Spettacoli

Marc Andreae, 80 anni in musica

L’ottuagenario direttore d’orchestra, alla guida dell’Osi dal 1969 al 1991, ci racconta come è nata la passione che lo accompagna da tutta la vita

8 novembre 2019
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Incontrando Marc Andreae e scambiandovi due parole non si direbbe, ma il grande direttore d’orchestra, dal 1969 al 1991 alla guida dell’Orchestra della Svizzera italiana, compie 80 anni. Originario di Zurigo, figlio e nipote d’arte – suo nonno era il celebre direttore e compositore Volkmar Andreae – cresciuto in un ambiente culturale vivissimo, a contatto diretto o indiretto con eminenti personaggi della storia della musica, dell’arte e della letteratura del Novecento, all’alba di questo importante compleanno Andreae si racconta, con il vigore e la forza di chi ha vissuto la propria vita con costante passione e dedizione.

Partiamo dalle origini. Come è maturata la sua decisione di intraprendere la carriera di direttore d’orchestra?
Quando ero un ragazzino non pensavo che avrei percorso la strada del musicista. Sì, studiavo un po’ di flauto traverso e di pianoforte, ma le mie passioni erano altre: la fotografia subacquea e la fisica quantistica, ed ero convinto che la mia professione si sarebbe sviluppata in questo ambito. Poi un giorno andai ad un concerto, a Lucerna, in cui suonava il pianista Robert Casadesus, in passato insegnante di mia madre e amico di famiglia. Avevo diciassette anni e questo evento cambiò radicalmente la mia vita, fu come l’esplosione di un vulcano! Ciò che mi colpì in maniera travolgente fu il direttore d’orchestra: Dimitri Mitropoulos. Da quella sera sapevo che avrei dovuto diventare a mia volta direttore d’orchestra. E così iniziai a studiare seriamente affinché questa necessità interiore si realizzasse.

Come è approdato all’Orchestra della Svizzera italiana?
In seguito a quella sconvolgente epifania studiai prima a Zurigo, poi a Parigi con Nadia Boulanger e in seguito a Roma con Franco Ferrara. Proprio con un’orchestra da camera costituita in seno all’ambiente di Santa Cecilia venni a Lugano per una produzione presso la Radiotelevisione. Sulla base di questa esperienza venni in seguito ingaggiato – un po’ all’improvviso – come direttore dall’Orchestra della Radio Televisione della Svizzera italiana per un progetto che comprendeva dei concerti per le scuole: questo fattore implicava che io dovessi mettere alla prova anche le mie capacità di comunicazione. Fu un successo e dall’anno seguente diventai ufficialmente direttore dell’orchestra luganese. Era il 1969 ed ero il più giovane direttore musicale stabile dell’epoca, con un contratto a vita, che si interruppe soltanto in seguito al distacco dell’orchestra dalla Radio e ai mutamenti delle condizioni contrattuali e organizzative.

Ci sono state delle linee guida, delle convinzioni forti o delle passioni trainanti che l’hanno “guidata” nel corso della sua attività con l’Osi e hanno così definito i contorni della sua identità di musicista e direttore?
Sicuramente, in primo luogo, la voglia di “far uscire” l’orchestra dai muri degli studi di registrazione. Trattandosi di un’orchestra della radio, l’Osi di allora lavorava per la quasi totalità del tempo a porte chiuse, con due sole produzioni pubbliche ogni anno. Spinsi quindi per promuovere delle prove aperte, che divennero concerti informali in cui i professori d’orchestra suonavano in blue jeans. Questa scelta rappresentava un ulteriore elemento per abbattere quel “muro” che era venuto ad ergersi tra l’orchestra e la vita quotidiana dei cittadini. In secondo luogo cercai di dare un forte impulso alla diffusione della musica contemporanea, realizzando prime esecuzioni in presenza del compositore, secondo una formula studiata per far sì che il pubblico poco a poco potesse sentirsi sempre più vicino alla nuova musica, guidandone l’ascolto. Parallelamente, sia con l’Orchestra della Svizzera italiana che in altri contesti, ho sempre coltivato una grande passione per l’“archeologia musicale”, studiando le biografie d’epoca dei compositori, gli scambi epistolari, andando al fondo delle motivazioni che avevano condotto un autore a scrivere un determinato pezzo. Questo mi ha portato inevitabilmente a scandagliare i cataloghi delle opere di importanti compositori e ad effettuare scoperte di sensazionali inediti, come un’opera di Donizetti, una Sinfonia in sol minore in due movimenti di Schumann o una prima versione della celebre Quarta Sinfonia, scoperta che ha mutato la comune interpretazione di questo capolavoro.

Un compleanno importante è sempre occasione di bilanci rispetto alle proprie esperienze di vita. Guardandosi in uno specchio che attraversa il tempo tra passato, presente e futuro, cosa sente di portare con sé, della sua lunga carriera musicale, nella vita di ogni giorno?
Dal momento in cui vidi Mitropoulos dirigere ho sentito di avere bisogno della musica, ogni giorno. Ed è così tuttora. Goethe diceva: “Chi non ama la musica non è un uomo; chi la ama è un mezzo uomo, chi la pratica è un uomo intero”. Hermann Hesse affermava invece: “Ho sempre bisogno di musica, è la sola arte che adoro e che ritengo indispensabile, cosa che non posso dire di nessuna altra arte”. Mi ritrovo molto in queste citazioni, ma forse le fondamenta della mia vocazione sono ancor meglio riassumibili in una frase di Nietzsche che recita: “Immaginiamo che nella musica un’anima parli alla nostra”. Nel fare musica accadono cose che non si possono spiegare a parole, in quanto generate da un dialogo tra anime. Durante una performance sinfonica vi sono talvolta delle vette di magia che non si possono ricondurre semplicemente a un particolare gesto del direttore: concorrono un’energia, una gioia di esprimersi, una sorta di beatitudine che appartengono alla sfera dell’ineffabile, a quel “dialogo tra anime” in cui risiede quella profonda bellezza di cui ho sempre sentito l’esigenza.

Può anticiparci qualcosa del suo ultimo lavoro discografico, di prossima pubblicazione?
Si tratta di una raccolta di ouverture rossiniane, incise nello splendido Teatro Filarmonico di Verona con I Virtuosi italiani. Anche questo progetto parte da alcune mie ricerche di “archeologo” musicale, le quali mi hanno portato a scegliere le sinfonie pensate per un organico ristretto. Nel cd si troveranno quindi ouverture celebri, come ad esempio quella del “Barbiere di Siviglia”, ma anche meno note (e ugualmente geniali), come la sinfonia de “L’equivoco stravagante” o “L’inganno felice”.