Armonia, melodia e stili ridotti all'osso. Cosa è successo negli ultimi sessant'anni? Abbiamo messo a confronto il Festival del 1964 con quello del 2024
Periodicamente i sondaggi applicati alla musica ci dicono delle mutazioni avvenute nel tempo alle strutture armoniche, alle linee melodiche. Tra gli ultimi in ordine di tempo, uno studio statunitense dal quale si evince che negli ultimi cinquant’anni le canzoni hanno subito una notevole semplificazione. Il Festival di Sanremo si avvicina, così abbiamo voluto comparare due edizioni, quella del 2024 e quella del 1964, tra le più fortunate e ricche di canzoni, per capire come si sono evolute le strutture armoniche, la ricchezza degli arrangiamenti, guardando alla varietà delle melodie, agli stili, ai ritmi e ai generi musicali ai quali le canzoni si rifanno.
Nell’edizione del 1964, a cantare le canzoni erano i cantanti italiani accoppiati con un/una cantante straniero/a. Al di là della doppia esecuzione del brano in gara, al contrario di quello del 2024, sul Festival del 1964 c’è tantissimo di cui dire. Esulando dai temi e dai testi delle canzoni, sono tante le influenze: molta musica americana, jazz, swing, ballad, twist, rock and roll, rumba, bossanova, tango. È identificabile anche il folk italiano più tradizionale e autentico, il Gaber che canta ‘Così felice’ è il rappresentante di uno stile preciso (la chitarra classica alla De André, gli arpeggi sulle quartine, soluzioni non americane). La moltitudine di influenze musicali si riflette ovviamente su un’armonia molto ricca e in alcuni casi estremamente ricercata, come nel caso di ‘E se domani’, che è un vero trattato di armonia e melodia, con soluzioni che arrivano dal jazz. ‘Sorrisi di sera’ di Tony Renis presenta arrangiamenti altrettanto finissimi, con scelte armoniche da musical americano, una canzone che presenta il respiro tipico dei grandi arrangiamenti internazionali. Le canzoni contengono scelte molto sofisticate per un festival come quello di Sanremo, inteso da sempre come la vetrina della musica popolare.
Senza voler per forza dare accezione negativa al salto verso il 2024, cosa è successo in questi anni? Dopo pochissimi ascolti delle canzoni dello scorso anno ci si accorge che l’ambito armonico è l’armonizzazione della scala maggiore a triadi, più in là di così non si va. Per gli ‘addetti ai lavori’: strutture ricorrenti sono la classica I-V-I-IV, con una piccola variante che è il secondo grado minore sostituito dal suo relativo maggiore e il quarto grado sostituito col sesto, e I e V che non si muovono da dove stanno. Altre strutture ricorrenti sono I IIIm IV I V, che possiamo trovare in ‘Ti muovi’ di Diodato o ‘Fino a qui’ di Alessandra Amoroso, I VIm IV V Emma, Negramaro (unica eccezione IV sostituito con il IIIm). Una boccata d’aria fresca (si fa per dire) arriva con Sangiovanni che azzarda un I Vm (accordo non diatonico ovvero preso in prestito da un’altra tonalità), IV, IVm (secondo accordo non diatonico! Tutto questo in sole quattro misure sulla prima strofa!). Sarà forse per questo motivo che si è ritrovato penultimo? Una di quelle che abbiamo preferito, comunque.
Perché è successo questo? Proveremo a spiegarlo senza fare troppa ‘filosofia’.
Negli anni Sessanta, alla Rca Italia o alla Foint Cetra ad arrangiare la musica leggera c’era un giovane Ennio Morricone, che lavorò a ‘C’era un ragazzo’, ‘Sapore di sale’ e tanti altri successi dell’epoca. Relativamente al Sanremo 1964, si può guardare all’introduzione di violini su ‘Passo su passo’ di Claudio Villa, canzone scritta dalla coppia Migliacci-Bindi, arrangiata da Luis Bacalov, Premio Oscar per le musiche de ‘Il postino’ di Massimo Troisi. Sempre in quegli anni la canzone italiana veniva arrangiata da Franco Pisano, pianista dell’orchestra radiofonica della Rai e di Fred Buscaglione. Pisano era un grande conoscitore di musica americana e sebbene non ve ne sia traccia immediata, non è da escludere che proprio ‘Sorrisi di sera’ veda il suo arrangiamento. La canzone leggera del tempo non poteva esimersi dal dover ricorrere ad arrangiatori, che dirigevano orchestre composte da musicisti diplomati; per loro non c’era alternativa se non quella di rompersi le dita sullo strumento musicale per essere quei pochi talentuosi ce l’avrebbero fatta.
Oggi le cose funzionano in maniera molto diversa. Guardando ai producer più famosi degli ultimi anni si scopre che si tratta di persone molto giovani, generalmente nate negli anni Novanta, tutte di estrazione musicale rap e hip hop nella migliore delle ipotesi, o dalla trap: è chiaro che per quelle che sono le strutture di questi generi musicali, la varietà armonica va persa.
