Una nuova etichetta e nuove storie (alcune tese) di giovane cantautorato ticinese
In questi giorni, Leo Pusterla gravita intorno alla Torre Vagabonda, luogo in cui si svolge ‘La Straordinaria’, iniziativa culturale che anima Lugano dallo scorso 28 dicembre e lo farà sino al 28 marzo. La sua Safe Port Production, neonata etichetta/casa di produzione ticinese, cura la proposta di un palco collaterale della struttura elisabettiana. Al di sopra, artisti già ufficialmente invitati e altri da invitare. E quelli della Safe Port. «Mi piace pensare che, prima di essere un’etichetta, Safe Port sia una casa di produzione, e dunque si concentri sull’aspetto produttivo, sulla realizzazione del progetto». Leo applica i suoi studi milanesi da ingegnere del suono, ma si occupa anche di promozione. «Per quello che posso, naturalmente».
Il leader del Collettivo Terry Blue un’etichetta già ce l’ha. È la Another Music Records di Andrea Manzoni, che si muove tra Milano e la Francia, e che si occupa del Collettivo. «Avere un’etichetta è un lavoro al quale bisognerebbe consacrare il cinquecento per cento della giornata, ed è quello che fa Manzoni per noi. Mi piacerebbe un giorno poter fare lo stesso per gli artisti che seguo io». I Terry Blue hanno un nuovo disco bell’e che pronto, lo suoneranno in Svizzera e fuori. È annunciato come «l’esatta riproposizione di quanto avviene nei nostri concerti». È un album in trio, completato da Eleonora Gioveni alla voce e Filippo Valli al sassofono. Niente ritmica, niente elettrica: «Chitarra e voce è mettersi in gioco, senza effetti, senza abbellimenti. Questo il mood».
"Va meglio, fisicamente sto bene". Era ottobre, il giorno nuovo era cominciato da 25 minuti e così scriveva Pusterla dopo che otto individui si erano appena presi cura lui in una strada di Londra. Dall’Inghilterra, Leo è tornato a casa con le ossa tutte intere, ma con un mini-tour britannico interrotto e, soprattutto, senza più il portatile. È vero che il dolore fortifica? «Di sicuro, mi ha lasciato l’accortezza di fare un back up al giorno...». Ride, il Pusterla, ma se ci proponessero di farci sbattere la faccia contro il muro della stazione di King’s Cross per fortificarci, sceglieremmo una serata sul divano. «Dentro il portatile c’era il mix del primo lavoro ufficiale della Safe Port, perso, da rifare da zero». Dal punto di vista promozionale – ecco a cosa serve, anche, avere un’etichetta – bene per Luca Fellaz, che può dire che in circolazione c’è una versione del suo Ep che nessuno ascolterà mai.
Con tutto il rispetto per il Pusterla aggredito, l’agguato londinese era il doloroso pretesto per arrivare alle prime due produzioni targate Safe Port. Partiamo da Lisa Attivissimo (voce), Raffaele Ancarola (chitarre), Massimiliano Marra (basso), Nicolas Pontiggia (batteria), Sara Crameri (cori), Luca Sormani (tastiere), Giovanni Falbo (sassofono). Mixati e masterizzati da Fabio Marulli – in formazione antieconomica per originaria e generale atipicità – laRegione aveva incontrato i Deep Arte a fine 2021 dopo avere ascoltato ‘Spazio’, autoproduzione nata dalla registrazione a distanza. La bella strafottenza di quel disco, e la medesima ed evidente capacità di costruire storie, si ritrova in ‘Déi vizi’ ("Ho smesso di fumare, di bere, con l’amore, ho smesso con Dio"), mentre un suono più vero e nuova rilassatezza stanno nei quasi cinque minuti dell’ipnotica ‘Sunny Today’, un po’ figlia dei fiori e un po’ figlia delle stelle. Sono i due singoli che aprono a ‘Giant Sun’, il lavoro completo, in tutti gli store digitali il giorno in cui finirà il Festival di Sanremo (11 febbraio).
Come la Fiat, ma la Fiat non c’entra, ‘128’ è l’Ep di Luca Fellaz, nel quale Safe Port è dentro – produttivamente – fino al collo. Locarnese, classe 1990, all’anagrafe Luca Lanini, il Fellaz canta ‘Ain’t Time To Cry’, degna apertura di quartina che pare uscita da un disco dei Terry Blue ma non è Terry Blue (come la Fiat). ‘How Could I’, invece, è il colpo basso emotivo di un’anima ferita e pare uscita da uno studio di Nashville. Il Fellaz non canta in ticinglese, questo è bello, quasi lo preferiamo a quando canta in italiano. E anche se nel mondo indie è un mezzo insulto, il Fellaz ha una bella voce.