Uno spettacolo attentamente costruito per raccontare storie che non è possibile dimenticare ma che è difficile ricordare
Ci sono storie che “come l’olio nell’acqua, prima o poi emergono”: esperienze dolorose, traumi, eventi che non è possibile dimenticare ma che è difficile ricordare. Come raccontare, dunque, queste storie? Pablo Gershanik e Daniele Finzi Pasca l’hanno fatto con il gioco, la clowneria, la leggerezza di ‘52’, nuova produzione della Compagnia Finzi Pasca che ha debuttato ieri sera al Teatro dell’architettura di Mendrisio con repliche fino a domenica 23.
Ad attendere il pubblico, all’anteprima di domenica, c’era l’ordinato schema urbanistico di una città progettata a tavolino – La Plata in Argentina, dove Pablo Gershanik è nato – e alcuni numeri della tombola. In sottofondo, la cronaca di una partita di rugby e le delicate note di pianoforte composte da Maria Bonzanigo. La scenografia, efficacemente minimalista, di Hugo Gargiulo si arricchisce con una grande torta a piani, tipica dei matrimoni che Pablo porta in scena. Un veloce accenno a una data, il 10 aprile 1975, poi il racconto prende avvio, seguendo i numeri del lotto che l’attore continua a estrarre e ad annunciare come si fa alle feste popolari, seguendo ora le interpretazioni della smorfia, ora associazioni più personali.
Quella strana città tutta regolare e con le vie numerate, saltando il 52 perché al porto di quella strada ci sono i grandi edifici pubblici, il padre medico pediatra, un matrimonio che proprio quella sera – un giovedì, data scelta perché costa meno di un sabato – si celebra vicino alla loro casa. Una grande festa come si conviene ai matrimoni argentini. Anche se la sposa in realtà è francese e l’incontro tra i parenti di lui e quelli di lei, arrivati da Toulouse, dà il via a un funambolico grammelot ispano-francese. Si sorride, si ride di fronte alle descrizioni dei parenti, a questo strano incontro tra culture che poco hanno in comune. Finché non salta fuori la comune passione per il rugby, l’unico sport che unisce gli avversari invece di dividerli.
A rugby giocava anche Mario, il padre di Pablo. Il racconto si allarga: in giro a La Plata, quella sera, c’era anche una banda. “Non era la polizia o l’esercito” spiega l’attore, e gli basta un gesto per lasciar intendere l’affinità con la dittatura di Videla che sarebbe arrivata poco tempo dopo quella notte.
Arrivati a questo punto si potrebbe cambiare registro, anzi di dovrebbe perché ormai è chiaro che quella banda sta per uccidere il padre di Pablo Gershanik. Ma non sarebbe questo il modo corretto per far emergere la storia: e così si spinge ancora di più sulla comicità, dando vita a un ritratto particolarmente divertente dei membri della banda. Nel momento dell’uccisione, è la musica a sottolineare la tragedia mentre Pablo, sdraiato sulla grande mappa di La Plata, dà voce agli ottanta colpi di mitra come un bambino che gioca.
‘52’ è uno spettacolo attentamente costruito: per la capacità di raccontare con leggerezza una storia dura come l’uccisione di un padre, evitando che il riemergere della memoria renda pubblico e protagonista vittime, ma anche per come tutti i racconti e le riflessioni che Pablo Gershanik porta con una risata in scena rimandino all’assenza. Difficile dire se sia davvero un teatro che cura – di questo si occuperà una tavola rotonda che si terrà venerdì alle 18; info: www.tam.usi.ch –, di sicuro è un teatro che regala belle emozioni.