Incontro con il grande attore italiano, che al film concede uno dei suoi proverbiali cammeo, e con parte del cast del primo lungometraggio di Andreas Maciocci
Prima di cominciare: Alessandro Haber è vivo e vegeto e ieri ha parlato del suo cammeo in ‘I segreti del mestiere’, primo e riuscito lungometraggio del ticinese Andreas Maciocci, in anteprima assoluta nella fredda domenica di Castellinaria. E con Haber ha parlato con ‘laRegione’ buona parte del cast italo-bulgaro-ticinese del bel film prodotto dalla Rough Cat di Nicola Bernasconi e girato nel Mendrisiotto. Esaurita da tempo la bufala della sua presunta morte, creata ad arte per il lancio promozionale per uno show Rai che ha divertito i molti e indignato pochi aridi di black humor, l’attore italiano era a Bellinzona anche per ritirare il Premio Castellinaria, conferitogli “per la sua capacità di dare umanità anche ai personaggi più cupi”, parole del direttore artistico Giancarlo Zappoli (cfr. laRegione dello scorso martedì).
«A tutti i personaggi, mi permetto di dire» ci tiene a specificare Haber, per il quale – sarà che non è nato attore, ma già personaggio, come ribadito in altra sede – l’incontro di ieri è stato spettacolo aggiunto già dall’entrata al Palaexpo e negli interventi a margine dei colleghi, riportati in sintesi per troppa, irresistibile, coloritura (ma è consentito immaginare). Quando si parla di questo premio, però, l’attore sceglie toni più contenuti: «La motivazione mi ha commosso. Io non scelgo mai ruoli banali. Cerco di dare spessore anche al piccolo ruolo, che ha un passato, un futuro e un presente. Anche se sono partecipazioni, chiedo sempre che questo personaggio abbia un senso. Mi è sufficiente anche un giorno di lavoro, ma se il personaggio che mi viene dato ha un potenziale, allora vale la pena di giocare. Perché non si vince sempre con un poker e anche in questo mestiere puoi diventare bellissimo anche con una semplice coppia». E aggiunge: «Chi ha scritto la motivazione ha capito, ha osservato, per questo tengo a questo premio particolarmente. Ma sai quante targhe ricevo che poi butto via? Dovrei avere un appartamento solo per le targhe. E invece ho capito che questo premio ha una storia. E poi mi sono trovato bene, tutte persone carine sul set».
‘I segreti del mestiere’ è la storia di Samuel, o Sam (Massimiliano Motta), quindicenne del Mendrisiotto che è riuscito a dirottare all’interno dei suoi disegni i turbamenti tipici dell’adolescenza, la sua naturale introversione e il bisogno di comunicare. Il dialogo (virtuale) più profondo avviene con un personaggio da lui stesso creato, Aline, ragazzina che è il suo opposto quanto a sicurezza e determinazione (nei disegni di Antoine Deprez, animati da Gaston Dupuy e Miljana Milikovic). Nella calda estate ticinese che accompagna la bocciatura al primo anno di liceo, il ragazzino mette insieme tutti i risparmi e assolda l’investigatore privato di origini balcaniche Drago (Christo Jivkov), fuggito dalla guerra e ora gestore di un pub cittadino con la fidanzata Morena (Caterina Bertone): è proprio a Drago che Samuel chiede di dare un senso a un dubbio che lo tormenta e la cui soluzione aprirà una porta sul doloroso passato della sua famiglia; porta che conduce a una ‘stanza’ rimasta chiusa anche per il volere del padre Fabio (Fausto Maria Sciarappa).
«La cosa che mi ha avvicinato al progetto – spiega il regista nel quantificare il vissuto confluito nella pellicola – è stato il rapporto padre-figlio. Da una il piccolo artista chino sul suo quadernetto a disegnare e dall’altra parte il classico padre giacca, cravatta e “Devi studiare”». Tra gli input personali c’è anche il rapporto con i coetanei, «il momento in cui ti senti fuori dalle tue acque, o il primo grande amore», che ha un dolce culmine nel viaggio in motorino guidato da Giulia (l’esordiente Elisa Cavallo). Non del tutto personale è invece l’aver girato tra Mendrisio e il confine con l’Italia, destinazione finale di una storia ipotizzata a Lugano, trasferita più a sud «per evitare la classica cartolina ticinese» e perché «il luogo era fondamentale per raccontare il viaggio che il protagonista intraprende. Il treno, a livello visivo e sonoro, rientra più volte all’interno del film». E comunque (lo pensano anche i The Vad Vuc) «Chiasso, al di là che possa sembrare grigia, ha angoli interessanti, e ci sono cresciuto».
