Prodotto dalla luganese Cinédokké, al film della regista svizzero-canadese Sophie Jarvis è andato il premio più importante di Soletta
Un festival bello quello di quest’anno a Soletta, che si conclude anche con un bel palmarès: il Prix de Soleure, dotato di 60mila franchi, va a ‘Until Branches Bend’, primo lungometraggio della regista svizzero-canadese Sophie Jarvis, coprodotto dalla ticinese Cinèdokkè di Michela Pini e dalla Radiotelevisione svizzera, già vincitore del Best British Columbia Film Award al Vancouver International Film Fest
In un conservificio, l’operaia Robin scopre un insetto invasivo in una pesca. Una scoperta che avrà conseguenze sulla sua vita e su quella delle persone accanto. Robin sente il dovere di avvisare tutta la comunità del pericolo che tale scoperta possa rappresentare per il raccolto e quindi per la loro esistenza. La difficoltà sarà quella di convincere la comunità, o meglio chi la rappresenta, della serietà della minaccia. Contemporaneamente, Robin stessa è confrontata con una situazione di natura personale: ha una gravidanza indesiderata. Il film è ambientato in una valle stretta, dove tutti, personaggi, luoghi, situazioni, sembrano rispecchiare questa prospettiva limitata. Molto belli e suggestivi i campi lunghi, accompagnati da una musica, spesso solo flauto, che sottolinea un tempo dilazionato, fatto di immagini dalle sfumature pastello, in un’ambientazione quasi retrò. Dai campi lunghi sul paesaggio si passa alle riprese del lavoro in fabbrica, alla grande pesca simbolo del conservificio, alle operaie che lavorano alle vasche e ai nastri trasportatori con le pesche.
‘Until Branches Bend’ è un dramma psicologico, nel quale i problemi sotto la superficie vengono comunque alla luce. Una mattina, infatti, gli abitanti di questo paese vengono svegliati da un ronzio: guardando fuori dalle finestre vedono l’aria infestata dagli insetti; Robin esce e si abbandona al nugolo che riempie l’aria, alza le braccia, chiude gli occhi e si immerge in questa nuova realtà. Seguiranno immagini di devastazione, i pescheti distrutti, i rami piegati – come il titolo del film – e le pesche a terra; i campi e le colline rimarranno spogli e brulli, liberati, dai lavoratori, dei rami e dei tronchi secchi e malati. Un’immagine apocalittica – come non pensare all’invasione delle cavallette della Bibbia – che però termina con un messaggio di speranza: dopo un breve giro sul pickup per i campi che un tempo furono pescheti e dove ora si legge il cartello ‘In vendita’, Robin e la sorella Laney si fermano, tirano fuori due pesche sane e belle e le addentano con gusto. Gettano poi il nocciolo lontano esclamando: "Forse diventeranno degli alberi".
Il premio Opera Prima è andato a ‘Foudre’, di Carmen Jaquier. Anche questo è il primo lungometraggio della regista. Si tratta di una storia ambientata a inizio Novecento in un paese del Vallese. La 17enne novizia Elisabeth viene richiamata a casa dal convento in cui si trova, dopo la morte della sorella maggiore Innocente. Sulla morte della stessa, aleggia un alone di mistero che Elisabeth, giovane donna in lotta per l’emancipazione in una società chiusa, cercherà di svelare. ‘Foudre’ è un mystery film per il quale la regista ha preso spunto anche dai diari di una sua bisnonna. La pellicola ha già ricevuto diversi riconoscimenti, tra i quali il premio cinematografico delle Chiese di Zurigo, riconoscimento accolto da Carmen Jaquier con queste parole: "Premiare ‘Foudre’ significa anche aiutare a rendere visibili la violenza e la sottomissione esercitate dalle autorità religiose fino a oggi. Dovremmo essere liberi di sceglierci le autorità, qualora ne avessimo bisogno. Queste autorità dovrebbero aiutarci a pensare, a riflettere e a crescere, invece che a sottometterci". Il messaggio del film è anche quello che, pur non cambiando il mondo, il cinema debba almeno stimolare a sentire e a pensare.
Carmen Jaquier ha una formazione originaria di grafic design e ciò si ritrova nell’armonia delle immagini, nella scelta delle inquadrature iniziali, vecchie foto in bianco e nero di donne al lavoro nei campi, vedute di pittori svizzeri, un’armonia della natura da preservare dalle sovrastrutture religiose e dalla quale "emana un profumo di libertà", come si legge nella motivazione della giuria premiante.
Terzo film premiato, nella categoria Prix du Public, è ‘Amine – Held auf Bewährung’, documentario di Dani Heusser su Amine Diare Conde, scappato a 15 anni dalla Guinea e richiedente asilo in Svizzera. Durante la pandemia, Amine è stato l’iniziatore di ‘Essen für alle’, un progetto di distribuzione gratuita di cibo per i più bisognosi. Un impegno volontario che lo ha reso famoso, ma che non ha risolto la sua situazione di precarietà, per cui è costretto a combattere per aver diritto a rimanere in Svizzera e a non essere rimpatriato in Guinea.
Tre film con una grande forza comunicativa, con immagini forti, musiche evocative e storie esemplari. "Il mondo ha bisogno di modelli", come detto dal produttore del documentario su Andrei Sannikov, del quale abbiamo parlato su queste pagine alcuni giorni fa. Modelli che il cinema, nella sua funzione comunicativa e anche esemplificativa è in grado di dare e di far arrivare.
Si è chiuso un festival che non ha lesinato emozioni, idee, stimoli. Il festival di Niccolò Castelli, neo direttore, e del suo valido staff. Arrivederci a Soletta 2024.