La recensione

‘The Movie’, vita pop e miracoli dei norvegesi a-ha

Al contrario della Svezia, prima del 1985 la Norvegia non aveva esportato un solo cantante pop. Poi sono arrivati Morten, Magne e Pål...

Storia di Magne Furuholmen, Morten Harket e Pål Waaktaar Savoy. Da oggi nelle sale ticinesi (foto: Magne Furuholmen)
28 ottobre 2021
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È una biografia sincera e senza troppi fronzoli, che inizia come quei singoli che partono già col ritornello. E il ritornello è ‘Take On Me’, parte cospicua dei 50 milioni di dischi venduti dai norvegesi a-ha, brano col quale il connazionale produttore e regista Thomas Robsahm (figlio degli attori Ugo Tognazzi e Margarete Robsahm) ha scelto di aprire ‘a-ha: The Movie’, in un’alternanza di palchi distante 32 anni dove il tempo è passato solo per il chitarrista Pål Waaktaar (poi Waaktaar Savoy, dal cognome della moglie aggiunto), meno per Magne Furuholmen (tastiere, voce) e ancor meno per Morten Harket, sex symbol ma soprattutto gran voce, che regge ancora su entrambi i fronti.

In ‘The Movie’, le origini degli a-ha partono da Oslo 1974, narrate alla maniera di ‘Take On Me’, richiamando cioè la medesima animazione ideata e creata da Steve Barron nel 1985 per il rivoluzionario videoclip cartoon-misto-a-umani che accompagnò una hit da 1 miliardo di visualizzazioni in YouTube (come soltanto, dal secolo scorso, ‘November Rain’, ‘Bohemian Rhapsody’ e ‘Smell Like Teen Spirits’).

L’infanzia degli a-ha è la musica: è il sentirsi uno dei Beatles come via di fuga per Pål; è il padre trombettista che per Magne è la scintilla; sono le poco gradite lezioni di pianoforte imposte a Morten, che un giorno in auto, cantando un tradizionale norvegese dalle note altissime, scopre “di avere le ali”. Magne che suona la chitarra incontra Pål che suona la batteria e insieme condividono Doors, Huriah Heep, Beatles e Hendrix, tutti tecnicamente inarrivabili, e per fortuna che esistono i Velvet Underground e i Joy Division: “A quel punto abbiamo pensato che avremmo potuto provarci, e suonare anche meglio di loro”. Magne supera il trauma di passare dalla chitarra alle tastiere piegandosi ai ‘consigli’ di Pål, sorta di fratello maggiore che diventa leader, da gratificare anche in quanto autore prolifico, in uno di quei rapporti in cui la competizione porta a grandi cose, ma scava qualche solco ben oltre quelli dei vinili. Per Pål e Magne è l’esordio coi Bridges, completati dal batterista Øystein Jevanord e dal bassista Viggo Bondi. A suo agio con le tonalità di Freddie Mercury, manca solo Morten, scoperto al Club 7 di Oslo dove suona con i Soldier Blue. È amicizia a prima vista, o “un senso del destino”, dice il futuro cantante dei futuri a-ha.


Tempi duri (foto: Henning Kramer Dahl)

‘Dove c’è un falsetto c’è una hit’

