Venerdì a Palazzo Ducale, nel ventennale della morte, il ricordo della città. Il figlio in primavera al Palacongressi con 'Storia di un impiegato'
“Questo è un giorno per vivere Fabrizio, non è una commemorazione” ha detto Luca Bizzarri, il comico italiano che è anche presidente di Palazzo Ducale di Genova dove venerdì, giorno dell’anniversario della morte di Faber, si terrà un viaggio nella storia e nella musica di Fabrizio De André e nella memoria di tutti coloro che lo hanno amato. Momento clou, l’incontro “Il mio Fabrizio” che si terrà nella Sala del Maggior Consiglio a cui parteciperanno Dori Ghezzi e Cristiano De André, con i personaggi dello spettacolo che lo hanno conosciuto o interpretato: Gino Paoli, Neri Marcorè, Fabio Fazio, Antonio Ricci, Morgan, Mauro Pagani e lo stesso Luca Bizzarri.
E nell’anno dell’anniversario, Faber arriverà anche in Ticino con uno dei suoi album più impegnati e impegnativi: ‘Storia di un impiegato’ del 1973, nel pieno degli anni di piombo, che il figlio Cristiano De André porterà al Palazzo dei Congressi di Lugano il 4 maggio (info: horangmusic.com; prevendita su biglietteria.ch). “Era la prima volta che mi dichiaravo politicamente e so di aver usato un linguaggio troppo oscuro, difficile, so di non essere riuscito a spiegarmi” aveva dichiarato Fabrizio De André qualche mese dopo l’uscita di ‘Storia di un impiegato’ che Cristiano ha ardentemente voluto riportare in scena, più che per i vent’anni dalla morte di Faber, per i 50 anni dal Sessantotto.
Arrangiare questo disco – al quale sono state aggiunte altre canzoni sul tema della lotta per i diritti, come ‘Fiume Sand Creek’ e ‘Don Raffaè’ – ha significato, per Cristiano De André, riportare in auge i figli della rivoluzione pacifista: l’utopia, l’anarchia, il sogno; ma anche il potere, la paura, l’inabissamento delle qualità individuali a discapito delle esigenze globali. Come recita il testo di ‘Nella mia ora di libertà’: “Certo bisogna farne di strada / da una ginnastica d’obbedienza / fino ad un gesto molto più umano / che ti dia il senso della violenza / però bisogna farne altrettanta / per diventare così coglioni / da non riuscire più a capire / che non ci sono poteri buoni”.