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Lugano Estival c'è (la rinascita)

Parlano Jacky Marti, Filippo Corbella e anche Stanley Clarke: il nostro racconto da Piazza della Riforma, con appendice tutta brasiliana

Ben Harper
(Ti-Press)
10 luglio 2023
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«Sono molto contento. Puoi fare tutti i programmi che vuoi, ma il risultato non è mai scontato». La prima voce dell’Estival Jazz che si è concluso all’alba di domenica è quella di Jacky Marti, il fondatore dell’evento musicale tornato quest’anno alle vecchie abitudini: Piazza della Riforma paralizzata per Ben Harper, il grande nome dell’edizione 2013, e altra musica fino a notte fonda. «I fattori importanti – dice Marti – sono stati sicuramente il beltempo e questa organizzazione nuova, con margini di miglioramento, ma caratterizzata da tanto entusiasmo». Con riferimento agli artisti, «il pubblico giudicherà. Abbiamo scelto un programma molto vario, ma con denominatore comune l’alta qualità».

Tanti i brasiliani in piazza per Gilberto Gil. «Sono arrivati da tutta Italia, ma anche da Maiorca, Lisbona, dalla Germania e dall’Argentina, e non era la prima volta». Del prossimo Estival, per ora, si sa solo che potrebbe slittare in avanti di qualche giorno per non sovrapporsi agli Europei di calcio. «Perché non avrebbe senso suonare la sera di un’eventuale Svizzera-Italia. Sempre che la Svizzera si qualifichi».

Filippo Corbella, co-direttore artistico da quando la Città di Lugano ha abbracciato Estival Jazz nel suo LongLake, ha verso Jacky «un grande senso di gratitudine per essere entrato in una grande storia». La sensazione personale è «un turbinio di emozioni, con artisti che seguo da una vita, come Ben Harper, o Gilberto Gil, perché come chitarrista sono sempre stato vicino a samba e bossa nova. Dal punto di vista organizzativo ho curato migliaia di eventi per la Città, ma ogni volta è un mondo a sé stante, e fatiche, emozioni, e il desiderio di ascoltare un artista ti avvicinano al tuo compagno di lavoro». E conclude: «Ho visto una piazza come non avevo mai visto prima, colma anche nelle strade adiacenti. Sarà interessante analizzare i dati». Sul futuro: «Claudio Chiapparino ama Estival, Roberto Badaracco si è espresso esplicitamente anche in piazza». È un indizio su quello che potrebbe accadere la prossima estate in riva al Ceresio.


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Jacky Marti

La cronaca

Nell’Estival Jazz cominciato venerdì, laRegione ha avuto una sua rappresentanza con la voce e il pianoforte di Beppe Donadio, oggi responsabile delle pagine culturali di questo giornale, tornato per una notte cantautore a dieci anni dall’ultimo concerto. Insieme a lui, una band con alcuni dei migliori strumentisti italiani (“Quelli famosi sono loro”, così Donadio li ha presentati sul palco). L’applaudita mezz’ora di musica del bresciano d’origine e ticinese d’adozione si è aperta con un ritratto della vicina Penisola intitolato ‘Santi e Navigatori’ e si è chiusa con il brano pacifista ‘Maestrale’. È stato un breve viaggio tra i suoi tre album ‘Merendine’, ‘Houdini’ e ‘Figurine’. Al termine del set, Donadio ha annunciato il suo concerto al Teatro Sociale di Bellinzona, sabato 21 ottobre.


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Beppe Donadio

A seguire, il primo dei molti vincitori di premi Grammy presenti quest’anno, il virtuoso della chitarra Mark Lettieri, membro di lunga data degli Snarky Puppy con i quali fu protagonista di Estival nel 2014. Con il suo strumento al centro, Lettieri si è appoggiato sulla solida ritmica di Eoin Walsh al basso e Jason Thomas alla batteria, per un momento molto intenso. Il fiume di note di Lettieri è stato l’anteprima di Ben Harper, sul palco in tunica verde da sciamano. L’orario tardivo (il concerto previsto alle 22.30 è slittato oltre le 23) e l’aura mistica che avvolge lui e il suono della sua chitarra hanno fatto il resto. Ben Harper e la sua lap steel guitar (la chitarra che si suona in orizzontale, poggiata sulle ginocchia) sono stati il tocco rock della serata, in cui il cantautore americano ha dosato i suoi pezzi, abbassando il volume il giusto e dando spazio a nuovi pezzi e a grandi classici del suo repertorio come ‘Diamonds on the Inside’, la più applaudita, e ‘With my Own Two Hands’. Harper, come di consueto, è passato – anche all’interno degli stessi brani – dal soul al blues, dal folk al reggae. Quando alla fine si è avvicinato al pubblico con le mani protese e il suo saio, è sembrato davvero di aver assistito a una sorta di rito.


