L’intervista

Dodi Battaglia, ‘Inno alla musica’ e ai Beatles (Days)

Stasera a Bellinzona in Piazza del Sole, l’ex Pooh tra grandi successi e brani del nuovo album. ‘Quando sul palco mi volto, vedo ancora Stefano’

Dodi Battaglia e il cartellone dei Bellinzona Beatles Day, sotto l’egida dei Fab Four
19 maggio 2022
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«A Bellinzona sarà un concerto dall’approccio largamente pop, applicabile a tutte le generazioni, fatto dei grandi successi dei Pooh riarrangiati in alcune loro parti, ma sempre rispettando l’input originario. Perché mi piace sorprendere l’ascoltatore, non spiazzarlo». Parole di Dodi Battaglia, protagonista della Special Night che questa sera alle 19 apre il Ventennale dei Bellinzona Beatles Days in Piazza del Sole a Bellinzona. L’ingresso è gratuito per tutti gli eventi, dunque anche per la Beat Night di venerdì con la Extra Reunion (Lanzetti, Comotti, Monieri, Bianchi, Cervetto, rispettivamente da P.F.M., Mito New Trolls, Equipe 84, Formula3) e il Banco del Mutuo Soccorso, con anticipazioni dal nuovo album. Di sabato, una manciata di omaggi e poi The Beatbox, tra le band tributo per eccellenza, accompagnati dallo storytelling di Carlo Massarini, conduttore tv, giornalista, esperto di musica contemporanea.

È un ritorno quello di Dodi Battaglia, già a Bellinzona nell’agosto del 2015 con il fratello di sei corde Tommy Emmanuel. L’ex Pooh torna in Piazza del Sole con ‘Inno alla musica’, album uscito nel 2021 e anticipato da ‘One Sky’, singolo scritto e suonato con l’altro compagno di chitarre Al Di Meola. Tra i brani, l’omaggio a Stefano D’Orazio, batterista dei Pooh morto nel novembre di due anni fa.

Dodi Battaglia: è obbligo partire dai Beatles...

Insieme a Jimi Hendrix e pochi altri, i Beatles sono stati le guiding lights (luci guida, ndr) artistiche alle quali ho fatto riferimento per tutta una vita, per un sistema d’intendere la musica e di suonarla. Quand’ero ragazzino la vita si divideva tra Beatles e Rolling Stones, e tra Lambretta e Vespa. Io ero dalla parte dei Beatles e della Lambretta, perché per noi beatlesiani la Vespa era forse un po’ meno raffinata. Anche se la cosa col tempo si è poi ribaltata.

Parliamo con un virtuoso della chitarra, e a ben vedere nessuno dei Beatles può definirsi un virtuoso in senso stretto…

Innanzitutto, non serve essere tutti John McLaughlin, Al Di Meola e Tommy Emmanuel per fare il nostro mestiere. Faccio un esempio più vicino alla mia vita: i Pooh, una band da 100 milioni di dischi, non hanno avuto virtuosi al loro interno, se non per me che avevo e ho un approccio più tecnico. Meglio così, perché tra quattro virtuosi è difficile convivere. Ci vuole anche qualcuno, com’è accaduto per l’amico Stefano D’Orazio, che all’interno del gruppo sappia fare un passo indietro, ed essere il collante delle aspirazioni da "star" degli altri. L’equilibrio nella vita è importante, e così quello delle persone che collaborano.

Si può dire, a questo proposito, che le rivoluzioni sonore più importanti, nel pop e nel rock, sono arrivate dalle band?

È quel che dico sempre ai ragazzi quando mi chiedono come si riesce ad avere successo. Rispondo loro che non è sufficiente dialogare con lo schermo del proprio computer, ma che serve anche un raffronto con il pubblico e, soprattutto inizialmente, con i propri collaboratori, quelli che ti possono dire se hai scritto una cosa fantastica o da buttare nel cestino. La band è un po’ questo, è una collaborazione con persone che ti scrutano, che selezionano quel che fai e ti fanno risparmiare del tempo. La band sono gli altri, ed è importantissima.

‘Inno alla musica’ è l’ultimo album di Dodi Battaglia. E il verso "tieni un tempo costante" pare il miglior ritratto di Stefano D’Orazio nella canzone a lui dedicata...

Sì, Stefano tiene il tempo ancora adesso. Con tutto il rispetto per i miei musicisti, quando sul palcoscenico mi volto vedo sempre l’immagine avuta per quasi cinquant’anni: Stefano coi suoi riccioli al vento, i suoi tamburi e le bacchette all’aria. Fa parte del mio vissuto, e del mio stare sul palco. Ho scritto ‘Una storia al presente’ di ritorno dal saluto che gli abbiamo dato in Piazza del Popolo a Roma. È un brano che racconta un po’ della storia sua e della mia, come amici e colleghi. È una canzone che dice a un uomo quel che difficilmente si riesce a dire tra due uomini, ripulita da quel senso di pudore che sempre esiste.

E poi c’è l’incognita "Dove sei ora che musica c’è"...

