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Quando la crisi di nervi è climatica

Intervista a Mario Tozzi, il 12 ottobre ospite del festival Sconfinare a Bellinzona per parlare di come l’umanità (non) reagisce al riscaldamento globale

(Keystone)
7 ottobre 2024
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Mario Tozzi, il suo intervento si intitola ‘Sapiens sull’orlo di una crisi di nervi’, ma in molti casi il riscaldamento globale è affrontato con fin troppa tranquillità.

Se guardiamo bene la crisi c’è: non si spiegano altrimenti tutti questi segnali di nervosismo che vediamo, ad esempio, nell’accanimento contro gli ambientalisti e gli ecologisti, nell’idea che i membri di Ultima Generazione debbano essere incarcerati, nella percezione dell’auto elettrica come nemico, nella visione della carne coltivata come imposizione delle multinazionali. C’è chi parla di complotti di Soros, chi sostiene che i pannelli fotovoltaici non si smaltiscano, o che l’elettrico inquini più di una Panda Euro 1: tutto questo è un segno di grande nervosismo. Le affermazioni degli scienziati sono univoche e andrebbero prese in considerazione, invece continuiamo a far finta di niente, mascherando un profondo disagio.

Il consenso della comunità scientifica sul riscaldamento climatico e sul ruolo delle attività umane è solido, ma sulle soluzioni sembra esserci una pluralità di punti di vista.

In realtà anche sulle soluzioni gli scienziati indicano una strada univoca. La discussione, a livello scientifico, è chiusa da un pezzo ma è aperta sui mezzi di comunicazione e nella politica. E preferirei che ci fosse meno ipocrisia, che si ammettesse che conosciamo la situazione, ma che non siamo disposti a pagarne il prezzo a breve termine, anche se lo pagheremo tutti a lungo termine.

Un discorso simile lo apprezzerei molto di più di quelli che sentiamo: non è vero, è vero ma forse non dipende da noi, sono i marziani, le cavallette…

Lei prima ha citato l’auto elettrica: certo aiuterebbe a ridurre le emissioni, ma se l’elettricità non la produciamo da fonti fossili.

No, l’auto elettrica rappresenta un progresso in ogni caso. Un veicolo elettrico ha un’efficienza del 90%, disperdendo solo il 10% dell’energia, mentre un veicolo a combustione interna raggiunge al massimo il 35% di efficienza. Anche se entrambi fossero alimentati da combustibili fossili, l’elettrico sarebbe comunque più efficiente. Se poi l’energia proviene da fonti rinnovabili, il vantaggio è ancora maggiore. E se il ciclo di produzione del veicolo è europeo anziché cinese, si risparmia ulteriore anidride carbonica nella fabbricazione.

I problemi di traffico e utilizzo del territorio si hanno anche con le auto elettriche.

Infatti nelle città le auto private non dovrebbero più circolare: dovrebbe esserci solo trasporto collettivo. Lo sostengo da anni.

Quella del clima è una questione complessa e non c’è una singola soluzione semplice. Se parliamo di trasporti, il treno, la vettura elettrica, usare molto meno l’aereo sono una parte della soluzione; se parliamo di energia è meglio fare ricorso alle rinnovabili, in ambito domestico e dove si può anche in quello industriale; se parliamo di alimentazione è meglio una dieta con cibo locale e senza allevamenti intensivi, senza agricoltura intensiva. Tutte queste sono diverse risposte, non è che l’auto elettrica da sola sia la risposta.

Al di là dell’aspetto economico, c’è anche il problema del cambio di abitudini che portano queste soluzioni.

Ma abbiamo visto che le persone si adattano nel tempo. Pensiamo all’uso delle cinture di sicurezza o al divieto di fumo nei luoghi pubblici: chi avrebbe detto che ci saremmo sempre allacciati le cinture o che nessuno avrebbe fumato al ristornate o al cinema?

Quanto ai costi: queste soluzioni diventano sempre più economiche. Io ho messo i pannelli fotovoltaici sul tetto e adesso nella bolletta pago quasi solo il canone Rai (integrato nelle fatture elettriche in Italia, ndr). Ho anche un’auto elettrica, costa di più ma risparmio sui consumi. Si può fare, anche se è una goccia in un mare vasto, ma questo è un altro discorso.

Facciamolo, questo discorso. Come affrontiamo la questione a livello globale, considerando che tutti aspirano a standard di vita più elevati?

Ci sono tante contraddizioni, qui. I Paesi in via di sviluppo sottolineano che gran parte della loro produzione è destinata ai Paesi sviluppati. Inoltre, noi ci siamo sviluppati per due secoli senza restrizioni e ora chiediamo loro di rispettare regole stringenti. Senza una compensazione, è difficile ottenere collaborazione. Un indiano emette in media 2 tonnellate di CO2 all’anno, un italiano o uno svizzero 7 o 8, un americano 16. Non si può chiedere a chi emette meno di limitarsi ulteriormente.

È possibile pensare a una riduzione globale delle emissioni in questo contesto?

Con gli accordi volontari come quello di Parigi non si ottengono risultati significativi. Servirebbe un accordo vincolante che imponga riduzioni specifiche per ogni Paese. Ma un accordo del genere è improbabile, quindi al momento non stiamo riducendo le emissioni globali.

Quindi non ci resta che adattarci ai cambiamenti climatici.

L’adattamento è l’ancora di salvezza dell’industria dei combustibili fossili. E se ci adattiamo a un aumento di temperatura di 1,5 °C, ma poi raggiungiamo i 2,7 °C, gli sforzi saranno stati vani. Bisogna agire prima di tutto sulle cause, azzerando le emissioni clima-alteranti. Solo dopo ha senso parlare di adattamento.

Questi discorsi convincono poco la politica e parte dell’opinione pubblica. Pensa che ci siano stati errori di comunicazione da parte della comunità scientifica?

L’errore non è della comunità scientifica. L’errore è del mondo della comunicazione che pretende di avere sempre un dibattito e un confronto, dando spazio agli scettici sulle cause antropiche del riscaldamento globale anche se scientificamente non rappresenta niente, è qualcuno che è in malafede o che segue il profitto e basta.

Magari, anche a livello di attivismo, altre strategie di comunicazione avrebbero funzionato meglio.

Quali? A me sembra che le abbiano provate tutte: quelli che buttano la zuppa di pomodoro sul vetro che protegge i quadri, quelli che si incatenano per strada, quelli che vanno nei dibattiti, quelli che scrivono i libri, quelli che scrivono articoli. Di fatto il potere forte e vero di questo mondo sono le società petrocarbonifere che sono quelle con maggiori introiti, maggiori profitti, maggiori fatturati. Sono loro che governano su questi temi, non c’è nessuna possibilità di far loro fare un’altra cosa, perché tutto sta nel libero mercato e noi crediamo che il libero mercato risolva questo problema, quando in realtà è parte del problema.

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