Il film di Maciocci ha gli occhi malinconici di Massimiliano Motta. «Trovarlo non è stato facile. Abbiamo incontrato tanti ragazzini, sia qui che in italia. Lui è comparso all’ultimo casting di Milano, in una scuola di teatro dove ai candidati era richiesto di aspettare il proprio turno vicino a un magazzino di vestiti. Lui ci è entrato, in quel magazzino, e si è scelto dei vestiti e un cappello. Ho detto a Nicola (Bernasconi, ndr) che era quello giusto».
Il “per la prima volta sullo schermo” che appare nei credits non deve ingannare. Perché, paradossalmente, per il 16enne nei panni non semplici del protagonista, all’esordio davanti alla macchina da presa, il difficile non è stato reggere l’intero film in mezzo a un cast di professionisti, sostiene lui, ma produrre con l’aiuto del padre il video-provino per essere ammesso al casting. «A sette anni ho deciso che devo vincere l’Oscar», mette in chiaro le cose Massimiliano (Haber: «Io l’ho deciso a sei»); una scuola di teatro, qualche spettacolo fuori sede, poi la grande occasione, «e mi ci sono buttato».
Preso atto che prima di ieri Massimiliano non aveva visto il film (Haber: «Hanno cancellato tutte le tue scene, adesso c’è una voce fuori campo»), da grande Max vuole fare l’attore puntando al Mastroianni de ‘La dolce vita’ («Avrei voluto conoscere Sylvia») o al McGregor di ‘Trainspotting’. «Vi aspettavate ‘Harry Potter’ o gli ‘Avengers’ vero?’, ironizza Sciarappa, che del giovane attore garantisce sullo status di cinefilo.
Motta tiene botta alla pregevole interpretazione di papà Fabio (tra cinema, teatro e tv lo si apprezza anche in ‘La meglio gioventù’ e ‘Romanzo criminale’), a quelle di Arianna Scommegna, Soraya Sala e di Jivkov, già ne ‘Il mestiere delle armi’ di Ermanno Olmi e ‘La passione di Cristo’ di Mel Gibson e ‘Il ragazzo invisibile’ di Salvatores (tra gli altri), che alla produzione ticinese tesse ulteriori lodi: «Mi sono trovato a casa perché mi è stato possibile lavorare con italiani all’interno di tempistiche e organizzazione tedesche. Nicola e Andreas sanno che da dieci anni a questa parte non mi ero mai sentito in famiglia come qui (Haber: «E poi sono arrivato io e ha cambiato idea»).
Potrebbe bastare, per dire di quest’opera in cui il ‘filato’ diventa tessuto dall’ottima trama e col finale che passa indenne prima la ‘prova groppone’ (nel senso che sull’epilogo non si può certo fare gli insensibili di turno) e poi la ‘prova sorpresa’ (nel senso poetico del termine). Ma l’ultima domanda è per l’Haber cantante, che nel 2004 si produceva in una sontuosa raccolta di canzoni che per titolo portava il suo cognome e nella quale interpretava anche ‘La valigia dell’attore’, scritta per lui da Francesco De Gregori: «Per ora farò il mio primo concerto importante il 6 dicembre alla Sala Petrassi del Parco della Musica a Roma» conclude Haber. «Sono contento perché anche recitare è musicalità, ma interpretare musica è appagante. Certo, a teatro il personaggio ha una sua evoluzione, cresce solo dopo la ricerca e mesi di prove. La canzone, invece, è un’apostrofo, è come fare l’amore (edulcorato, ndr), ma quei quattro-cinque minuti d’amore devono avere un senso. Quando faccio ‘Margherita’, per esempio, la gente mi dice: “Finalmente l’ho capita!” (Riccardo Cocciante è avvisato...).