Due concerti, nei Saal Salquin e Luzerner Saal, fra brani che fanno rimpiangere le palpebre alle orecchie e banalità sconcertanti, fino al riscatto
Un uomo a spasso per Dublino dalle otto di mattina alle due di notte è la trama dell’Ulisse che James Joyce pubblica nel 1922, un secolo fa: mi tenta di citare il suo latino eroicomico e blasfemo nella cronaca di sabato scorso, quando ho seguito due concerti, alle undici di mattina e alle dieci di sera, con in programma tre opere contemporanee.
"Introibo ad altare Dei": nel bellissimo Saal Salquin, un po’ fuori di mano, c’è l’ultima esibizione del Jack Quartet, Christopher Otto e Austin Wulliman, violini, John Pickford Richards, viola, Jay Campbell, violoncello. Eseguono un quartetto dedicato loro nel 2009 da Catherine Lamb, una compositrice americana, adesso quarantenne. Sono cinquanta minuti di una ricerca timbrica, forse interessante per gli strumentisti, ma per il pubblico qualcosa come gli accordi dell’orchestra che precedono l’entrata del direttore prolungati a dismisura, cinquanta minuti di ascolto paziente, col rimpianto che le orecchie non hanno palpebre.
Nel concerto della sera, che si svolge in un Luzerner Saal completo, c’è la prima apparizione della Lucerna Festival Contemporary Orchestra, che dispone quest’anno di cento strumentisti di venticinque nazioni. È diretta da Elena Schwarz, che torna a Lucerna sempre ancora impegnata nel repertorio contemporaneo, questa volta in brani dei due composer in residence.
Purtroppo la "Nuova opera per saxofono e orchestra" di Tyshawn Sorey in prima esecuzione assoluta, per la quale è stato chiamato il saxofonista americano Timothy McAllister, dal curriculum prestigioso, si rivela di una banalità sconcertante. Un Adagio stiracchiato capace forse di commuovere anziani dall’udito compromesso, quando ricordano gli amici scomparsi. Per il pubblico di Lucerna invece l’imbarazzo di dover alla fine sciogliere almeno un applauso di cortesia.
Poi finalmente un riscatto con "In Seven Days" un concerto per pianoforte e orchestra con citazione biblica dei primi sette giorni della Genesi, che Thomas Adès ha composto nel 2008 e ha voluto accostare al teatro musicale con l’aggiunta di immagini in movimento. Infatti nel Luzerner Saal l’orchestra è sovrastata da un immenso schermo, sul quale scorrono immagini in perfetta sincronia con la musica. Lo spettacolo visivo creato dal video-artista Tal Rosner, mi sembra di alta qualità, ma fatico a seguirlo perché sono attratto dall’orchestra, che non è nascosta nella fossa come all’opera. Anche il pianista Kirill Gerstein, con un suono sobrio, essenziale sembra indicare all’ascoltatore i colori iridescenti dell’orchestra. Gli spazi siderali evocati da questa musica danno un senso di vertigine e d’allegria. Elena Schwarz, alta, solenne, vestita di nero, commisura con autorevolezza i comandi e gli inviti; è tempestiva negli attacchi, che sembra dare non con due mani ma con dieci dita, con gli occhi ai sei percussionisti che in alto governano l’immensa percussione.
Clamorosi i consensi del pubblico, che richiama più volte Schwarz, Gerstein, Adès e Rosner prima di lasciar la sala e tornare nella notte di Lucerna a riveder le stelle.