C’è anche un altro aspetto interessante ed è il tema dei chord pack, ovvero delle raccolte di strutture armoniche selezionate in base alla loro popolarità e suddivise per generi musicali. Generalmente vendute sotto forma di sequenze midi, un protocollo di scrittura che può essere facilmente letto da qualsiasi programma musicale. Una volta ascoltata una dozzina di strutture tutte uguali, nel caso del Sanremo 2024 mi sono chiesto se il motivo non risieda forse nel fatto che oggi si tende a fare musica utilizzando librerie di suoni preesistenti (preset) e sequenze di accordi preimpostati come appunto i Chord Pack, oggetti musicali in vendita online che chiunque, in qualsiasi luogo del mondo, può scaricare e utilizzare. Frank Zappa, in un’intervista di tanto tempo fa, disse che le cose nella musica pop andarono bene finché ci furono i produttori ciccioni col sigaro, che essendo lontanissimi dal mondo della musica si fidavano dei musicisti. Zappa disse che poi arrivarono “i fottuti hippie”, che sostennero di sapere ciò che la gente avrebbe voluto ascoltare, dettando le regole del gioco al posto dell’artista. Oggi pare che sia la Rete, coi suoi venditori di software, a dettare le regole. È un aspetto da tenere in considerazione, perché il modo in cui si fa musica di questi tempi è anche basato sulla fruizione di questi mezzi.
Da un punto di vista principalmente sonoro, se guardiamo agli strumenti virtuali che i musicisti utilizzano, possiamo ritrovarci a constatare una ricorrenza di suoni riconoscibili. Quella denominata ‘Native Instruments’, per dirne una, è una di molte librerie di suoni preconfezionati molto stimolanti quando si tratta di trovare ispirazione velocemente, ma se ci si ferma ai suoni cosiddetti ‘preset’ (così come usciti dalla fabbrica, già ‘finiti’, dal sound design completo, con effetti d’ambiente, compressori e altre caratteristiche di base), si deve dire che si tratta di suoni usati da tutti e che pertanto diventano riconoscibili. Questo non può che influenzare l’ascolto, creando un appiattimento armonico, ritmico e di suono. Nell’elenco di trenta cantanti dello scorso Festival, che sul piano dell’arrangiamento non possono vincere, brillava una canzone come ‘Onda alta’ di Dargen D’Amico perché era vincente il suo modo di raccontare il tema dei migranti del mare. Ecco che a parità di arrangiamenti, o in assenza di efficacia di essi, la differenza tra canzoni può farla il testo.
Ritmicamente parlando, il Sanremo del 1964 offre molte alternative. ‘Sole sole’ di Laura Villa, ‘Non ho l’età’ di Gigliola Cinquetti, ‘L’ultimo tram’ di Milva’, ‘Quando vedrai la mia ragazza’ di Little Tony, brani dalla forte influenza di jazz americano, swing, slow twelve (quello che noi chiamiamo ‘terzinato’), ma anche di twist e rock and roll ispirato a Elvis come in Bobby Solo con ‘Una lacrima sul viso’, Robertino con ‘Un bacio piccolissimo’, Bruno Filippini con ‘Sabato sera’, Lilly Bonato con ‘Tu piangi per niente’. Ci sono poi i richiami al Brasile di Cochi Mazzetti con ‘Mezzanotte’, di Domenico Modugno con ‘Che me ne importa a me’ e Piero Focaccia con ‘L’inverno cosa fai?’, che richiamano alla bossanova, al tango, alla rumba, una varietà notevole dunque. Come per l’armonia, analizzato dal punto di vista ritmico, il Festival del 2024 non presenta un solo brano terzinato. Tra i pochi stili riscontrabili emergono la matrice rap e trap e il genere indie (alla Calcutta, per fare un nome). Si tratta di due o tre stili contro la decina di quelli del Sanremo 1964. La questione melodica del 2024, altrettanto, si chiude molto velocemente.
Nel 1964, in prima serata davanti alla tv, c’era un pubblico mediamente meno istruito di oggi, che digeriva e accettava senza nemmeno un plissé queste finezze armoniche, apprezzandole. Non a caso quelle canzoni sono rimaste nella storia della musica italiana. Pensando a questo, tornano alla mente le parole del produttore Quincy Jones, morto lo scorso 3 novembre, quando ricordava che la musica è emisfero destro e sinistro insieme, è intelletto ed emozioni, dove la parte intellettuale dell’arrangiatore deve sempre essere di supporto alle emozioni. Oggi pare che l’emozione sia tanta e l’intelletto meno. Fred De Palma con ‘Il cielo non ci vuole’, La Sad con ‘Autodistruttivo’, Maninni con l’amore ‘Spettacolare’ sono molto e sinceramente emozionati, forse troppo. È vero che il modo in cui si vive l’amore, il senso di emarginazione e altre tematiche attuali sono specchio di un’epoca e di una società, e quel range di emozioni giovanili viene spesso cantato in modo esasperato, ma la constatazione è che c’è tanta emozione fuori controllo e manca un poco di quell’intelletto, inteso come struttura musicale, armonica, assai presente nella musica degli anni Sessanta.
È bene anche dire che nel 1964, malgrado una certa ipocrisia, il patriarcato e una società non invidiabile e perfetta, c’era più leggerezza, e una sana ‘stupidità’ mista a ironia. ‘Sole pizza amore’ nella versione di Marina Moran, in cui ogni strofa è un messaggio rivolto a un amante diverso, era una canzone molto ‘avanti’ (meno se cantata da Aurelio Fierro, nella seconda versione). Per concludere, citiamo ‘Tu piangi per niente’ di Lilly Bonato, un twist con breve assolo di chitarra di quattro misure, l’unico assolo di uno strumento su 60 canzoni il 1964 e quarant’anni dopo.