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Andrea Bignasca, il viaggio e la cura

Scritto tra Svizzera e Portogallo, ‘Keep Me From Drowning’ (Radicalis) è il terzo album. Noi pensiamo sia quello della maturità. E forse lo pensa anche lui.

Bignasca sulle acque (foto: Vanni Gianinazzi)
21 marzo 2021
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"Se da un lato le ferite sembrano non richiedere altro che tempo per guarire, quando si tratta di sogni non realizzati è necessaria un'azione. Dover riparare attivamente i sogni implica anche una ‘correzione’, una rivalutazione del sogno, meditare aggiustamenti per guarirlo, scalpellare un sogno da un incubo”. Si era capito, perché in ‘Keep Me From Drowning’ (Radicalis), se non bastasse il titolo, il verbo ‘to mend’ torna almeno sei volte lungo tutto il nuovo album di Andrea Bignasca. Album che sta tra il viaggio – non necessariamente da marinaio, anche se il mare c’entra nel vieni e vai (e viceversa) dalla Svizzera a Lisbona – e la cura, appunto. Ma non è calcolo, né vezzo e nemmeno strategia: «Forse è semplicemente l’inconscio», ci racconta il rocker. «Nel caso di ‘Mending Dreams’ – che apre il disco – mi piaceva approfittare del gioco di parole, di significati, il termine che unisce ‘guarire’ e ‘riparare’, col primo dei due che indica più l’attendere, il passivo dover sottostare alle decisioni del tempo, e il secondo che invece chiama un’attitudine, che pretende un gesto attivo».

Uno

“I’ve been doing all right, lately, but I’m home on a Saturday night, safely”. Decidere quale sarà la traccia uno di un album è atto delicato, competente. Presuppone sensibilità e incoscienza, pragmatismo e preveggenza. E ‘Mending Dreams’, col suo incipit sullo stare a casa di sabato sera, apre alla grande ‘Keep Me From Drowning’. Ci si metta pure il suono di Gretsch di Roy Orbison che frantuma i nostri giorni digitali e ci butta avanti/indietro al 2050, in una specie di Favolosi anni Cinquanta del secondo millennio: «‘Mending Dreams’ è forse il motivo per il quale, per la prima volta nella mia vita, ho una canzone preferita di un mio album», racconta Bignasca. Tanto che nei giorni che ne hanno preceduto l’uscita, il titolare dell'opera lo ha detto ai quattro venti. ‘Mending Dreams’ fa il pari, a metà racconto, con ‘Anywhere The Wind Blows’, un desiderio di volare (anche quando il vento si abbassa) che suona ricco, aperto e ritmicamente dilatato, dove il passo da Orbison a Jeff Lynne, leader della Electric Light Orchestra oggi depositario di quel suono, è breve: «È innegabile che viviamo un ritorno di anni Ottanta, da alcuni pensato molto in termini di synth e atmosfere alla ‘Stranger Things’, mentre il mio posso definirlo sì, un ritorno a quegli anni ma un ritorno rock, e un mettermi alla prova con quegli anthems (inni, ndr) del rock classico. Lì dentro – in ‘Anywhere The Wind Blows’ – c’è anche il mio unico vero riff, che è il mio preferito». Anche il nostro, onestamente parlando.

A dirci di quel suono ci aveva pensato nell'aprile del 2020 ‘Where Things Grow Mean’, testo serrato e funzionale alla ritmica, flash di vita quotidiana, la radio che passa “canzoni estive per gente muta e oppressa” e un “I’ll meet you out in the streets” che nella nostra testa suonava “I’ll meet you out in the E-street” (Band). Colpa, anzi merito, di un rullante con tamburello che riportava alle radici, oggi più approfonditamente e tecnicamente spiegato: «Sì, il rullante è una di quelle pacche da Springsteen degli anni Novanta, e la volevo così fortemente che l’ho recuperata direttamente dalla demo». Rullante che va ad aggiungersi alla batteria di Chrigel Bosshard e, più in generale, a Gian-Andrea Costa al basso elettrico, a Oliver Illi alle tastiere e a Matteo Magni, che in ‘Most Times’ suona il synth ma che ha pure registrato, mixato e masterizzato il tutto.

Casa

Del rinvio di ‘Keep Me From Drowning’ e della messe di live show finiti in fumo avevamo scritto a virus appena giunto, parlando a intervalli regolari degli estratti che hanno anticipato l'album: siamo stati all'open air col rocker che suonava davanti ai pupazzetti in mezzo al prato di casa (‘Nothing On You’, traccia 5 e video), abbiamo ascoltato e visto l'autobiografica ‘Most Times’, con il pezzo tirato fuori dalla soffitta (una vecchia e-mail autospeditasi) così come le immagini di repertorio; si è ingannata l'attesa anche con ‘Haven’, col video registrato ai piedi di un ponte sull'acqua che pare New York e invece sono le acque della capitale portoghese. «Tutti i testi, a parte i brani preesistenti, sono stati scritti in una decina di giorni a Lisbona. Più che il Portogallo, però, nei testi c’è tanta Virginia». Che, di nuovo, non è la Virginia che sta in America, ma “The queen of my heart”, la regina del cuore di Bignasca, che insegna a Lisbona: «Lei è ‘casa’, lei è ‘Haven’ (porto, ndr)».

A proposito di porto, a proposito di casa: “Ti costruirò una casa in cima alla collina, una casa fatta di sogni e cemento”, fatta “di mattoni e colpi di batteria”, una casa che “sa degli abbracci di una mamma”, una casa dove “sangue, sudore e lacrime sono stati usati per innaffiare il prato”. La fine di ‘Keep Me From Drowning’ è una ‘Your Song’ chiamata ‘That Place’: «Insieme alla title-track e a ‘Most Times’, ‘That Place’ fa parte di quel gruppo di canzoni mai terminate, risalenti al periodo 2013-2014, rimaste ferme come se non mi sentissi in grado di portarle con la sufficiente eleganza, con la giusta responsabilità, come se dovessi maturare io, o come se dovessero maturare loro».

Due

Per l’organicità del tutto, per la rilassatezza delle strutture, per il suono assassino (nel senso di cupo, nel senso del precedente ‘Murder’) diventato luminoso, pare che a maturare sia stato Bignasca. «Al primo disco ci arrivi per forza inesperto. Guardando indietro cambieresti sempre. Non che in realtà lo farei, perché prendo ogni disco come un’istantanea di ciò che ero in quel momento. In questo caso ho vissuto tutto più serenamente». Merito anche del rapporto a due con Matteo Magni: «Abbiamo trovato il modo giusto per lavorare insieme, cercando meno conferme esterne, se non le nostre, cosa dovuta solo in parte alla pandemia, perché il processo era iniziato prima di questa forzata esclusività».

Tanto ci sembra maturato, il rocker ticinese, che pare anche a lui: «Quando si muovono i primi passi si è un po’ più idealisti, a volte si tacciano cose buone di troppo pop. Ecco, queste convinzioni le ho buttate dalla finestra. Adesso, se mi sento di portare una canzone pop con una certa sicurezza, con spessore, seguo l’idea fino in fondo. Mi viene in mente una frase di Prince: “Devo scrivere una canzone? Perché non provare a scrivere una hit?”. Perché c’è modo e modo di scrivere una hit. E poi, cos’è una hit? Non è proprio quel che sento in radio il 90% del tempo…».