A proposito delle sette statuette per l’inatteso ‘Everything Everywhere All at Once’, capace di fare centro nel mezzo fallimento dei film hollywoodiani
Si è chiusa la 95esima edizione degli Academy Awards, gli Oscar assegnati dall’industria cinematografica americana, iniziativa di un’accademia delle scienze e delle arti cinematografiche nata nel 1927 con Louis B. Mayer, dirigente della Metro-Goldwyn-Mayer che chiamò al suo fianco l’attore Conrad Nagel, il regista Fred Niblo e il capo della Alliance of Motion Picture Producers, Fred Beetsonto, capace di richiamare intorno a sé e alle sue decisioni il mondo intero, o almeno quello interessato al cinema. Un mondo, come si è ben compreso dalla cerimonia, che si trova in un momento di tensione per Hollywood, per motivi che forse al pubblico europeo sembrano lontani, ma il fatto è che i consumatori, quelli che alimentano l’industria cinematografica, hanno abbandonato la Tv via cavo per passare ai servizi di streaming in abbonamento, favorendo la presa di potere di Netflix, da cui la difficoltà dei grandi studios a rispondere a questa nuova realtà.
L’industria dell’intrattenimento, inoltre, ha attraversato un periodo di consolidamento, con la fusione di Discovery con WarnerMedia, l’acquisto da parte di Disney di gran parte della 21st Century Fox e l’acquisizione da parte di Amazon di Mgm, operazioni che nei primi due casi hanno lasciato gli acquirenti con molti debiti in bilancio. Un fatto importante è che lo streaming non è riuscito a sostituire le vecchie modalità di guadagno, come gli abbonamenti via cavo e la vendita dei biglietti del cinema. Se pensiamo poi che questa situazione ha portato a una recessione che ha significato per gli studios trattative sindacali intricate con i sindacati che rappresentano scrittori, registi e attori, allora riusciamo a capire la direzione presa dai premi di quest’anno, che a fronte dei sette Oscar all’outsider ‘Everything Everywhere All at Once’ di Daniel Kwan e Daniel Scheinert (i cosiddetti ‘Daniels’), anche Miglior film, ha segnato il fallimento dei più attesi film hollywoodiani come ‘The Fabelmans’ di Steven Spielberg, ‘Elvis’ di Baz Luhrmann, ‘Top Gun: Maverick’ di Joseph Kosinski e ‘Avatar: The Way of Water’ di James Cameron.
Questi Oscar sono stati un trionfo per A24, lo studio indipendente che ha spinto questo film definito ‘gonzo’ – termine che supera il già forte termine ‘bizzarro’ – a raggiungere l’impressionante cifra di 100 milioni di dollari al botteghino, risultato sbalorditivo in un momento in cui il mercato dei film d’essai si è ridotto. C’è di più: lo studio è riuscito anche nella rara impresa di aggiudicarsi tutti e quattro i premi per la recitazione, tre dei quali sono stati vinti da ‘Everything Everywhere All at Once’: Michelle Yeoh miglior attrice, Jamie Lee Curtis e Ke Huy Quan rispettivamente migliori attrice e attore non protagonisti. È di A24 anche l’Oscar per il miglior attore protagonista, assegnato a Brendan Fraser per ‘The Whale’ di Darren Aronofsky, film che ha portato a casa il secondo Oscar per il miglior trucco e acconciatura a Adrien Morot, Judy Chin and Anne Marie Bradley.
A proposito di Michelle Yeoh, è la prima donna asiatica a essere premiata come migliore attrice. Dopo una lunga carriera nelle arti marziali e in film d’azione come ‘Yes, Madam’ di Corey Yuen e ‘Crouching Tiger Hidden Dragon’ di Ang Lee, ritirando il premio ha detto: "Signore e signori, non permettete mai a nessuno di dirvi che avete superato il vostro momento migliore". E ancora: "Per tutti i ragazzi e le ragazze che stanno guardando questa sera, questo (l’Oscar, ndr) è un faro di speranza e di possibilità".
