Perché sono soprattutto le donne a segnalare reazioni avverse? La medicina di genere, tra differenze biologiche e socio-culturali e le lacune della ricerca
Sono soprattutto donne, ad aver segnalato effetti indesiderati ai vaccini per il Covid: secondo quanto comunicato da Swissmedic, l’agenzia di sorveglianza farmacologica elvetica, 68,7% contro il 27,1% degli uomini. Una differenza solo in parte spiegabile con il fatto che, dati dell’Ufficio federale della sanità pubblica, al momento il vaccino è stato somministrato più a donne (56%) che a uomini e non è un fenomeno unicamente svizzero: dati simili si riscontrano in molti Paesi e del resto non sorprendono chi conosce gli studi di medicina di genere, campo di ricerca relativamente recente sulle differenze sia biologiche sia socio-culturali tra uomini e donne in medicina.
Una parziale spiegazione della disparità potrebbe essere comportamentale: le donne potrebbero segnalare più frequentemente effetti indesiderati soprattutto se leggeri. Tuttavia, almeno negli Stati Uniti, lo sbilanciamento di genere si ritrova anche nelle (rare) reazioni avverse di una certa importanza e inoltre spesso accade il contrario: numerosi studi mostra la tendenza, da parte del personale sanitario, a minimizzare se non trascurare i sintomi riportati da donne e da persone appartenenti a minoranze.
La maggiore incidenza tra le donne ha quindi verosimilmente una causa biologica, cosa che è “del tutto coerente con i rapporti precedenti relativi ad altri vaccini” ha spiegato al ‘New York Times’ l’immunologa Sabra Klein. Tuttavia non è una cattiva notizia per le donne, almeno non del tutto: gli effetti collaterali sono in genere lievi e di breve durata e, soprattutto, sono il segno che il vaccino sta funzionando correttamente. Ma forse è anche il segno che, di vaccino contro il coronavirus, potrebbe bastarne una dose più piccola: non solo le donne hanno un sistema immunitario maggiormente reattivo – la produzione di anticorpi dopo i vaccini per influenza, febbre gialla, epatite A e B è talvolta del doppio –, ma la metabolizzazione dei farmaci avviene in genere più lentamente, aumentandone quindi gli effetti. Questione di ormoni, forse anche di genetica: diversi geni legati al sistema immunitario sono sul cromosoma X di cui le donne hanno due copie mentre gli uomini una sola.
Tuttavia, che siano davvero questi i motivi dei maggior effetti indesiderati dei vaccini contro il Covid è solo un’ipotesi: le differenze di genere non sono state una priorità, nello studiare possibili terapie e svilluppare i vaccini. Il che non significa che gli studi clinici non siano stati fatti anche su donne, per quanto fino a non molti decenni fa capitava anche questo: troppo complicato tenere conto, nelle analisi dei dati, delle fluttuazioni ormonali legate al ciclo mestruale, per cui meglio studiare – anche negli animali – i maschi e poi generalizzare sulla popolazione femminile. Non è più così, ma gli studi spesso non sono realizzati per rilevare eventuali differenze tra uomini e donne e i dati non sono neanche distinti per genere, con il rischio quindi di lasciarsi sfuggire alcuni aspetti comunque importanti. Secondo alcuni ricercatori, queste differenze di genere a livello immunitario potrebbero ad esempio spiegare perché sia il rischio di ricovero sia la mortalità siano più alte negli uomini mentre i sintomi da “long Covid” siano più presenti nelle donne.
In un articolo scientifico pubblicato lo scorso dicembre su ‘EClinicalMedicine’ (rivista afferente al prestigioso Lancet) sono stati analizzati trenta studi clinici su possibili terapie realizzati nei primi mesi del 2020: solo in un caso i dati erano divisi per genere, e comunque in un’analisi successiva alla raccolta dei dati. Anche nelle sperimentazioni sui vaccini non sempre sono stati prese in considerazioni le possibili differenze tra uomini e donne. Servono dati e analisi completi, per prendere decisioni e programmare al meglio le campagne vaccinali, hanno scritto su ‘Lancet’ alcune ricercatrici tra cui Evelyne Bischof dell’Ospedale universitario di Basilea.
E dire che almeno uno dei vaccini, quello Pfizer/BioNTech, è stato sviluppato anche grazie all’uguaglianza di genere: “Alla BioNTech le donne costituiscono il 54% della forza lavoro e il 45% dei dirigenti. Ci piace pensare che avere una squadra equilibrata dal punto di vista del genere sia stato fondamentale per rendere possibile ciò che era apparentemente impossibile: sviluppare un vaccino per il Covid in 11 mesi” ha dichiarato la cofondatrice dell’azienda Özlem Türeci.