intorno pescando brani minori o dai suoi dischi meno fortunati. Poi piazza lì ‘Sunrise’, il singolo della riconferma, datato 2004.
© FFJM 2023, Lionel Flusin
‘Vieni via con me’
Quando sembra troppo tardi, eccola, ‘Don’t Know Why’, con i suoi “cuori intrisi di vino” le albe, le spiagge, una storia di quelle finite male senza un perché. La Norah Jones che cantava vent’anni fa non lo sapeva mica come mai non era andata a quell’appuntamento (“Don’t know why I didn’t come…”). A Montreux invece è venuta, eccome. Si prende gli applausi, tanti. C’è tempo anche per un bis, una versione alternativa e intima di ‘Come Away With Me’ che resta in bilico tra un Notturno e una ninna nanna. Lei cerca le note più acute, scivolando sempre più a destra sul pianoforte, quasi come se ci fosse ancora spazio, ancora un altro tasto lì in fondo da qualche parte. La stiracchia un po’, come certe favole quando i bambini non ne vogliono proprio sapere di andare a dormire. Solo che qui è una ninna nanna che funziona al contrario: quando tutto finisce non si spegne la luce, ma si accendono i riflettori. Non addormentati, ma innamorati, anzi: innaNorahti.
Qualcuno, irriducibile, spera in un secondo bis, ma ci sono già i tecnici sul palco. Chi vuole sentirla ancora cantare deve correre a Vienna o, con un po’ più di calma, a Lucca, dove si esibirà venerdì.
Fuori dall’auditorium di Montreux, intanto, ci si trova catapultati in un altro mondo, anzi in un’infinità di mondi: subito all’uscita, sulla terrazza, le casse – quasi irrispettose verso quel che si è suonato a un muro di distanza – sparano musica techno; giù in basso sul lungolago, dove nel pomeriggio c’era un karaoke con ‘Sarà perché ti amo’, si balla pop latino. Due passi più in là e da un orecchio entra Paul McCartney solista di ‘Jet’, dall’altro, in lontananza, arriva ‘The Long and Winding Road’ dei Beatles.
In fondo alla lunga fila di chioschi che vendono cibo francese, svizzero, italiano, cinese, indiano, thai, marocchino, argentino e perfino tibetano c’è un parcheggio che si sta svuotando. Da una Mini fuoriesce la voce di Norah Jones che canta ‘Those Sweet Words’ (‘Quelle dolci parole’): magari un caso, un fan deluso dall’assenza del brano in scaletta, oppure qualcuno che – a concerto appena finito – già sentiva la sua mancanza. Fanno così, gli innamorati.