Al festival di Nyon il regista svizzero presenta, nel concorso nazionale, ‘Parallel Lives’, come cambiano le vite di cinque persone nate tutte lo stesso giorno
8 giugno 1964: un lunedì come tanti altri. I Beatles sono atterrati per la prima volta a Hong Kong, Malcom X ha ricevuto alcune minacce di morte, a Dortmund è iniziato un esperimento per vedere come un centinaio di persone possa sopravvivere in un bunker antiatomico. E poi è nato il regista Frank Matter che porta, a Visions du réel nel concorso nazionale (disponibile online su www.visionsdureel.ch), il suo documentario ‘Parallel Lives’. Vite parallele, come quelle di Plutarco: l’intento è grosso modo lo stesso – confrontare le biografie di alcune persone per trarne qualcosa di universale – solo che Matter non prende ventidue uomini, metà greci e metà romani, ma cinque persone, lui incluso, provenienti da Paesi diversi e nate tutti lo stesso giorno, l’8 giugno 1964.
Il progetto originale, pare di capire dalle prime immagini, prevedeva di coinvolgere Elena Andrijanovna, la figlia dei cosmonauti Valentina Tereškova, prima donna ad andare nello spazio, e Andrijan Nikolaev: nata anche lei l’8 giugno 1964, dal momento che entrambi i genitori erano stati esposti alle radiazioni cosmiche, si temeva che la loro figlia potesse avere problemi di salute anche gravi, cosa che per fortuna non avvenne. Il documentario avrebbe quindi dovuto esplorare che cosa significa crescere con queste strane aspettative, ma Elena Andrijanovna, oggi una dottoressa, non risposto alle richieste di Matter e così il documentario ha preso un’altra strada, forse per fortuna.
Protagonisti di ‘Parallel Lives’ sono quindi Matter stesso, cresciuto in un piccolo paesino vicino a Basilea in una famiglia tradizionale, divenuto prima giornalista e poi cineasta, trasferendosi per alcuni anni a New York prima di tornare in Svizzera; Zukiswa Ramncwana nata in Sudafrica sotto il regime dell’apartheid; Michel Berandi, cresciuto a Parigi e che ha trovato nella droga un modo per ribellarsi alla famiglia; la statunitense Melissa Hensy, anche lei con un passato di ribellione verso il padre, membro delle forze speciali dell’esercito Usa; il cinese Li Pujian, la cui famiglia è stata esiliata in campagna durante la rivoluzione culturale.
Cinquanta e rotti anni di vite che si intrecciano, ripercorsi con ricordi, testimonianze e un po’ di materiale d’archivio, in una curiosa mistura tra eventi personali più o meno importanti e i grandi fatti della storia, a volte utili a comprendere la dimensione sociale e psicologica – cosa significava per una bambina bianca statunitense la fine della segregazione razziale, con le scuole improvvisamente frequentate da neri o, più vicino a noi, il voto sull’iniziativa Schwarzenbach per un bambino il cui amico del cuore era l’italiano Dario –, altre senza un vero e proprio legame, come le violenze coniugali subita da Melissa Hensy, sposata con un poco di buono di Panama come atto di ribellione verso la rigida disciplina paterna. Questo sarebbe ovviamente un problema se lo scopo di Matter fosse raccontare mezzo secolo di storia da punto di vista globale, ma la sua idea è un’altra, per certi versi forse più ambiziosa di una storia mondiale: raccontare, attraverso le vite di questi strani gemelli, “come i cambiamenti e gli eventi nel mondo esterno hanno plasmato la nostra coscienza e percezione personale e come la nostra coscienza e percezione hanno plasmato contemporaneamente le nostre azioni e quindi l’epoca”, si legge nelle note di regia.
Si tratta ovviamente di un compito impossibile, ma il fallimento è comunque un interessante documentario che ci spinge a tracciare parallelismi, a capire che alla fine l’umanità è una e condivide la stessa storia. Matter se ne è probabilmente reso conto in fase di montaggio, aggiungendo una parte sulla pandemia che è un invito non solo a tornare a ragionare in termini globali, ma anche a mettere tutto in prospettiva. “Quando tra 44 anni la mia figlioccia avrà la mia età, che cosa sarà stata la pandemia?”.
Nel concorso internazionale è invece disponibile il pretenzioso ‘Users’ di Natalia Almada: un documentario sperimentale su come la tecnologia potrebbe cambiare le vite dei nostri figli, realizzato affastellando suggestive riprese su vari temi affiancate da testi letti da una voce artificiale. Esteticamente intrigante, purtroppo non va oltre il vuoto formalismo.