Già quando scomparve Valerio (Negrini, ndr, storico paroliere dei Pooh scomparso nel 2013), alla richiesta di un commento su quel che era accaduto, riposi: "Non ci sono parole", nel senso che non c’erano le parole per descrivere un dolore simile ma nemmeno quelle che potessero competere con la profondità e la bellezza di quanto lui aveva scritto. Una volta andatosene anche Stefano, nel momento di scrivere questo disco, mi sono voluto mettere in gioco, dopo aver cercato di capire la sensibilità di chi, oltre che la musica, come faccio io, scriveva anche le parole. E grazie anche a due giovani collaboratori ho voluto affrontare la scrittura dei testi. Le frasi che mi citi, la interpreto così, sono la dimostrazione che hanno colpito nel segno.

Su questo disco ci sarebbe anche ‘Lisbona’…

‘Lisbona’ è un quadretto che trovo delizioso. Proprio ieri mi hanno chiesto come mai non faccia parte del concerto. È che quando suoni in piazze da migliaia e migliaia di persone non puoi rivolgerti alla gente con brani da palati fini. Però sto con chi lo ha apprezzato. Ci sono riferimenti che sento, che considero coinvolgenti, a tratti dolci.

È un altro bel viaggiare, mi riporta a ‘Appunti di viaggio N.1. L’Europa’, su ‘Più in alto che c’è’...

Era il 1985, quello era un testo che Valerio aveva voluto scrivere su mia indicazione. Gli avevo fornito quel titolo e lui ne aveva fatto lo svolgimento. Fantastico. Fino a un certo punto della mia vita, in fatto di testi, ho avuto solo intuizioni, fino a che sono mancati Valerio e Stefano. Ricordo che quando ebbi la possibilità di collaborare con Gino Paoli, grande artista, stava realizzando ‘Quattro amici’; lo dissi a Valerio, gli cantai il pezzo "eravamo quattro amici al bar", gli dissi che i quattro amici al bar eravamo noi, noi Pooh. E lui, su questa mia considerazione, scrisse ‘Amici per sempre’.

‘Inno alla musica’, il brano che dà il titolo all’album, è un tributo dai mille riferimenti alla grande tradizione italiana. Ci sono Dalla, Pavarotti, Battisti, Tozzi, Bocelli. C’è anche un ‘Corriere della Sera’ che sa tanto di ‘Uomini soli’…

Sì, viene esattamente da lì. Dirò una cosa che non ho potuto scrivere nel testo. Se tu vai a New York e sanno che sei un musicista, una delle prime cose che ti potrebbero chiedere è se hai conosciuto Bocelli o Pavarotti. E se gli dici che li hai conosciuti, come nel mio caso, potresti anche vedere rotolarsi per terra chi te l’ha chiesto. Questo per dire che da noi Bocelli, Pavarotti, la Ferrari, Verdi, Puccini sono dati per scontati, e invece bisogna riprendere a dare l’esatta caratura alle cose preziose che l’Italia ha fatto nel mondo. Senza pudore o ritrosia nel dire che siamo proprio quel popolo di poeti, navigatori, musicisti, quelle persone che vanno in giro per il mondo e diventano l’uno Frank Sinatra, l’altro Gino Vannelli, altri ancora i Toto (Steve, Mike e Jeff Porcaro, discendenti di emigrati italiani, ndr). O Al Di Meola stesso, nato in un paesino in provincia di Avellino. Prendiamone coscienza.

Di Meola è nel singolo ‘One Sky’, Bellinzona ancora ricorda la serata a due con Tommy Emmanuel: ora manca soltanto il duetto con John McLaughlin…

A McLaughlin sono arrivato vicino. Ho un amico jazzista che vi collabora, ma per timore o pacatezza non ho mai spinto sull’acceleratore per arrivare così in alto. Un sogno è lui, l’altro sogno è Eric Clapton, che conosco personalmente e che suonerà a Bologna. Avrei voluto chiamare l’amico Zucchero, col quale lui ha un ottimo rapporto, per far chiedere a Eric se per caso a Bologna non gli avanzano trenta centimetri di palco libero per un chitarrista ritmico, che io mi metto a disposizione (ride, ndr). Non ho chiesto perché sono cose he vanno un po’ coltivate. Non si può chiedere: "Ascolta Eric, dai facciamo un pezzo!". Bisogna parlare con i segretari, con i manager…

Anche Clapton è stata una guiding light?

Sì, insieme ai Beatles, a Hendrix, ai Led Zeppelin, più avanti John McLaughlin e tutto il prog dagli anni ’70 in poi. Sono stati la mia maniera d’intendere la musica.

L’album con Tommy Emmanuel era ‘Dov’è andata la musica’. Ripropongo quella stessa domanda, sette anni dopo, nei giorni in cui l’Italia è sì la melodia ma anche il rock dei Måneskin, fenomeno italiano non in lingua italiana...

I Måneskin sono un progetto internazionale, così nascono oggi molti progetti. Credo che i giovani, per cultura, conoscenza, e per la facilità con cui possono girare il mondo, parlino ormai tutti un linguaggio universale. I Måneskin sono l’espressione rock anche della maniera di fare musica dei Pooh quando noi facevamo cose più rockettare, e cioè l’approccio passionale, carnale, di pancia, di gente che dà tutta se stessa, con l’ardore, la passione e il know-how. Questo amo di loro, la convinzione di essere nel giusto, un presupposto fantastico per fare, mi auguro, una carriera lunga come quella dei Pooh. Ma questo lo vedremo fra cinquant’anni...