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Il nostro occhio locarnese sul Sole

Tra cicli magnetici e i rischi delle tempeste solari, il vicedirettore Renzo Ramelli ci spiega l’attività di ricerca dell’Irsol

Ramelli
(ti-press)
2 gennaio 2025
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L’Istituto ricerche solari Aldo e Cele Daccò a Locarno è recentemente stato riconfermato dalla Confederazione quale infrastruttura di ricerca di importanza nazionale. È dal 2013 che all’Irsol, affiliato all’Università della Svizzera italiana, è riconosciuto questo titolo che, oltre ad attestare la qualità del lavoro svolto, garantisce un finanziamento di un milione di franchi da utilizzare in modo ripartito nei prossimi quattro anni. «Questo sostegno è la base su cui viene assicurato il personale fisso, che si occupa di portare avanti i progetti e di richiedere finanziamenti competitivi al Fondo nazionale per la ricerca scientifica e ad altri enti» ci ha spiegato Renzo Ramelli, vicedirettore dell’Irsol. «È importante precisare che il finanziamento che riceviamo dalla Confederazione viene completato da altri enti, in particolare dal Canton Ticino e dagli enti locali, poiché la Confederazione, per legge, può coprire al massimo la metà di questo contributo» ha aggiunto Ramelli.

L’Irsol, come dice il nome, si occupa del Sole. Che cosa studiate di preciso?

Ci occupiamo principalmente dello studio del campo magnetico e dell’attività magnetica solare. Per questa ricerca utilizziamo una tecnica osservativa, la spettropolarimetria, per la quale disponiamo di uno strumento all’avanguardia, lo Zimpol (Zurich IMaging POLarimeter). Questo strumento rappresenta il nostro fiore all’occhiello e ci permette di studiare il campo magnetico e le interazioni nell’atmosfera solare con grande precisione.

Più in dettaglio, abbiamo quattro gruppi di ricerca. Uno si occupa proprio delle attività di osservazione strumentale, mentre un altro lavora sui modelli teorici dell’interazione tra radiazione e campo magnetico, modelli che poi possiamo verificare attraverso le osservazioni. Abbiamo poi un gruppo dedicato alle simulazioni numeriche dell’atmosfera solare, utilizzando le risorse del Centro svizzero di calcolo scientifico a Lugano. Infine abbiamo un gruppo che si occupa di magnetismo e di ‘Space Weather’, studiando le tempeste solari e le eruzioni solari che possono avere un impatto significativo sulla Terra e sulle nostre tecnologie.

L’osservazione ‘da terra’ dei fenomeni astronomici non è superata da sonde e telescopi spaziali?

Credo che le osservazioni spaziali e quelle terrestri si completino molto efficacemente. Le missioni spaziali hanno il vantaggio di non essere disturbate dall’atmosfera terrestre, ma hanno costi decisamente superiori e presentano una minore versatilità: richiedendo lunghi periodi di progettazione, si concentrano su aspetti e tecniche molto specifici. Le osservazioni da terra, al contrario, offrono maggiore flessibilità e costi contenuti. Insomma, si opta per lo spazio solo quando risulta veramente indispensabile. Le osservazioni dallo spazio permettono ad esempio di lavorare nell’ultravioletto, radiazione che viene assorbita dall’atmosfera terrestre, ma quando è possibile è meglio e più economico studiare le cose da terra. Sarebbe inoltre difficile realizzare osservazioni spaziali all’avanguardia, senza aver prima sviluppato e sperimentato la strumentazione sulla terra.

La comunità scientifica continua quindi a lavorare a progetti rilevanti per le osservazioni da terra. Recentemente è stato messo in funzione alle Hawaii un telescopio da quattro metri di diametro, denominato DKIST. Parallelamente, a livello europeo, è in preparazione un progetto – al quale partecipiamo anche noi dell’lrsol – per la costruzione di un grande telescopio europeo. Telescopi di queste dimensioni sono troppo grandi per essere mandati nello spazio.

Cosa sappiamo del campo magnetico solare? Quanto è simile al campo magnetico terrestre, con il quale abbiamo tutto sommato una certa familiarità?

Il Sole ha una configurazione magnetica abbastanza diversa da quella terrestre. In primo luogo, il Sole non è un corpo rigido e ha quella che chiamiamo una rotazione differenziale: ruota più velocemente all’equatore rispetto ai poli, il che rende tutto molto più complicato. In determinate fasi, il Sole ha globalmente un campo magnetico simile a quello terrestre, con due poli magnetici opposti, ma questa struttura viene deformata dalla rotazione differenziale, generando configurazioni magnetiche di notevole intensità.

Questa trasformazione segue un ciclo di 22 anni circa, con un’inversione di polarità – i due poli si scambiano di posto – che si verifica approssimativamente ogni 11 anni. Durante questa evoluzione ciclica, le strutture magnetiche sulla superficie solare si fanno più complesse e si creano delle zone attive caratterizzate dalla presenza di macchie solari. È in queste regioni che si manifestano i fenomeni più energetici: eruzioni, brillamenti ed espulsioni di massa coronale, fenomeni che possono generare tempeste solari capaci di raggiungere la Terra.

