Daniele Bernardi ci presenta il suo spettacolo dedicato al grande ballerino e coreografo russo, venerdì 19 a Bellinzona
La vita di Nijinsky, il grande ballerino e coreografo russo dei Ballets Russes. O meglio un episodio particolare della vita di Nijinsky: il manifestarsi dei primi segni di squilibrio mentale a St. Moritz, dove nell’inverno del 1918-19 aveva trovato riparo dalla Grande guerra. Parte da qui ‘Io sono Nijinsky’, lo spettacolo di Daniele Bernardi che debutterà domani, venerdì 19 novembre, alle 20.45 al Teatro Sociale di Bellinzona (con repliche dal 26 al 28 novembre al Foce di Lugano per la rassegna Home e il 4 dicembre al Teatro Tan di Biasca).
Lo spettacolo prosegue il percorso sulla follia che Bernardi aveva iniziato nel 2016 con ‘Io, Pierre Rivière…’. «La figura di Nijinsky – ci ha spiegato l’autore – mi ha attratto perché mette insieme alcuni aspetti che mi interessano particolarmente». Il primo aspetto «è il corpo, il rapporto con il corpo, l’espressione del corpo». Poi abbiamo la «scrittura “border-line”: Nijinsky non era uno scrittore, anzi aveva un pessimo rapporto con la parola scritta, ma nel suo diario troviamo riflessioni molto interessanti sull’atto di scrivere». C’è poi un personale interesse per la cultura russa – «il mio primo spettacolo è stato su Mayakovsky, il secondo su Yesenin», ha ricordato Bernardi –, senza dimenticare il rapporto con la poesia, «sia quella che lui portava in scena ballando, sia i tentativi di poesia che troviamo nel suo diario».
Lo spettacolo riguarda un momento particolare della vita di Nijinsky. Ce ne può parlare?
Sì. Dopo la grande carriera con i Balletti russi, Nijinsky ha una crisi con il suo impresario-amante Djagilev e questa crisi diventa sempre più forte finché si sposa con una giovane aristocratica ungherese, Romola de Pulszky. Questo matrimonio segna l’inizio di una catena di eventi che lentamente lo porta alla follia: lascia i Balletti russi, tenta di mettere in piedi una sua compagnia con esiti disastrosi, poi lo scoppio della guerra. Nijinsky si rifugia con la moglie e la figlia in Svizzera e qui – aspetto che ho sottolineato in modo particolare nella drammaturgia – viene a sapere della morte del fratello. Il fratello di Nijinsky era psichicamente compromesso in seguito a una caduta dalla finestra accaduta da bambino, un incidente che ha perseguitato la vita di Nijinsky, a sua volta finito in coma in seguito a un salto durante la scuola di danza.
La rottura con Djagilev, il matrimonio, il diventare padre, la guerra, il crollo dell’Impero russo, la morte del fratello: in quel momento c’è una sorta di cortocircuito e se fino a quel momento la danza era il suo strumento per contenere questa follia, adesso cerca di farlo con la scrittura. Scrive questo diario freneticamente, finché si interrompe e da lì in poi sarà un internato psichiatrico, un malato cronico.
Cosa ha significato passare da questo diario a uno spettacolo teatrale?
Questo è stato il lavoro più difficile. È il diario di un malato psichico che oltretutto non è mai stato scrittore. Si salta di argomento in argomento in maniera repentina e il primo problema è quindi stato dare un ordine a questa scrittura. Ho deciso che l’ordine lo avrebbe dato la scansione delle giornate di St. Moritz: partendo da biografie, testimonianze e scritti della moglie ho creato una voce ‘off’ che scandisce quei giorni che ruotavano intorno a un ultimo spettacolo che voleva fare e che ha fatto.
L’ordine drammaturgico è dato da questo. Gran parte del lavoro è stato tagliare e cucire i pezzi, andando a pescare frammenti e concatenandoli perché come detto il diario è un marasma in movimento.
Che cosa si vedrà in scena? Parliamo di un grande ballerino ma non sarà uno spettacolo di danza.
Me ne sono guardato bene! C’è un grosso lavoro fisico, però è legato all’atteggiamento e a certe cose che ho trovato da un meraviglioso libro di Peter Ostwald, ‘Nijinsky un salto nella follia’, che tratta molto il periodo della follia.
A livello estetico non è una costruzione realista: non c’è Nijinsky chiuso nella sua camera o Nijinsky in ospedale, ma c’è una scenografia prevalentemente simbolica e onirica. Ho scelto di lavorare sul bianco, perché costantemente nei racconti c’è questa St. Moritz con queste nevicate continue. Un’immagine estetica che è stata elaborata benissimo da Ledwina Costantini e Luisa Beelim, la scenografa e la costumista dello spettacolo, che hanno lavorato in modo pazzesco per creare quello che io avevo in mente.
La vita di Nijinsky diventa uno strumento per esplorare il rapporto tra arte e disturbo psichiatrico.
È quello il tema dello spettacolo. A me interessa moltissimo questa dimensione, ho scritto molte volte sulla Collection de l’Art Brut di Losanna, museo che frequento il più possibile, perché mi interessano questi atti in cui vi è l’assoluta mancanza di vanità da parte dell’artista, ma al contempo, a causa della necessità di questi atti artistici, abbiamo un rigore identico a quello della più grande opera d’arte.