Secondo lo studio legale si tratta di "una causa storica contro il traffico di esseri umani e la pornografia minorile nell'industria del porno online"
Nuovi guai per Pornhub: il gigante della pornografia online è stato infatti denunciato da 34 donne i cui video a luci rosse, in alcuni casi realizzati quando erano minorenni, sarebbero finiti sulla piattaforma senza il loro consenso. Ma la denuncia presentata in un tribunale della California dallo studio legale Brown Rudnick non si limita alla pubblicazione di questo materiale e descrive MindGeek, la società che controlla Pornhub e un centinaio di altri siti, come una vera e propria associazione criminale. L’azienda non solo non avrebbe sufficientemente protetto le vittime di violenza sessuale, ma le avrebbe sfruttate creando un sistema incentrato su materiale pornografico non consensuale, con controlli solo di facciata, e mettendo a tacere, con metodi tipici della malavita, vittime e accusatori.
“Il gruppo – si legge nella denuncia dello studio legale – agisce brutalmente per evitare che le sue attività criminali vengano alla luce”, agendo come un soggetto “senza legge e senza scrupoli” ricorrendo a menzogne, calunnie, ricatti e intimidazioni. È il caso di Mike South, attore pornografico e giornalista, che dopo aver scritto alcuni articoli su MindGeek ha ricevuto prima offerte di sponsorizzazione e poi minacce, inclusa una scatola di fiammiferi trovata alla porta di ingresso accompagnata dal bigliettino “Mi dispiace che la tua casa sia bruciata”. Trattamenti simili sarebbero stati riservati ad attivisti per i diritti umani e alle vittime di sfruttamento sessuale che hanno provato a criticare Pornhub. Anche gli ex dipendenti verrebbero sorvegliati e, se considerati un pericolo per l’azienda, minacciati.
Pornhub ha ovviamente respinto le accuse, definendole “false” e “assurde” e ribadendo che i video caricati sulla piattaforma sono tutti controllati da sistemi automatici e moderatori umani. Nella denuncia si mostrano tuttavia alcuni casi di video chiaramente descritti come non consensuali nel titolo – ragazze incoscienti perché ubriache o drogate – rimasti online per mesi, oltre a moderatori che sconsigliano di denunciare alle autorità video illegali.
Non è del resto la prima volta che il modello Pornhub viene messo sotto accusa: negli scorsi mesi un articolo del New York Times denunciava la presenza sulla piattaforma di video con minori o caricati senza il consenso delle persone filmate. In seguito a questa denuncia, le società di gestione di carte di credito Visa e Mastercard – che figurano anche loro tra gli accusati in quanto avrebbero tratto profitto dallo sfruttamento sessuale – avevano sospeso i rapporti con MindGeek, bloccando il pagamento dei contenuti “premium” sulla piattaforma.
In seguito a questa operazione, Pornhub ha cancellato milioni di video e disabilitato alcune funzioni come la possibilità di scaricare i filmati sul proprio computer, riconoscendo quindi la presenza di un problema ma mostrando, al contempo, la volontà di essere un rispettabile sito di pornografia.
Grazie a campagne di marketing molto intelligenti, Pornhub è infatti riuscita a imporsi come marchio se non ammirabile, quantomeno citabile senza vergogna. È il caso di iniziative per la protezione dell’ambiente, studi sulle abitudini del pubblico basati sui dati di accesso e di un progetto di educazione sessuale – rimasto tuttavia slegato al sito principale e con importanti lacune quali il tema del consenso o il sadomaso – e soprattutto delle campagne per la libertà di espressione. In Thailandia, dopo la decisione del governo di bloccare l’accesso ai siti pornografici, Pornhub è diventato simbolo delle proteste.
Lo studio legale, nel suo dettagliato comunicato stampa, parla di “una causa storica contro il traffico di esseri umani e la pornografia minorile nell'industria del porno online”. Al di là della retorica, è interessante come il caso viene presentato all’opinione pubblica, inclusa un’intervista a una delle vittime che lo studio ha probabilmente fornito in esclusiva a un’emittente e un sito internet, mindgeeklitigation.com, per presentare il caso e raccogliere testimonianze. “Non è una questione di pornografia, ma di stupro” ha affermato l’avvocato Michael Bowe: impostare così il caso, sia in aula sia fuori, è una necessità, dal momento che negli Stati Uniti la pornografia è protetta, in quanto libertà di espressione, dal Primo emendamento. L’obiettivo della causa – oltre al risarcimento delle vittime – non è quindi la chiusura di Pornhub o la scomparsa della pornografia online, ma che sulle piattaforme di MindGeek figuri solo materiale consensuale.
Finora in casi simili si è sempre scelto di tutelare la libertà di espressione, ma in questo caso le accuse non sono di offesa alla morale o di oscenità e non riguardano la pornografia in generale. Sarà quindi interessante vedere se questa strategia avrà successo. Per saperlo, tuttavia, occorrerà attendere diversi anni: vista l’enfasi con cui è stata presentata, è improbabile che la causa si concluda con un accordo extragiudiziale e prosegua invece fino alla Corte suprema.