Ke Huy Quan, marito logorroico di Yeoh nel film dei ‘Daniels’, è una ex star che da bambino apparve in ‘Indiana Jones e il tempio maledetto’ e ‘I Goonies’. Accettando il premio, ha trattenuto le lacrime ricordando la sua storia personale: "Il mio viaggio è iniziato su una barca. Ho trascorso un anno in un campo profughi e in qualche modo sono finito qui, sul più grande palcoscenico di Hollywood. Dicono che storie come questa accadono solo nei film. Non posso credere che stia accadendo a me. Questo è il sogno americano".
Jamie Lee Curtis, veterana di successi horror come ‘Halloween’ e commedie come ‘Un pesce di nome Wanda’, figlia delle leggende di Hollywood Janet Leigh e Tony Curtis, vincendo il premio come miglior attrice non protagonista per la sua interpretazione di un’ispettrice del fisco nello stesso film ha dedicato la sua statuetta "a tutte le persone che hanno sostenuto i film di genere che ho fatto per tutti questi anni", e ha aggiunto: "Mia madre e mio padre sono stati entrambi nominati agli Oscar in categorie diverse, ma non hanno mai vinto un Oscar. Questo è per loro". Da parte sua, Brendan Fraser, miglior attore per la sua interpretazione in ‘The Whale’, in cui è un uomo morbosamente obeso che cerca di ricongiungersi con la figlia allontanata, aveva trascorso gli ultimi dieci anni lontano dai riflettori per affrontare problemi di salute e personali. Ha ringraziato il suo regista, Darren Aronofsky, per avergli "lanciato un’ancora di salvezza creativa e avermi tirato a bordo". Tornando al film vincitore, ‘Everything Everywhere All at Once’ rappresenta un allontanamento radicale dal tipo di stabulazione di prestigio che storicamente ha dominato gli Oscar.
A guidare la serata è stato Jimmy Kimmel, tornato per la terza volta a condurre gli Oscar. Il comico non ha perso tempo nel ricordare il grande momento della cerimonia dell’anno scorso, Will Smith salito sul palco a schiaffeggiare Chris Rock: "Se qualcuno in questo teatro commette un atto di violenza in qualsiasi momento di questo spettacolo – ha scherzato Kimmel – vi verrà assegnato l’Oscar come miglior attore e vi verrà permesso di fare un discorso di diciannove minuti".
Tra i film più premiati, ‘All Quiet on the Western Front’ di Edward Berge, adattamento del romanzo di Erich Maria Remarque sulla vita di trincea durante la Prima guerra mondiale, un classico dell’antimilitarismo, remake dell’omonimo film del 1930 diretto da Lewis Milestone, che allora si aggiudicò i premi Oscar per film e regia. Quattro le statuette per la pellicola tedesca, compreso il premio per il miglior film internazionale e la miglior colonna sonora. Tra gli altri premi assegnati, importante quello a ‘Pinocchio’, il musical in stop-motion di Guillermo del Toro, scelto come miglior film d’animazione. Per il regista si tratta dell’ottavo Oscar della sua carriera, un riconoscimento alla magia del suo fare cinema.
Oscar per il miglior documentario, ‘Navalny’ di Daniel Roher, Odessa Rae, Diane Becker, Melanie Miller e Shane Boris è uno sguardo emotivo (ma non emozionante) sul leader dell’opposizione russa Alexei Navalny. Yulia, moglie del politico imprigionato, è salita sul palco dopo l’annuncio del premio con un messaggio rivolto al coniuge: "Sogno il giorno in cui tu sarai libero e il nostro Paese sarà libero". Nonostante questo premio, gli Oscar hanno scelto di non immergersi completamente negli affari internazionali: per il secondo anno consecutivo, il programma ha rifiutato le proposte del presidente ucraino Volodymyr Zelensky di parlare al pubblico mondiale delle lotte del suo Paese contro l’invasione illegale della Russia.
Con tutti i premi conferiti quest’anno, gli Oscar hanno comunque segnato un aspetto politico importante: quello di un cinema che, al di là dello spettacolo, vive nel mondo reale.
(Tutti i premiati su www.laregione.ch)