Alla fine degli anni ’70, diversamente dalla Svezia dei palindromi Abba, la Norvegia dominante nel settore delle orchestre da ballo non aveva esportato nulla di clamoroso all’estero, non un calciatore, men che meno una popstar. Nel 1981, gli ancora teenager Magne e Pål vanno a Londra per diventarlo, con l’idea di trovare un frontman che suoni l’arpa, perché nella storia del pop un frontman arpista sarebbe una novità. Tornano a Oslo nel 1982, ma non è un fallimento perché a Londra rimettono piede nel 1983 con Morten, consci che per naturale avvenenza e predisposizione sia lui il frontman che cercano (senza arpa, ma coi capelli tinti d’intonaco per pareti); vivono a lungo di solo porridge, regredendo da dignitosi appartamenti in affitto con tappezzeria a bettole per senzatetto; trovano un manager quando i soldi per mantenersi sono finiti, vengono rimbalzati dalla Emi e dalla Decca (motivo d’orgoglio perché la seconda scaricò i Beatles), poi ecco la Warner Bros. Records, che crede in quel pezzo “troppo commerciale”, troppo “Juicy Fruit Song” (canzone da pubblicità delle caramelle alla frutta) intitolato ‘Take On Me’, smontato e rimontato, provato pop, rock, rock-blues, in versione canto del gallo (da ascoltare) e tentativi plurimi di cambiare il ritornello; Terry Slater, tycoon del music business, suggerisce d’inserire un falsetto, perché “dove c’è un falsetto c’è una hit” (e lui lo sa, perché ha lavorato coi Queen).

La prima versione di ‘Take On Me’ curata da Tony Manfield è una hit solo in Norvegia, poi Alan Tarney produce la versione perfetta e il video di Steve Barron fa il resto. È così che la Norvegia si ritrova in testa alle classifiche del mondo e le teenager che urlano non sono più solo quelle del liceo di Oslo. L’album di debutto – il cui titolo arriva dalla bella ‘Hunting High And Low’ e contiene almeno un’altra hit, ‘The Sun Always Shines on T.V.’ – vende 11 milioni di copie; il video vince quel che c’è da vincere e gli a-ha, dai peggiori bar di Londra, viaggiano in Limousine per le vie di Manhattan. Pål, che sul palco si era immaginato come i protagonisti del primo concerto visto nella sua vita – gli Echo & the Bunnymen per tutto il tempo di spalle al pubblico – capisce che le cose andranno diversamente: “Mi ci sono voluti 25 anni per venire a patti con tutto questo”, dice nel film.

‘Ci ha uniti più la musica che l’amicizia’

Quanto sopra è solo la prima, romantica mezz’ora dell’opera di Robsahm. Il resto è quanto segue a partire da ‘Scoundrel Days’ (1986), con la band a dimostrare che “non siamo tizi da cartoni animati”. ‘Stay On These Roads’ (1988), tentativo di consolidare il successo, cade nel momento in cui i norvegesi cantano per James Bond ‘The Living Daylights’ (con divertente aneddoto), imperano sui magazine per adolescenti e la critica li bolla come mera teenage band, etichetta che a toglierla non basta il diluente. ‘East Of The Sun, West Of The Moon’ (1990) è la ricerca di altre strade, in un momento di popolarità che spinge 200mila persone paganti a Rio per quello che fino al Modena Park di Vasco Rossi (2017) resterà il concerto più affollato della storia. Con Magne che prepara l’addio già ai tempi di ‘Memorial Beach’ (1993), nel 1994 gli a-ha sono ognun per sé in progetti solisti. Quattro anni dopo tornano con ‘Summer Moved On’ “a finire il lavoro”, dice Morten; poco dopo, con ‘Minor Heart Major Sky’ (2000), quel processo di ri-beatificazione che è destino di molti si compie con i Coldplay a dichiararsi devoti degli omologhi norvegesi e gli U2 a dire di quando scrissero ‘Beautiful Day’ ispirati da ‘The Sun Always Shines On T.V.’. E gli a-ha sottostimati che ancora riempiono gli stadi (niente playback) sono definitivamente riabilitati.

‘a-ha - The Movie’ è la storia di un frontman che cerca un angolo del mondo in cui rifugiarsi, è un racconto sul valore del songwriting ma anche sulla sana incoscienza; è la fatica di tornare in studio stanti i conflitti mai sanati sulla paternità del vecchio repertorio. “Ci ha uniti più la musica che l’amicizia”, dice Pål a un certo punto, e la splendida versione di ‘Take On Me’ provata e riprovata per Mtv Unplugged del 2017, parte del ricco footage a tratti nostalgicamente analogico, sta lì a dire esattamente questo.


Il film di Thomas Robsahm nelle sale ticinesi dal 28 ottobre