Storia di portieri e di riscatto, c’entra il calcio ma non è un film sul calcio. È il suo esordio alla regia: lo abbiamo incontrato
Come dicono nella fredda Milano, il ragionier Walter Vismara (Alberto Paradossi) è “un testina”. Conosce tutte le risposte dei quiz di Mike Bongiorno, quelle difficili, ma non sa chi è Sandro Mazzola perché del calcio non gliene può fregare di meno. La ditta di Vigevano in cui lavora sta per chiudere e il titolare, il commendator Galbiati (Antonio Catania), gli trova un posto a Milano nell’azienda del cavalier Tosetto (Giovanni Storti). Walter si trasferisce così dalla sorella Elvira (la brava e milanesissima Anna Ferraioli Ravel, che comunque è nata a Salerno), il cui matrimonio è in crisi. Un po’ come la Coppa Cobram, o il trofeo Berlusconi, il cavalier Tosetto organizza ogni anno il Trofeo Tosetto, partita scapoli-contro-ammogliati alla quale tutti sono tenuti a partecipare, anche con allenamenti infrasettimanali. Stacanovista, leggermente imbranato (‘nerd’, ma non è termine da anni Sessanta), incapace con i piedi, Walter si inventa portiere non riuscendo a nascondere che non ha mai giocato in porta, né ha mai giocato a calcio. Vittima delle vessazioni del collega Gusperti (Walter Leonardi), che lo chiama “il Zamora degli scapoli” (da Ricardo Zamora, 1901-1978, portiere spagnolo), il Vismara che al lavoro ha conosciuto la bella Ada (Marta Gastini), che come lui ama il cinema d’autore, chiede come stare tra i pali a un vecchio portiere caduto in disgrazia, Giorgio Cavazzoni (Neri Marcorè), che trova il modo di impartire al richiedente una piccola lezione di calcio e di vita.
Sono i primi minuti di ‘Zamora’, l’esordio alla regia di Neri Marcorè, 100 bei minuti di film tratti dall’omonimo romanzo di Roberto Perrone (1957-2023) con le musiche di Pacifico. Inserito nella sezione Young, ‘Zamora’ è un salto nel tempo che farà felici anche i non giovani del Festival del cinema giovane, per un’Italia che non c’è più, un solido cast e le apparizioni di Ale, Franz, Giacomo Poretti, Marino Bartoletti e tanti altri. Il Mercato Coperto, alla presenza del regista, lo proietterà stasera alle 20.30 in prima svizzera. Regista che è già nel Bellinzonese e che incontriamo nel giovane foyer cinematografico giubiaschese.
Neri Marcorè, la regia per un attore pare un orologio biologico, un desiderio di maternità…
È un po’ come diventare allenatore dopo essere stato calciatore, è sperimentare e mettere alla prova quanto si è imparato da attori. In più, ma non è conditio sine qua non, il vantaggio di chi è regista e attore è quello di poter trasferire meglio agli attori quel che vuole da loro: conosce le difficoltà, sa come aggirare un ostacolo, sa quanto sia importante affidarsi a un regista. Ma vale anche il contrario di tutto: abbiamo centinaia di esempi di registi fantastici che non sono stati attori fantastici, e attori e attrici che non sono necessariamente grandi registi…
… come gli allenatori che da calciatori non erano un granché…
… Sì, come Arrigo Sacchi, o i grandi campioni che non hanno mai allenato. Nel mio caso, ciò che ho verificato è che a ogni richiesta da parte degli attori e della troupe avevo le idee chiare, anche per l’essere lo sceneggiatore della storia. Mi sono scoperto preparato a rispondere ai singoli impulsi.
Restando al mondo del pallone, il regista deve pure mettere i molti fuoriclasse che sfilano in ‘Zamora’, punte, mezzepunte, rifinitori, bomber…
Metafora per metafora, parto allora dalla campagna acquisti. Ho cominciato dallo staff, dalla squadra tecnica, dai tanti capireparto con i quali avevo lavorato in passato, l’aiuto regista, il direttore della fotografia, la costumista, la scenografa, trucco e acconciature. Sapevo già di poter contare su tanta stima reciproca. Dopo la squadra sono stati scelti i giocatori, ognuno nel ruolo giusto, andando oltre la popolarità dei singoli attori, valutando quanto fossero in grado di dominare gli strumenti a disposizione.
Ha ritagliato per sé un ruolo non protagonista, tutt’altro che comico. Per guardare meglio le cose da fuori?
