Dal movimento di liberazione femminile ai processi per stregoneria, una serie di visite guidate per scoprire la presenza femminile in città
Zurigo, 14 giugno 2021: sono quasi le sei di sera e sul ponte della stazione masse di donne si assembrano per unirsi al corteo di protesta che a breve partirà da Central. Ci troviamo di fronte al Globusprovisorium, un edificio che ha fatto la storia di altre proteste zurighesi: quelle sessantottine. Qui, il 29 giugno 1968, esplose la rabbia dei giovani in seguito al rifiuto della città di adibire l'immobile allora in disuso a centro autonomo. Repressa in modo violento dalla polizia, la protesta sfuggì di mano e si tramutò in un’azione di guerriglia urbana che si protrasse per tutta la notte con numerosi feriti. Oggi, in questo stesso luogo, le donne stanno per manifestare come hanno già fatto nel 2019 e ancor prima nel 1991 per chiedere più uguaglianza sul lavoro, in politica e nell’ambito familiare. Alle sei in punto le donne, ballando, cantando, fischiando e scandendo slogan, si mettono in marcia, mentre un gruppetto assai più piccolo si muove in direzione opposta. Si tratta dei partecipanti a una particolare visita guidata della città, dedicata alle figure femminili che dalla fine degli anni Sessanta hanno contribuito a plasmare una Zurigo e una Svizzera nuove. Il momento non poteva essere più azzeccato: parlare di utopie femministe in un giorno dedicato proprio alla protesta. Da trent’anni l’associazione Frauenstadtrundgang Zürich organizza visite di questo tipo per illustrare aspetti della storia della città di Zurigo attraverso gli occhi delle donne e delle sue più interessanti protagoniste. L’associazione, composta da una trentina di storiche e studentesse, pubblica anche libri e opuscoli su temi storici al femminile.
La visita guidata, dedicata alle donne del movimento sessantottino, si sposta dal Globusprovisorium alla piazza del Fraumünster. Qui il primo maggio del 1969 Claudia Honegger, allora studentessa, tenne un famoso discorso contro il capitalismo e a favore del suffragio femminile. In cento anni di festeggiamenti del Primo maggio, era la prima volta che una donna prendeva la parola. All’epoca combattevano sì a fianco degli uomini per una società più giusta, ma allo stesso tempo dovevano scontrarsi anche contro i loro stessi compagni, che tendevano a escluderle dal discorso politico relegandole a ruoli minori. Anche nella sinistra il patriarcato era un concetto ancora fortemente ancorato. Per dare più voce all’altra metà della popolazione, Honegger fondò insieme a un gruppo di compagne il movimento di liberazione femminile Frauenbefreiungsbewegung (Fbb). Fu anche grazie al loro impegno che a Zurigo le donne cominciarono a votare a livello comunale nell’autunno del 1969 e a livello cantonale nel 1970. Negli anni seguenti l’Fbb compì numerose azioni, spesso divertenti e dal carattere giocoso, trattando temi tabù come l’aborto (allora illegale), fondando un asilo nido oppure organizzando incontri sulla cosiddetta “Riviera”, il punto in cui il lago si getta nella Limmat. Famosa l’asta che, a partire da un buono vinto a un concorso di bellezza, sarebbe dovuta servire a finanziare un distributore di pillole anticoncezionali poi mai acquistato.
Nell’ambito di un’altra visita guidata, dedicata ai passatempi femminili, si scopre che uno dei precursori delle proteste sessantottine fu, fra gli altri, il movimento giovanile degli Halbstarke, chiamati così, “mezzi duri”, in modo dispregiativo dall’establishment. Nato in Germania negli anni Cinquanta e allargatosi fino a Zurigo, il movimento comprendeva anche un buon numero di ragazze. Fece molto scalpore per poi sciogliersi da un giorno all’altro e scomparire nel nulla. La caratteristica che accomunava i suoi appartenenti erano i jeans, considerati allora un capo disdicevole per le donne non solo perché erano pantaloni, e quindi inadatti di per sé, ma soprattutto perché si allacciavano sul davanti e non di lato. Altri segni distintivi erano l’appartenenza alla classe lavoratrice, i capelli alla James Dean o cotonati e l’amore per il rock e i miti di Hollywood. Nonostante la loro natura ribelle, le giovani donne che vi appartenevano sognavano ancora di trovare l’amore, sposarsi, avere figli e condurre normali vite da casalinghe. Ciò non bastava a tranquillizzare i benpensanti che, per contrastare il “decadimento morale”, all’inizio degli anni Sessanta pubblicarono un manuale intitolato ‘Das goldene Buch des Anstandes’ (Il libro d’oro delle buone maniere), che spiegava, soprattutto alle donne, quali fossero i comportamenti “corretti”.
Le aspettative della società nei confronti delle donne, la volontà di controllarle e “addomesticarle” è un tema spesso discusso durante le visite guidate. Il pubblico partecipante scopre per esempio che nella prima metà dell’Ottocento, in seguito al diritto matrimoniale del 1804, le ragazze nubili zurighesi che rimanevano incinte erano tenute per legge a dichiarare la gravidanza in modo da poter trovare il padre e obbligarlo a prendersi le proprie responsabilità. Per non perdere il lavoro ed essere additate dalla comunità, molte ragazze sceglievano però di tacere andando incontro a pene quali scudisciate, internamenti in case di correzione e sorveglianza da parte delle autorità. Tale severità serviva solo in piccola parte alla difesa della morale comune: per lo più si trattava di una questione pecuniaria, visto che in mancanza di mezzi finanziari da parte della madre, i figli illegittimi finivano a carico della collettività. Le donne venivano pertanto ammonite a non frequentare seduttori seriali, che diventavano veri e propri ricercati dalla polizia. Nel 1854, con l’entrata in vigore della nuova normativa, la condizione femminile non migliorò molto. Ora i padri in fuga non venivano più segnalati perché erano i comuni d’origine delle madri a farsi carico delle spese e il fardello di una possibile gravidanza gravava tutto sulle spalle delle donne. Solo nel 1978 questa legislazione venne completamente abolita liberando le donne e soprattutto decolpevolizzandole.