In questo momento, il Sole attraversa una fase di particolare attività: ci troviamo in un massimo di attività del ciclo solare, come testimoniato dalle recenti aurore boreali che sono state visibili anche dal Ticino.

Il Sole è inoltre pervaso da tante piccole strutture magnetiche più localizzate, che è possibile rilevare grazie alle misure molto precise effettuate con il nostro polarimetro Zimpol.

Dobbiamo quindi aspettarci un calo dell’attività solare nei prossimi anni?

Ci troviamo, come detto, al massimo dell’attività solare, e quindi ci attendiamo un graduale declino nei prossimi anni. È quello che ci aspettiamo, anche se ovviamente si tratta di processi che non sono rigidamente predeterminabili. La diminuzione dell’attività magnetica comporterà comunque una progressiva rarefazione dei fenomeni più spettacolari, sarà insomma più difficile osservare aurore boreali alle nostre latitudini. Più difficile ma non impossibile: anche nella fase calante del ciclo, non possiamo escludere manifestazioni energetiche significative, vista la natura intrinsecamente dinamica del Sole.

Si tratta insomma di un processo di attenuazione graduale, non di un’improvvisa inattività. Direi che per almeno un paio di anni rimane la concreta probabilità di osservare fenomeni di notevole intensità.

Prima ha accennato alle conseguenze di una tempesta solare sulle nostre tecnologie. Quanto dobbiamo preoccuparci?

La più celebre tempesta solare dell’era moderna si manifestò nel 1859 ed è nota come Evento di Carrington. Parliamo di un’epoca in cui l’elettricità era poco utilizzata e le infrastrutture si limitavano essenzialmente al telegrafo: le conseguenze furono quindi limitate, con il malfunzionamento delle linee telegrafiche e alcuni operatori che presero la scossa. Ma ci è utile per comprendere la vulnerabilità dei sistemi tecnologici contemporanei, molto più importanti nelle nostre vite ma fragili come le linee del telegrafo di metà Ottocento. Nel 1989, una tempesta solare molto meno intensa dell’Evento di Carrington causò un importante blackout in Québec. E non dimentichiamo tutti satelliti, particolarmente esposti a questi fenomeni visto che sono meno protetti dal campo magnetico terrestre che ci fa da scudo. Una tempesta solare può disturbare le radiocomunicazioni e i sistemi di navigazione satellitare, con le conseguenze che possiamo immaginare ad esempio per gli aeroporti. Nel 2015 in Scandinavia alcuni scali hanno dovuto sospendere temporaneamente le attività proprio per l’inaffidabilità dei sistemi di navigazione.

È possibile che prima del 1859 vi siano stati altri eventi simili, senza che l’umanità se ne accorgesse?

Sì. Alcuni studi hanno analizzato le concentrazioni di carbonio-14 negli anelli di crescita degli alberi. Si tratta di un particolare isotopo radioattivo che è generato nella parte alta dell’atmosfera terrestre dai raggi cosmici che sono modulati dall’attività magnetica solare. In certi casi tale isotopo può essere prodotto anche da particelle accelerate sul Sole a velocità prossime a quelle della luce: la concentrazione del carbonio-14 ci permette quindi di ricostruire l’intensità dell’attività solare e sono state trovate tracce di eventi solari di notevole portata nel passato remoto. L’Evento di Carrington non è quindi stato un caso unico: la possibilità che un evento di questa dimensione si ripresenti è quindi concreta. E dovremmo prendere in attenta considerazione le conseguenze che avrebbe sulla nostra società.

Sarebbe possibile avere dei messaggi di allerta analoghi a quelli per il maltempo? Insomma, Locarno-Monti per i nubifragi, l’Irsol per le tempeste solari?

La nostra ricerca ha come obiettivo principale la comprensione dei meccanismi fondamentali che governano questi fenomeni: l’elaborazione di sistemi di allerta non fa parte delle nostre attività. Esistono, tuttavia, centri specializzati che studiano e perfezionano delle tecniche predittive.

La presenza di un’attività solare complessa è di solito un buon indicatore. Il primo segnale osservabile è il cosiddetto brillamento, cioè un incremento sostanziale della luminosità, particolarmente evidente in specifiche lunghezze d’onda. L’Evento di Carrington ha questo nome proprio perché Richard Carrington osservò, il giorno prima di aurore boreali e blocco dei telegrafi, dei punti molto luminosi in mezzo alle macchie solari che stava studiando. La luce del brillamento arriva sulla Terra in otto minuti, mentre le particelle cariche della tempesta solare impiegano generalmente alcuni giorni per raggiungere il nostro pianeta.

È su questa differenza temporale che potremmo impostare un’allerta preventiva, anche se rimane il problema di prevedere con precisione se la tempesta colpirà effettivamente la Terra o no, ma stiamo facendo progressi anche su questo punto grazie anche alle misure dell’osservatorio spaziale Soho che si trova costantemente tra la Terra e il Sole. Proprio come le previsioni meteorologiche, le nostre capacità di previsione migliorano parallelamente alla comprensione teorica dei fenomeni sottostanti, in un processo di progressivo affinamento delle nostre conoscenze.