Spettacoli

Amore e immigrazione a Bellinzona

Il regista Rolando Colla ci racconta il suo ‘Quello che non sai di me’ con Koudous Seihon e Linda Olsansky

28 novembre 2019
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Tutto inizia a Rosarno, nella baraccopoli dei migranti: Ikendu raccoglie le sue poche cose, le mette in una sacca e lascia il campo. È diretto in Svizzera, dove lo attende un suo amico. Dovrebbe essere solo una tappa del suo viaggio, ma a Bellinzona Ikendu trova un lavoro e, soprattutto, conosce Patricia: i due si innamorano, sembrano costruirsi una vita, nonostante ‘Quello che non sai di me’, come anticipa il titolo del film di Rolando Colla girato a Bellinzona e, dopo il festival di Zurigo, arrivato adesso nelle sale ticinesi. Questa sera alle 20.30 il regista – insieme all’attrice Linda Olsansky – sarà al LuxArtHouse di Massagno, domani alle 18 al Rialto di Locarno e domenica alle 18 al Multisala Teatro di Mendrisio.

Rolando Colla, nel film vediamo Ikendu arrestato per droga. E si tratta di una storia basata su fatti reali.

Sì: la storia di un africano accusato, come il protagonista, per droga è vera. C’è un dossier giudiziario di cinquecento pagine che, grazie a una liberatoria, io e chi mi ha aiutato a scrivere il film abbiamo potuto leggere.

È quindi autentica, la figura di questo immigrato che confessa crimini non commessi per uscire di prigione?

Sì, cose che non ha fatto ma sempre con quel pizzico di colpa che comunque secondo me ha anche il personaggio, con il suo orgoglio, i suoi valori, il suo non voler accusare quelli che lui considera i suoi compagni. Non penso che il personaggio debba essere un santo completamente innocente. E lo si vede anche nelle domande della moglie: come mai non ha mai soldi, come mai non risponde al telefono, cosa ha fatto per tutte quelle ore a Salerno… il mio interesse non era farne un eroe, anche lui ha la sua parte di colpa.

Ecco, la moglie: anche il matrimonio con Patricia è ispirato alla realtà?

Sì, questa donna esiste davvero, e ha davvero due figli avuti da due matrimoni diversi. Poi il film prende il suo cammino, la storia deve avere una sua logica interna e magari un personaggio che nella realtà è più marginale diventa centrale. Io ho incontrato questa donna, ho parlato con lei, ma alla fine mi sono allontanato dalla realtà, perché volevo un personaggio femminile un po’ diverso, più presente.

Costruendo un film che, mi corregga se sbaglio, si gioca tutto sul non detto, sulle cose che teniamo nascoste anche alle persone a noi care.

Sì. E in questo mi ha aiutato molto l’attore che interpreta Ikendu, Koudous Seihon. Lui ha realmente vissuto a Rosarno, raccogliendo pomodori e arance, ha attraversato il mare per venire in Europa. E ha davvero quell’orgoglio del protagonista… ad esempio, la frase “la bocca non è fatta per dire cose brutte” è davvero sua, di Koudous, ed è una delle cose venute fuori durante le prove che mi piace fare prima delle riprese.

Già che parliamo degli attori: come sono stati scelti i due protagonisti, Koudous Seihon e Linda Olsansky?

La risposta è facile: Koudous l’ho visto in ‘Mediterranea’, film – passato anche a Cannes – che di fatto racconta la sua storia. Lui non è un attore, ma ha una naturalezza davanti alla macchina da presa, ha voglia di fare cinema anche se non ha fatto nessuna scuola.
Al contrario di Linda Olsansky, che ha fatto molto teatro. Ho sempre voluto lavorare con lei perché mi piaceva questa sua capacità di interpretare un personaggio non solo positivo. Abbiamo prima fatto un cortometraggio, e ho visto quanto fosse pronta, preparata. Poi c’è stato il mio ultimo film, ‘Sette giorni’, dove aveva una parte, il telefilm ‘Io sono Gaetano’… sapendo come lavorare con lei, sapendo che potevo affidarle un ruolo non facile, è stato facile proporle questo ruolo.

Gli altri interpreti?

Non sono un regista che mette in concorrenza gli attori o le attrici: se c’è un attore che conosco, che so come lavora, gli propongo la parte e se mi dice di sì, lavoro con lui. Così sono arrivati Tatiana Winteler, Massimiliano Zampetti…

Nel film troviamo anche alcuni “non attori”, come il giudice Roy Garré.

Ha fatto da consulente per quel telefilm, ‘Io sono Gaetano’, ed è nata una certa simpatia. Gli avevo fatto leggere la storia di ‘Quello che non sai di me’, per avere un parere sulla plausibilità della vicenda… poi gli ho chiesto come potevamo fare per girare la scena finale nella bellissima aula del Tribunale penale federale, e su questo ci ha aiutato moltissimo. Alla fine ha anche interpretato un piccolo ruolo, senza battute.

A proposito del finale, e senza anticipare troppo, immagino sia stato lasciato volutamente aperto.

Sì, il personaggio si sottomette, ma cerca comunque di recuperare una certa dignità… Le reazioni del pubblico sono state molto diverse, c’è chi è più ottimista e chi meno…

Ultima domanda: come mai ha deciso di girarlo a Bellinzona?

Avendo Koudous che arrivava dalla Calabria, sapevo che dovevo girarlo in italiano… e ne avevo anche voglia: non mi andava di ambientarlo a Zurigo. Perché proprio Bellinzona? A Lugano e Locarno avevo già girato, mai a Bellinzona. E Petra Barchi, che ha lavorato alle scenografie di ‘Io sono Gaetano’, è di Bellinzona e mi ha fatto vedere posti particolari: io conoscevo solo un po’ il centro, e ho visto questo piccolo palazzo in periferia, il fiume, l’officina, la prigione… c’era tutto, a Bellinzona c’è tutto: l’ospedale, le montagne intorno, il castello dove avviene questo primo innamoramento… è possibile raccontare la storia di due personaggi marginali, a Bellinzona. Sono veramente felice di aver lavorato a Bellinzona, non lo dico solo perché la Città ha sostenuto il film, ma perché è stato veramente bello e la gente ha questa grandissima voglia di collaborare, tutti estremamente disponibili, pronti ad aiutarci.