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Mark Lettieri


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Judith Hill

Ha chiuso la serata di venerdì l’esibizione di Judith Hill, che è stata protagonista della notte luganese sulle note dell’ultimo album ‘Baby I’m in Hollywood’. La padronanza di voce, chitarra e pianoforte hanno spiegato, se mai ce ne fosse stato bisogno, come mai Stevie Wonder, Elton John e Ringo Starr l’hanno voluta in tournée con loro. La collocazione molto tarda forse non ha giovato alla pluristrumentista americana, ma sono le regole degli open air, dove non si deve avere fretta di andare a dormire. Sabato, prima del gran finale affidato a Sean Kuti con i suoi Egypt 80, Estival ha consegnato il Premio alla carriera a Stanley Clarke e Gilberto Gil.


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Stanley Clarke

L’intervista

Stanley Clarke fino alla fine

di Beppe Donadio

«I premi, ma pure le nomination, sono il gradito simbolo di un risultato. Anche quelli in ambiti televisivi o strettamente strumentistici. Mi piacciono, ma non vanno oltre il momento rappresentativo». Certo, il fatto che sia Lugano, città nella quale è di casa, a consegnargli il premio alla carriera di Estival, rende Stanley Clarke particolarmente felice. E questo nonostante al momento dell’intervista concessaci nel pomeriggio di sabato, il suo contrabbasso personalizzato sia da oltre un giorno desaparecido in quel di Malpensa. Ma la notizia del suo ritrovamento arriva poco dopo, al primo piano del Bar Ristorante Olimpia, mentre Piazza della Riforma sta ascoltando il soundcheck della band di Gilberto Gil. I due – il primo bassista frontman della storia e l’innovatore brasiliano – si sono appena abbracciati al piano terra, nel luccichio di smartphone a catturare uno di quei ‘golden moment’ tipici degli happening musicali.

Nella giovane band capitanata da Clarke, quei 4Ever che di lì a poco prenderanno pacificamente in ostaggio la città, c’è ancora il talento georgiano Beka Gochiashvili, momento di collegamento per chi nel 2014 li ascoltò nelle invernali Estival Nights: «Credo che il più vecchio dei musicisti di questa band abbia trent’anni», ci dice Clarke. «Sì, suonare con gente giovane si può definire una missione», conferma, andando con la mente all’interplay tra vecchie e giovani generazioni che caratterizzò i suoi inizi: «A diciott’anni cominciai a suonare con gente che aveva gli anni che ho io oggi. Furono così gentili con me. In particolare Stan Getz e Art Blakey, che mi diede una grande lezione sull’essere in ritardo. Quella gentilezza mi permise di aprirmi ai loro insegnamenti. Fu lì che iniziai a imparare». Questo perché «nel jazz la lezione passa di generazione in generazione. Chi suona con me, quindi, ne apprende la storia, le tradizioni e il dono del saper suonare molti linguaggi differenti».


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Stanley Clarke con Julian Iorio

Eredità

Di giovane in giovane, di collaborazione in collaborazione, di Estival in Estival, il discorso approda dalle parti dei Return to Forever, momento di svolta di suoni e stili con a capo uno degli amici di Estival, e di Clarke, che manca da due anni: Chick Corea. «La sua morte ci ha rattristati moltissimo. È vero, è stata una sorpresa, ma io ho avuto il presentimento che fosse gravemente malato dal modo in cui le sue dita ultimamente si muovevano. Perché di solito, indipendentemente dall’età di un pianista, le dita si mantengono integre sino alla fine. Non penso a Keith Jarrett, cui il cuore ha causato danni permanenti, ma a Oscar Peterson, per esempio». O a Vladimir Horowitz: «È stato uno dei miei pianisti classici preferiti. Tanto tempo fa andai ad ascoltarlo alla Carnegie Hall; le sue mani suonavano un pezzo complicatissimo di Skrjabin, mentre lui era immobile. Eppure, quella sera suonò forse meglio di quand’era giovane. Chiesi a un amico se stesse bene e quello mi rispose che non stava male, ma che avrebbe avuto bisogno di riposo».

L’idea di un tour insieme svanì la notte prima che Clarke volasse in Florida per incontrare Horowitz. Quanto a Corea: «Chick, è noto, è stato un grande pianista e compositore, ha lasciato un’eredità immensa. Siamo cresciuti insieme, a dieci anni di distanza l’uno dall’altro, quando io avevo 18 anni lui ne aveva 28. È stata una bella esperienza».

Sul proprio futuro, il 72enne musicista nato a Filadelfia offre garanzie di continuità. Ha appena dichiarato alla stampa statunitense che non si ritirerà mai: «Ma certo – conferma – perché mai dovrei fermarmi? Non c’è un momento specifico nel quale uno si deve fermare. Elvin Jones suonò fino alla fine, con la maschera dell’ossigeno attaccata alla bocca. Ecco, io vorrei evitare al pubblico una scena così macabra, ma suonerò finché mi sentirò fisicamente in grado di farlo. Non credo nel ritiro come accade nello sport, il jazz non è la boxe, e in musica la parte più importante del corpo è qui sopra». E indica la testa.