Anche al di fuori dell’ambito legale la pressione sociale in passato era forte: fino al 1837 le donne non potevano per esempio fare il bagno in pubblico. E poiché non ricevevano lezioni di nuoto come la controparte maschile, i primi bagni che in seguito vennero aperti per loro erano semplici posti dove lavarsi. Solo a partire dal 1888 con la ristrutturazione del bagno in legno sulla Limmat (ancora oggi funzionante), le donne poterono finalmente imparare a nuotare.
Se nell’Ottocento a Zurigo come nel resto d’Europa le donne non avevano vita facile, in periodi storici precedenti uno stile di vita poco conforme alla norma poteva portare a un’accusa di stregoneria. I processi alle streghe venivano usati come strumento di controllo per inculcare i codici morali nella popolazione. Una volta che una donna veniva sospettata di stregoneria, era quasi impossibile abbattere i pregiudizi e la malcapitata veniva sempre più isolata fino alle conseguenze estreme. La storia delle streghe e dei processi di stregoneria a Zurigo è frutto del lavoro delle due parlamentari cittadine Esther Straub e Sylvie Matter, che si sono battute, insieme all’ex responsabile dell’archivio municipale Otto Sigg, per recuperarne la memoria. Dal 1487 al 1701 a Zurigo si sono tenuti 225 processi di stregoneria con 85 sentenze di morte, 80 delle quali contro donne. Nel Canton Zurigo per aprire un procedimento penale di questo tipo bastava una denuncia da parte di compaesani o di un pastore religioso. L’accusata, perché quasi sempre di donna si trattava, veniva interrogata, portata a Zurigo e rinchiusa nella torre del Wellenberg, in mezzo alla Limmat. I due giudici incaricati le chiedevano di confessare. Se rifiutava, veniva minacciata e torturata. La tortura era necessaria per portare la sventurata alla confessione: senza di essa non poteva esserci condanna. Così come i processi, anche le torture erano intrise di violenze sessuali e condotte in modo sadico.
Nonostante fossero di carattere secolare, i procedimenti contro le streghe erano fortemente influenzati dalla morale religiosa dell’epoca e anche da un’opera estremamente ostile alle donne che conobbe larghissima diffusione alla fine del Medioevo: il ‘Malleus Maleficarum’, un trattato in latino pubblicato nel 1487 dal frate domenicano Heinrich Kramer con lo scopo di reprimere in Germania l'eresia, il paganesimo e la stregoneria. Nel trattato Kramer spiega che la stregoneria è un fenomeno soprattutto al femminile perché le donne sono malvage di natura, più portate a dubitare e a negare la fede e a cedere ai desideri carnali.
Solitamente le streghe venivano bruciate sulle sponde del fiume Sihl, fuori dalle porte della città. In alcuni casi vennero però anche affogate nella Limmat, come successe nel 1546 ad Agatha Studler, l’unica vera cittadina di Zurigo condannata per stregoneria. Di solito le “streghe” provenivano infatti dal resto del Cantone poiché organizzare processi di questo tipo contro i propri cittadini in un borgo che all’epoca contava solo cinquemila abitanti, tutti conoscenti e imparentati fra loro, avrebbe sconvolto la vita pubblica. Agatha fu una vittima anomala anche per altri motivi: non era, come spesso succedeva, povera ed emarginata, bensì la persona più ricca della città, con ben tre mariti alle spalle. Fu probabilmente il suo potere e il suo anticonformismo, che sfuggiva all’austerità del periodo successivo alla riforma protestante, che attirò su di sé invidie e rancori. Morì in mezzo al fiume, dove ora attraccano le imbarcazioni che portano a spasso i turisti. Poco più in là, quattrocento anni dopo, Giuditta Tommasi, un’altra donna anticonformista di umili origini italiane, amazzone per passione, frequentava lo storico Café Select (chiuso nel 1998 per far posto alla filiale di una catena di pizzerie), mischiandosi agli artisti zurighesi e internazionali, conosceva un’aristocratica inglese divorziata e ne diventava l’amante. Una “strega” moderna, insomma, che però non venne bruciata e poté vivere la vita che desiderava. La storia di Zurigo è costellata di donne come lei, alcune anche molto famose, che però non vengono celebrate tramite statue e monumenti come avviene per gli uomini. Dagli anni duemila questa tendenza ha cominciato però a invertirsi: dal 2004 all’esterno della chiesa del Fraumünster si trova un monumento dedicato a Katharina von Zimmern, l’ultima badessa di Zurigo, e dal 2008 all’università vi è un’opera d’arte di Pipilotti Rist (attualmente in visita al Museo nazionale per una mostra sui diritti delle donne) che celebra Emilie Kempin-Spiry, la prima donna svizzera laureatasi in legge.
Sono questi alcuni dei fatti e delle storie avvincenti che le visite della Frauenstadtrundgang Zürich trasmettono al pubblico. Peccato che ogni volta ad ascoltare ci fossero quasi solo donne. Perché niente uomini? Per mancanza d’interesse? Per fastidio? Per ignoranza? La strada da fare è ancora lunga.