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Franco Mussida, cercatore d’oro

‘Il Pianeta della Musica e il viaggio di Iòtu’, l’ex PFM da Tondo a Maroggia il 26 novembre, nel tempio del vinile che diventa tempio del suono

Franco Mussida
(Federica Mirabelli)
18 novembre 2022
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Iòtu ha quattro anni: poggia l’orecchio sulla cassa armonica della chitarra del babbo e si ritrova dentro a un mondo di puro suono. "Occhi sbarrati e la bocca semiaperta come dentro un universo parallelo, fatto di lampi vibranti, immerso negli armonici di una specie di pianoforte planetario". Iòtu è anche un po’ Franco Mussida, che nel concept album ‘Il Pianeta della Musica e il viaggio di Iòtu’ ci porta dentro il suono, esperienza che verrà illustrata a Maroggia, da Tondo, nel tempio del vinile trasformato per l’occasione dal musicista – membro fondatore della Pfm (sua la musica di ‘Impressioni di settembre’), compositore, pittore, scultore e didatta nel suo CPM Music Institute di Milano – in tempio del suono.

Tutto accadrà sabato 26 novembre alle 19. ‘Il viaggio di Iòtu’, portandosi con sé il titolo, è l’estensione naturale de ‘Il pianeta della musica. Come la musica dialoga con le nostre emozioni’ (Salani, 2019), libro dedicato da Mussida agli ascoltatori della musica tutta, senza confini. Nel disco, oltre al suo autore, è lo strumento a parlare, punto di arrivo – «Devo ancora esplorarlo in maniera importante, ma ci siamo vicini» – di una ricerca del suono definitivo.

Franco Mussida, per parlare del pianeta della musica partiamo dal tramite?

È una Chet Atkins degli anni ’90, una chitarra classica affidata al liutaio Marco Vignuzzi, che ha adattato questo strumento alle possibilità di gestione della dinamica, dei bending, che una classica non ha, portandola ad agire come un’elettrica ma senza pedali o marchingegno alcuno che ne modificasse la natura del suono. Ambienti a parte.

Sul pianeta della musica si può ‘ricavare oro dal suono’, si canta, appunto, in ‘L’oro del suono’ in apertura di questo disco...

Come scrivo nel libro, la persona e la musica sono una sola cosa, solo che in questo momento paiono una coppia in crisi. In realtà, se ci fermiamo a riflettere sul nostro modo di rapportarci al mondo del suono, scopriamo meraviglie che stanno lì per essere scoperte. Siamo come il ricercatore davanti a un giacimento infinito di opportunità di conoscenza, e non si tratta tanto di formule musicali – il jazz, la musica classica, il pop – che sono soltanto mezzi di cui abbiamo bisogno per utilizzare una materia; si tratta di codice musicale, disponibile per tutti: se si vuole estrarre ritmo, si estrae ritmo; se si vuole estrarre timbro, si estrae timbro; chi vuole melodizzare, estrae l’organizzazione melodica e la utilizza. Tutti possiamo attingere da quel giacimento, ma si tratta di capire come utilizzare l’estratto. È energia emotiva e, così come quella atomica, puoi utilizzarla per produrre energia elettrica o fare di molto peggio.

Iòtu siamo tutti, lei non di meno: il bimbo con l’orecchio appoggiato alla chitarra era il piccolo Franco?

Sì, l’apertura è dichiaratamente autobiografica. Da qui, il bimbo va a incarnare due ali di energia, quella delll’Io e quella del Tu, la prima che porta a considerare sé stessi come l’unico elemento interessante del mondo, e l’altra che si rende invece conto del contrario, che esistiamo perché esistono gli altri, perché esiste la natura, perché esiste una socialità. I due elementi si fondono in uno soltanto, che incarna la sua natura bambina sempre, anche crescendo, e va in cerca della verità. Un po’ come il bambino della favola di Hans Christian Andersen, nella quale accade che tutti vedono un re meravigliosamente vestito, perché se dicessero il contrario sarebbero decapitati, mentre il bambino vede il re esattamente com’è, nudo.

Ha dato una definizione della sua musica in questo specifico lavoro: ‘Difficile da suonare, facile da ascoltare’…

Noi suoniamo ciò che siamo. Quanto più il musicista riesce a fare su di sé un lavoro di consapevolezza, quella del poter trasmettere attraverso il suono la privata dimensione emotiva, sua personale, tanto più il suo prodotto acquista una direzione, un potere ‘magico’. La musica è una meraviglia del cielo, si trasmette per contagio; io mi emoziono e metto a disposizione di chi mi vuole sentire questa cosa vibrante, e attraverso il fenomeno della vibrazione due esseri s’incontrano. Faccio il mio, provando a essere coerente con quanto sostengo.

Anche nelle scuole di musica, parallelamente al suonare, s’insegna ad ascoltare. Lei, da fondatore del CPM, ne sa qualcosa…

Una scuola di musica popolare contemporanea insegna prima di tutto il timbro di un essere, di una persona, e il suono di una persona non può essere mai uguale a quello di un’altra. Anche dal punto di vista dell’insegnamento, in questo senso, deve esistere il massimo rispetto per la diversità, elemento primario della formazione. Oltre a insegnare l’essenziale e l’opportuno, ovvero la parte tecnica e teorica, noi siamo di fatto dei motivatori. L’esperienza va poi ben al di là di questo. Al CPM proviamo a portare avanti l’idea che il musicista debba poter essere sempre più consapevole del proprio ruolo educativo, anche nei confronti degli altri.

Il CPM è nato nel 1985: ha un termometro della situazione attuale? Quanta voglia d’imparare la musica c’è in questo momento?

In tutti questi anni non ho mai smesso di riscontrare in tutte le generazioni il bisogno e il desiderio di potersi misurare ed esprimere anche attraverso il suono. Prima ci sono state le generazioni con le creste, poi sono venute quelle coi piercing, poi i tatuaggi e così via. Ora, in maniera abbastanza pesante, è arrivata la tecnologia, che ha permesso – anche a chi intimamente non si sente un musicista – di finalizzare la grande voglia di esprimere la propria condizione.

Il mercato dell’informatica ha messo tutti nella condizione di poterlo fare, ora non si tratta più di esprimere un giudizio su questi ragazzi, i dischi che producono sono la cronaca del loro momento storico: c’è piuttosto da chiedersi, di fronte a milioni di queste necessità espressive, quante di esse potranno durare nel tempo, ovvero quante produzioni si portano a termine immaginando il futuro e quante invece si fermano alla mera cronaca del presente. Con i nostri ragazzi, lavoriamo per riuscire a far comprendere loro che esiste una grande differenza tra le due cose.

Almeno lei, il pianeta della musica, l’ha trovato?

Sono in ricerca continua.

Mi perdoni se insisto: quando ha scritto ‘Impressioni di settembre’, lei si trovava sul pianeta della musica? Dica la verità…

‘Impressioni di settembre’ è stata l’ultima composizione prima di lasciare la casa in cui ho vissuto con i miei genitori. Mi trovavo nella dimensione emotiva dell’andarmene via per tuffarmi nella vita completamente, totalmente. Il testo esprime di suo la dimensione epica del viaggio. Dico sempre che quando arrivano cose come ‘Impressioni di settembre’, per me sono sempre regali: non posso far altro che prenderli, registrarli e restituirli. Mi piace continuare a immaginare di poter essere un’antenna, restituendo qualcosa che mi appaga e che spero possa appagare chi ascolta. Anche questo nuovo lavoro è stato un regalo, in quanto non programmato. Sarà un piacere e un onore poterlo condividere anche a Maroggia.