Cinema

Un ‘Grande Lebowski’ divenuto grandissimo

Cade il 25esimo anniversario dell’opera dei fratelli Coen, snobbata dai premi ma diventata film di culto (anche religioso)

Jeff Bridges (Drugo), Steve Buscemi (Donny) e John Goodman (Walter)
9 marzo 2023
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Uscì nelle sale nel 1998 e fu accolto tiepidamente sia dal pubblico che dalla critica, raccogliendo tante candidature e pochi premi (nessuno importante), per poi essere rivalutato fino a diventare cult. Tanto cult da produrre una religione: il dudeismo. Andiamo con ordine...

"Pensavo che sarebbe stato un grande successo. Rimasi sorpreso quando non gli fu dato il riconoscimento che meritava. Non so cosa sia successo, forse le persone non lo capirono". Nel 25esimo anniversario dell’uscita de ‘Il grande Lebowski’ (The Big Lebowski), Jeff Bridges commenta così la commedia noir del 1998 diretta da Joel ed Ethan Coen. L’attore, che nel film dei fratelli Joel ed Ethan Coen è Jeffrey Lebowski detto ‘Drugo’, di quel film affida ricordi e una manciata di immagini (alcune delle quali già affidate nel 2004 al libro fotografico ‘Pictures by Jeff Bridges’) all’Hollywood Reporter, sottolineando il mezzo colpo di fulmine seguito alla prima lettura dello script: "La mia prima impressione – dice – fu che si trattava di una gran copione e che non avevo mai fatto nulla di simile. Pensai che i fratelli (Coen, ndr) mi avessero spiato quando ero alle superiori".

Il Drugo (e la sua Chiesa)

Del cast del film facevano parte anche John Goodman (nei panni di Walter Sobchak, il veterano del Vietnam dal quale arriva, adattato ai moderni odiatori social, il Napalm51 di Maurizio Crozza), Steve Buscemi, Julianne Moore, John Turturro, Tara Reid e Philip Seymour Hoffman. ‘Il grande Lebowski’ ruota attorno alle vicende di Drugo, hippy dai tempi assai rilassati, assiduo fumatore di marijuana e accanito bevitore di White Russian, la cui pigra esistenza si trascina tra la nullafacenza e il bowling con gli amici Walter e Donny. La quotidiana pace viene sconvolta dalla visita di due scagnozzi inviati dal magnate del porno Jackie Treehorn, che gli intimano di pagare i debiti che sua moglie avrebbe accumulato nei confronti del boss. Solo dopo l’aggressione i due scagnozzi si rendono conto di avere sbagliato persona, scambiandolo – per uno strano caso di omonimia – col signor Jeffrey Lebowski, miliardario locale.

Per la rivista ‘Empire’, ‘Il grande Lebowski’ siede pacifico al 40esimo posto tra i 500 migliori film della storia. La stessa testata inserisce il Drugo al settimo posto nella lista dei 100 migliori personaggi cinematografici di tutti tempi. Nel 2014, il film è stato scelto per la preservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Molto tempo prima, era iniziata la pubblicazione di saggi come ‘The Year’s Work in Lebowski Studies’, a cura della Indiana University Press, nel quale si spiega anche la corretta preparazione del White Russian. Il ‘Lebowski Fest’, celebrazione collettiva, si tiene in molte città d’America sin dal 2002; risale al 2005, invece, la fondazione del suddetto ‘dudeismo’, religione dedita in gran parte alla diffusione della filosofia e dello stile di vita del protagonista del film. Conosciuta anche come ‘The Church of the Latter-Day Dude’ (parodia ‘Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni’), l’organizzazione ha ordinato oltre 220mila ‘Dudeist Priests’ in tutto il mondo tramite il suo sito web.

Dietrofront

Presentato in prima mondiale al Sundance Film Festival il 18 gennaio 1998, vagamente ispirato a ‘The Big Sleep’ di Raymond Chandler, ‘Il grande Lebowski’ ha rivoltato il genere noir come un calzino. "C’era qualcosa di attraente nel fatto che il personaggio principale non fosse un investigatore privato, ma solo un fanatico che capiva intuitivamente i dettagli di un elaborato intrigo", disse una volta Ethan Coen. Di quel personaggio, sempre all’Hollywood Reporter, Bridges rivela la preoccupazione di interpretare un grande fumatore: "Le mie figlie erano preadolescenti e io ero preoccupato di dare il cattivo esempio, so bene cosa vuol dire per un bambino essere figlio di una celebrità". Anche se i dialoghi del film potrebbero sembrare il prodotto di almeno un po’ d’improvvisazione, Bridges dice che gli attori sono rimasti molto fedeli alla sceneggiatura.

Ai pochi riconoscimenti raccolti, compensati da un incasso milionario e costante, corrisponde la lista di critici cinematografici che sono tornati sui propri passi, alcuni ancora abbacinati dal bianco della neve in ‘Fargo’ (due Oscar nel 1997, ai Coen e a Frances McDormand), altri non ancora pronti per la sublime parolaccia d’autore.