Spettacoli

‘Sweat’, tre giorni nella vita di una influencer

Nei cinema il ritratto di una motivatrice del fitness e star di Instagram, ma il film del regista Magnus von Horn convince solo in parte

13 maggio 2021
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Chi è Sylwia Zajac? Una motivatrice del fitness, una influencer, un’imprenditrice, una donna sicura di sé, un’esibizionista emotiva. O più semplicemente il personaggio inventato da Magnus von Horn dopo che una vera fitness trainer e influencer non ha risposto alla richiesta del giovane regista svedese, ma formatosi in Polonia, di fare un film su di lei. Così il suo ‘Sweat’ – selezionato al Festival di Cannes 2020 e ora nelle sale ticinesi, in programmazione all’Otello di Ascona e prossimamente anche al Cinema Teatro Blenio – ha come protagonista un personaggio inventato da lui e dall’attrice Magdalena Kolesnik che, come ammette lo stesso regista, si è impadronita di Sylwia Zajac dandole vita e spessore. “Magda non aveva nemmeno Instagram all’epoca, ha passato un anno in palestra e molto tempo sui social media per entrare nel ruolo. (…) Quando mi sono perso sul set, so che potevo sempre contare sul supporto di Magda” si legge nelle note di regia. Affermazione che lascia lo spettatore con il sospetto che quel che c’è di non stereotipato, nel personaggio di Sylwia , sia opera di Magdalena Kolesnik, mentre la parti più scontate si debbano a Magnus von Horn. Il regista, da osservatore passivo sui social media e persona tendenzialmente riservata, fatica evidentemente a entrare in un mondo non suo ma che lo ossessiona – si tratta, di nuovo, di sue affermazioni – e così resta sulla superficie, incapace di andare a fondo nei temi su cui ha deciso di lavorare. L’autenticità delle emozioni che si incarnano in video online, la commistione tra vita privata e pubblica che porta a costruire un’immagine di sé di cui non si è più padroni: questioni che vengono affrontate in maniera anche molto interessante – prestate attenzione a quando Sylwya viene fermata da una fan al centro commerciale – ma che alla fine rimangono lì, come sospese.

‘Sweat’ si presenta come un ritratto, uno scorcio quasi documentaristico di tre giorni della vita di Sylwia: gli esercizi di fitness che puntano più alla psiche che al fisico perché il vero problema non sono muscoli e grasso ma la motivazione; le discussioni con gli sponsor preoccupati per la coerenza tra i propri prodotti e l’immagine pubblica di Sylwia; un video diverso dal solito, in cui parla apparentemente a cuore aperto della propria solitudine; un molestatore che si insedia sotto casa sua masturbandosi in auto; la festa di compleanno della madre ma che al centro dell’attenzione vede Sylwia e il suo successo; un’intervista in una popolare trasmissione televisiva per parlare di sé stessa e della sua attività. Di materiale, come si vede, ce n’è tanto, tutto interpretato molto bene da Magdalena Kolesnik alla quale la riuscita del film deve molto. Peccato che il regista punti soprattutto sulla figura forse meno interessante, lo stalker che sarà protagonista di una disavventura che, nelle intenzioni di Magnus von Horn, dovrebbe far maturare Sylwia, portarla a un cambiamento interiore per quanto magari temporaneo. Una sfumatura moralisticheggiante che poteva benissimo risparmiarsi.

Se come autore e sceneggiatore Magnus von Horn non risulta del tutto convincente, è invece da lodare per il bel lavoro di regia: il film è segnato da continui cambi di registro, un miscuglio di generi che arrivano su schermo in maniera armoniosa e unitaria. La storia viene raccontata con quella che Magnus von Horn definisce “una telecamera intima e mobile”, un po’ seguendo la lezione del movimento Dogma 95 di Lars von Trier, un po’ lo stile dei video su Instagram.

Un lavoro interessante, ‘Sweat’: per quanto riuscito a metà, è capace di evocare un mondo, quello “dei social”, e le sue contraddizioni, anche se non a mettere a fuoco il tema. Viene da chiedersi come sarebbe venuto, il film, se la vera influencer avesse risposto alla mail di Magnus von Horn. Forse avremmo un lavoro più autentico, anche se verosimilmente ‘Sweat’ sarebbe diventato un documentario come ce ne sono tanti; anche perché non avremmo avuto la brava Magdalena Kolesnik.