l'intervista

PFM al Lac: 'Noi e Faber, il diavolo e l'acqua santa'

A colloquio con Franz Di Cioccio, la storia della Premiata Forneria Marconi, domani sera a Lugano per cantare De André: ‘Fu l'abbraccio tra la poesia e il rock’.

La storia backstage (© Guido Harari)
22 novembre 2019
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«“Tua madre ce l’ha molto con me perché sono sposato e in più canto”. Quando uno comincia un testo così ti rendi conto che ti scava dentro. La musica ha la dolcezza del basso senza tasti, in questo valzer molto ‘frusciante’ in cui a un certo punto ti ritrovi nell’aria un suono di campanelli che ti trascinano nel sogno infranto di due innamorati. Questa è la magia della musica applicata alla poesia di Fabrizio De André, e applicata in quel progetto. Ed è anche la forza di questo tour».

Il tour si chiama ‘PFM canta De André – Anniversary’ e arriva al Lac domani sera alle 20.30, per quello che è l’unico ticinese, ma non l’ultimo dei concerti di un 2019 da una data ogni tre giorni. Chi cita ‘Giugno ‘73’ è Franz Di Cioccio a nome della Premiata Forneria Marconi. «Supereremo i cento concerti in un anno importante, dedicato interamente a questo anniversario». Ovvero ai vent’anni dalla scomparsa di Fabrizio De André ma, ancor più direttamente, ai quaranta da un rivoluzionario album dal vivo intitolato per brevità ‘In concerto con PFM – vol.1’ che ha segnato la storia della discografia e della canzone d’autore italiana.

Sul palco della Sala Teatro del Lac, di quella formazione del gennaio 1979, oltre al cantautore genovese, mancheranno soltanto Roberto Colombo (oggi produttore, nonché marito, di Antonella Ruggiero) e Franco Mussida, che nel 2015 alla PFM aveva detto addio per troppi impegni lavorativi; insieme a Di Cioccio (voce, batteria, percussioni) e Patrik Djivas (basso), che ci sono sempre stati, e a Lucio Fabbri (violino, tastiera e chitarre, molto spesso), tornano per l’occasione l’ex tastierista Flavio Premoli e lo storico chitarrista di De André, Michele Ascolese. «È una delle cose belle accadute in Italia, e le cose belle non te le devi dimenticare. E noi la ricordiamo nel modo migliore».

Il Vermentino, 'droga libera sarda'

Si erano già incontrati ai tempi de ‘La buona novella’, lo chansonnier e i virtuosi. Ben prima del 1978, alla Villa dell’Agnata, nelle campagne di Tempio Pausania in Sardegna, residenza di De André. Il tour da trenta concerti nei palazzetti dello sport e nei teatri-tenda della Penisola, finito poi sul disco (e su di un secondo, un anno dopo), nasce quell’anno a casa di Faber. Si dice che molto si deve all’effetto del Vermentino: «Corrisponde a verità. Il Vermentino è un vino che mette d’accordo tutti. Anzi, non è un vino, è una droga libera sarda. Fabrizio si era ritirato, e Franz gli dice: “Non puoi fare questo”. Forse aveva deciso di riprendersi la sua libertà, forse perché da bambino aveva sempre sognato una vita di campagna. Io gli faccio la proposta indecente, gli dico che all’estero la musica è importante perché se in Italia fai un genere, gli altri ti sono nemici, mentre in America non c’è discriminazione».

‘L’ha fatto anche Dylan’

Digressione su come vanno le cose oltre oceano: «Jaco Pastorius, bassista dei Weather Report, che abbiamo conosciuto e frequentato durante i nostri tour americani, era un fan di Frank Sinatra, che per lui era il più grande cantante mai visto sulla Terra. Abbiamo conosciuto jazzisti pazzi per Johnny Cash. Lì non esiste discriminazione. Il country ha lo stesso rispetto di quanto abbiano il rock, il jazz, perché il rispetto è parte della cultura musicale americana». Fine della digressione. Tornando al Vermentino: «Dico a Fabrizio che Jackson Browne e gli Eagles hanno fatto una cosa così, lo stesso Bob Dylan con The Band, una collaborazione dalla quale Dylan è cambiato moltissimo, non era più soltanto quello con la chitarra, che raccontava». E poi, tanto di cappello a De André: «Ha avuto la grandezza di sposare questa follia, e noi gli abbiamo coltivato un terreno fertile su cui seminare nuove idee, senza preoccuparsi della musica, che non era più sottofondo ma uno strato emotivo che rendeva la parola dinamica».

La volpe e l’uva

De André come Dylan, come Browne; come Joni Mitchell, che proprio nel ’79 in ‘Mingus’ si sarebbe attorniata di jazzisti, e in ‘Shadows and Light’, un anno dopo, avrebbe portato in tour il suo repertorio rivisto da una band da sogno, con un giovane Pat Metheny, con Pastorius, Michael Brecker e altri grandi. Solo che in Italia, per quell’unione, di De André si arrivò a dire che era diventato commerciale. La PFM commerciale? Oggi viene da ridere: «Questo è sempre stato un derivato della favola della volpe e l’uva. Spesso i fan sono talmente sorpresi che invece di dire “Come mi ha sorpreso questa cosa”, pensando di fare brutta figura con qualcun altro, attaccano. Se fai ‘Il pescatore’, dove tutti quanti cantano “la la la là lalà lalà”, e quando dico tutti quanti dico 2’600 persone a Roma, non è mai una cosa commerciale. Devi emozionarli a tal punto che, se loro hanno voglia, cantano “la la la lalà lalà”, e se la cantano è solo perché hanno voglia di farlo. È facile dire che una cosa è commerciale. Prova un po’ a dirlo prima che accada».

Bomba atomica

Quella serie di concerti fu uno spartiacque per entrambi. Per la band di virtuosi che già si era ritagliata un posto nella storia del progressive rock (sono ancora gli unici italiani a girare sulla ‘Cruise to the Edge’, crociera che porta in giro Yes, Steve Hackett, Soft Machine e molti altri per il Golfo del Messico) e per lo chansonnier, non di meno: «Fabrizio – conclude Di Cioccio – ha capito che non c’era solo la poesia nella sua vita, che non bastava una chitarra per raccontarla. Ha capito che gli serviva qualcosa che solo una tournée rock ti può dare, una cosa con venticinque metri di palco, qualche tonnellata di strumenti e un pubblico davanti che ti devi conquistare tutte le sere. Ogni arrangiamento che abbiamo costruito per lui era per far risaltare la sua poesia. Prendi ‘Un giudice’, che nella versione pacata nell’Antologia di Spoon River (‘Non al denaro non all’amore né al cielo’, 1971, ndr) non esisteva. Qui lo strumento fa una specie di marameo, è provocatorio, è una bomba atomica, vale tutta la storia del protagonista della canzone». Ride, Di Cioccio: «Se tutto questo sia commerciale non lo so, ma so che è progettualità, è il rock che incontra la poesia, è il diavolo e l’acqua santa».