Volevo concentrarmi sulla regia e non avendo mai provato prima, non sapevo quanto interpretare un ruolo da protagonista avrebbe significato tempi più lunghi e meno sicurezza. E non mi sembrava giusto fare l’asso pigliatutto, per quanto non ci sia nulla di male, c’è chi ha esordito da regista facendo il protagonista. Volevo solo garantirmi di esserci, perché rinunciare del tutto sarebbe stato un peccato, il mio mestiere è quello e il personaggio di Cavazzoni ce l’avevo dentro. Alla fine mi è risultato abbastanza semplice fare entrambe le cose, sentivo se una scena era giusta o meno, se servivano altri ciak o potevamo andare avanti.
In compenso dà la voce a Sandro Ciotti, Enrico Ameri, Mike Bongiorno e canta la canzone originale...
Sono divertimenti che mi sono ritagliato, sono frecce che ho al mio arco. Mi sarebbe sembrato strano chiamare qualcun altro per fare una cosa che sapevo fare da me. Cantare, invece, era più materia da quiz.
Hanno lodato, a ragione, la ricostruzione della Milano degli anni Sessanta: la cosa inorgoglisce un marchigiano?
Tante signore e tanti signori milanesi di una certa età, quelli che gli anni Sessanta li hanno vissuti da ragazzi, mi hanno detto “mi hai restituito la mia Milano!”. È un complimento importante che va largamente alla scenografia, ai costumi e alla fotografia, Duccio Cimatti è stato bravo a restituire la luminosità inferiore a quella che abbiamo ora nelle città.
Walter Vismara è l’emarginazione di chi non ama il calcio, ma anche lo snobismo verso quello sport così popolare…
Per Walter il calcio è il confronto con il maschile che rifiuta, non essendo egli un maschio alfa e avendo un padre che dimostra di non stimarlo non soltanto perché non gioca a calcio. Walter rifiuta il calcio per non sentirsi inadeguato come già di suo si sente nella vita, ma nella vita riesce almeno a dissimulare. Lo snobba perché lo considera un’attività per idioti, un pretesto che racconta a sé stesso. E nel momento in cui scopre di avere un talento, il finale resta aperto.
Cavazzoni è profetico: “Il calcio un giorno diventerà più importante della messa”...
(Ride, ndr) Gliel’ho fatta dire negli anni Sessanta, prendendomi il vantaggio del senno di poi. È così, fino a qualche anno fa si andava massicciamente in chiesa, oggi la religione è diventata il calcio, spalmato su tutti i giorni della settimana, non più solo di domenica e mercoledì.
Il lavoratore dipendente degli anni Sessanta chiama Fantozzi, ma qui non vi è nulla di farsesco. Più diretto pare il paio di citazioni da ‘Ritorno al futuro’: crede anche lei che sia il più bel film della storia del cinema?
Lo ritengo un film geniale, bellissimo, ma il riferimento è involontario, cosa che mi dice come ci nutriamo di elementi che restituiamo in maniera diversa, perché ci hanno colpito. Ho scritto quelle due scene non pensando che fossero citazioni, altri me l’hanno fatto notare. Ma se si vogliono riferimenti, allora dico Clark Kent, lo sfigato che si trasforma, e sugli occhiali di Walter ci abbiamo giocato un po’. O il Bepi (Giovanni Esposito), citazione dal Manfredi di ‘Pane e cioccolata’.
Ada ed Elvira, Marta Gastini e Anna Ferraioli Ravel, due validissime attrici per due donne moderne, emancipate, forti.
Per l’epoca non saranno state la maggioranza, ma ci è piaciuto scriverle così, tridimensionali, non al servizio degli uomini. La sensibilità che porta Ada a sbugiardare in un attimo ciò che Walter vorrebbe far passare per rispettoso distacco e lontananza, la sorella che non si accontenta di un rapporto matrimoniale, che per l’epoca rappresentava un traguardo, con una madre che brinda a questa scelta e un padre preoccupato di cosa mai diranno i vicini. Tra i temi cui tenevo c’è il ‘no’ di una donna che è un ‘no’ e va rispettato e che ogni lezione che la vita ti dà serve a crescere, e a giocartela meglio la volta successiva.
Roberto Perrone ha visto il film?
Purtroppo no, era già in clinica. Ha letto la sceneggiatura, mi ha telefonato commosso. Gli ho inviato qualche clip, i saluti di chi stava sul set, le foto di scena, ma se n’è andato a gennaio. Col senno di poi gli avrei inviato versioni più abbondanti. Lo hanno visto la moglie e i figli, e nonostante le dovute variazioni rispetto al romanzo, che è più esile, hanno apprezzato l’operazione rispettosa della struttura principale, della colonna portante della storia.