Di lì a poche ore, insieme ai suoi giovani virtuosi (il batterista Jeremiah Collier da Chicago, per esempio, tanto per fare un altro nome), quella pertica di Stanley Clarke regala una mattonella di palco al sassofonista Julian Iorio, 10 anni, di Roma, tre volte più piccolo; suonano insieme (guarda un po’) ‘School Days’, dall’omonimo album del ’76 e quel che accade è sincero e onesto, perché il ragazzino – ce n’eravamo accorti alla Smum un anno fa – sa esattamente quello che fa: «Lo vedrete qui molto presto», dice Clarke prima di lasciare il palco a Gilberto Gil. Il vecchio Stanley è in missione, lo ha detto all’inizio: c’è un motivo per il quale non gli si dovrebbe credere?


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Gilberto Gil

Sotto il palco

Tanti saluti da Lugano de Janeiro

di Roberto Scarcella

Gilberto Gil sale sul palco con i sandali ai piedi e un sacco di gente al seguito. Talmente tanta che ti chiedi se ci sia abbastanza spazio sul palco. Sembra una di quelle famiglie di una volta che arrivava al mare, tutti in fila dietro al capostipite, piantando gli ombrelloni e disseminando borse frigo per la spiaggia. Gil e la sua famiglia disseminano strumenti musicali, sorrisi, voci celestiali e passi di danza semplici e sublimi che, lo capisci subito, sono eseguiti da qualcuno che non ha nemmeno dovuto impararli.

Basta mezza canzone e siamo già tutti in Sudamerica. Gil si avvicina al microfono e chiede “ci sono brasiliani qui”? A rispondergli – urlante, gaudente – c’è più di mezza piazza.

Saltano fuori bandiere verdeoro, messaggi d’amore in portoghese e anche uno smartphone che – non si sa come – riproduce uno di quei maxischermi con i messaggi circolari. C’è scritto “Gil te amo – Ingrid”. Ingrid è una delle donne alla sinistra del palco, una specie di torcida calcistica che non perde mai Gil con lo sguardo come il tifoso non perde di vista il pallone. Hanno venti, trenta, quaranta, settant’anni e più: hanno davanti uno dei pezzi più splendenti del loro Paese lontano, che è insieme bellezza e scempio. Gil le ha vissute e descritte entrambe quelle due anime. È – non bisogna temere di esagerare – un padre della patria che ha fatto il giro del mondo, amandolo, ricambiato. Canta in francese e poi in spagnolo con una pezzo che è un inno al suo continente sempre con l’acqua alla gola: ‘Soy loco por ti, América’.

Spuntano magliette del Corinthians e anziane col bastone che improvvisamente ballano dimenticando il bastone e il peso degli anni. Ci sono giovani cresciuti quando Gil era già vecchio: sanno le canzoni a memoria. ‘Tempo rei’ (“Acqua dolce, roccia dura…”), uno di quei miracoli che fanno le note, i poeti, fotografando l’infotografabile, il mistero del tempo. “Tutto questo potrebbe stare in un secondo”, canta Gil, la sua curva lo sa e non se ne perde uno in sua compagnia. Il resto del pubblico resta contagiato, batte le mani, cerca di capire questa lingua così apparentemente simile eppure lontana dall’italiano.

Gil poi presenta la famiglia che è famiglia per davvero: la sorella, il figlio, la moglie del figlio, il figlio della sorella, il nipote, l’altro nipote, la fidanzata del nipote. Resta la famiglia allargata, quella “musicale”, quelli che hanno un legame profondo con lui, ma non di sangue: curiosamente questi ultimi hanno tutti una maglietta marinara a strisce orizzontali.

Per preservare la voce, il vecchio Gil passa il microfono ai giovani, uno – dopo la sua esibizione – lo bacia delicatamente in fronte. Poi torna protagonista e omaggia l’amico Caetano Veloso e, con ‘Ovelha negra’, un’altra voce del Brasile che fu e sempre sarà, Rita Lee, morta lo scorso maggio.

Su ‘Aquele abraço’ una sua compatriota diventa ballerina aggiunta davanti alle prime file. La torcida lo farebbe cantare fino all’alba, lui sfodera per il gran finale l’asso ‘Toda menina baiana’: Dio, carnevale e ragazze del suo mondo, dall’altra parte del mondo. Il Monte Brè, dietro la piazza, con tutto questo Brasile nella testa e nelle orecchie, anche lui può sentirsi – per una sera d’estate – il Pan di Zucchero. Saluti da Lugano de Janeiro.


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Sabato 8 luglio, Piazza della Riforma