Berlinale

Il dolore di vivere in Concorso

Successo del primo film svizzero ‘La ligne’ di Ursula Meier, nel giorno del capolavoro ‘Rimini’ di Ulrich Seidl

Michael Thomas in ‘Rimini’ di Ulrich Seidl
(Ulrich Seidl Filmproduktion)
11 febbraio 2022
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Una bella giornata di cinema in Concorso, nelle sale di questa Potsdamer Platz divenuta da segno di un tempio della modernità architettonica a cimitero di un sogno, la sera addirittura spettrale, dove il Covid ha distrutto qui ogni attività di bar, ristoranti, negozi, uffici e persino multisale. Alla sera dopo le 22 non si trova da mangiare, non che il resto di Berlino se la passi meglio, qui il virus sta lasciando tracce indelebili sulla vita di comunità.

Tornando al Concorso. Successo del primo film svizzero ‘La ligne’ di Ursula Meier, proprio nel giorno segnato da un capolavoro qual è ‘Rimini’ di Ulrich Seidl e dalla resa di un film che ha deluso le attese come è stato ‘Robe of Gems’ di Natalia López Gallardo. Già il fatto che, su tre film, due siano firmati da registe è un fatto importante e mai come in questo breve confronto si sono misurati i diversi colori della tensione emotiva tra i lavori delle due registe e quello del regista austriaco. Non si tratta di valori determinati da stelline, ma proprio di scelte drammaturgiche e di regia diverse, e in questo senso non sorprende la grande qualità e la pregevole sensibilità di Ursula Meier nel guidare cast e tecnici in un film difficile qual è ‘La ligne’. La ‘linea’ del titolo è quella che divide Margaret (una intensa e convincente Stéphanie Blanchoud) dal resto della sua famiglia; si tratta di cento metri che lei non deve oltrepassare, è la pena che deve sopportare, in attesa del processo per aver picchiato selvaggiamente la madre (una insostituibile, per grazia d’attrice, Valeria Bruni Tedeschi) causandole la perdita dell’udito da un orecchio. Il loro è un rapporto frantumato: la nascita di Margaret aveva definitivamente bloccato la nascente carriera di musicista della madre, che in lei alla fine non aveva trovato neppure la soddisfazione di un cammino artistico. A interagire con loro, le altre due figlie della pianista diventata insegnante di musica, una incinta di due gemelle e la più giovane in preda a una crisi mistica. Su quei cento metri corre il filo di una vicenda che coglie il processo di maturazione di una donna che si sente incomoda dalla nascita. Tutto funziona alla perfezione, si potrebbe dire come un orologio svizzero, se non fosse per le emozioni, che al di là del felice meccanismo, segnano in gran quantità il film.

Con altra intensità e forza dell’immagine e delle interpretazioni viaggia il superbo ‘Rimini’ di Ulrich Seidl. Ci troviamo di fronte al destino di due uomini: un pittoresco cantante pop in declino, Richie Bravo (uno straordinario Michael Thomas) e il suo vecchio padre (un monumentale Hans-Michael Rehberg). La Rimini del titolo è la città di Fellini sull’Adriatico e Seidl la racconta d’inverno, nel fallimento del vuoto con solo migranti a far da fisse quinte, come coro greco a sottolineare muto il destino di quel fallito eroe che è il protagonista. Ma l’inizio folgorante è in una casa di riposo in Austria dove è ricoverato il padre di Richie; questi, insieme al fratello, lo è venuto a prelevare per portarlo al funerale di sua moglie, la loro madre. Il vecchio uomo sembra ormai non capire, perso nei viaggi della sua mente. Richie torna a Rimini dove qualche hotel ancora aperto fuori stagione accoglie ricchi anziani tedeschi che altro non aspettano che sentirlo cantare vellutate melodie Wurlitzer, che aiutano lo stanco cantante ad arrotondare lo stipendio vendendosi come stallone alle vecchie signore che bene lo pagano. Il gioco va avanti finché appare improvvisamente sua figlia, che non vede da quando era bambina, lasciando lei e la moglie. Ora la figlia gli chiede di riparare con dei soldi: è a Rimini, con il camper del suo ragazzo, un siriano, che viaggia con altri giovani arabi. Lui non fa mancare la richiesta e inventa uno schifoso ricatto al marito di una delle sue vecchie amanti; la figlia non vorrà solo i soldi, mentre lui continua a riempirsi di grappa e a fumare. Intanto il padre, solo e con la mente che lo tradisce, riesce a mettere su un vecchio riproduttore una musica che gli è cara fin da bambino: è uno dei Lied di Franz Schubert dalla raccolta Winterreise; con la struggente musica, chiama sua madre e piange perché non è con lui, in un momento di magica e assoluta emozione. Seidl dirige con assoluta maestria e il suo dettato su questa umanità arrivata alle soglie della morte e ancora decisa a non morire è di assoluto rigore come la sua visione invernale di Rimini, scena perfetta per suggellare il suo detto. E proprio in questo generale gelido inverno di natura e umanità si rivela tutto il capolavoro della composizione d’immagini del regista austriaco.

Non convince invece ‘Robe of Gems’ di Natalia López Gallardo, un film che nasce da una buona idea, quella di raccontare il mondo rurale e crudelmente delinquenziale del Messico di oggi, con rapimenti, sparizioni, ritrovamento di cadaveri irriconoscibili, traffico di armi e droga, e machismo assordante come il volume delle televisioni. Succede però che la voglia di dire molto della regista si tramuti in un freddo sequenzialismo di situazioni che annoia per il suo vuoto narrativo. Poteva fare molto meglio.