Dei cantanti sono angeli custodi, dell’Orchestra di Sanremo strumento musicale. Sono i sei coristi del Festival: dietro le quinte con Cristiana Polegri
Sono in sei, agiscono più spesso nell’oscurità, a volte in piena luce se mai venisse chiesta loro una coreografia, come se non bastasse memorizzare musica e testi e seguire il labiale di chi canta, alla maniera dei doppiatori dei film di Hollywood, cuffie in testa e occhi bene aperti. Dei cantanti seguono intenzione, sfumature, ‘svisate’ non concordate e ogni altra libertà che solo chi sta al centro del palco può prendersi; stanno sempre un passo indietro, li chiamano ‘coriste’ o ‘coristi’ ma è un termine che nella lingua italiana, in musica solitamente prodiga di ogni sfumatura possibile, non rende l’importanza del ruolo, vuoi per un retrogusto clericale forse impossibile da ripulire, vuoi perché ci sarebbero tante cose da spiegare.
È ‘vocalist’ o ‘backing vocalist’, proprio per la collocazione ‘back’ (indietro), che chiamano i coristi oltreoceano, terra nella quale ‘fare i cori’ nel disco di qualcuno diventa spesso ‘feat’ (featuring), una collaborazione bella e buona che finisce nei credits anche se la faccia e tutto il resto ce li mette il cantante solista. E poi la coreografia, dicevamo: quest’anno, per esempio, oltre a fare i ‘backing vocals’ ai trenta cantanti in gara, e a tutti gli altri solisti che di venerdì riempiranno il palco dell’Ariston per la serata dei duetti, i coristi di Sanremo alzano gli indici e li fanno oscillare, poi fanno un gesto che al sud è una specie di “arrivederci”, o “stai fresco” (‘Un ragazzo una ragazza’ di The Kolors, si rimanda alla tv).
Capitanati da Luca Velletri, da vent’anni a Sanremo, i sei coristi del Festival includono un altro uomo, Roberto Tiranti, e quattro donne: Valentina Ducros, Alessandra Puglisi, Naomi Rivieccio e Cristiana Polegri. Sono ‘i cori’ dell’Orchestra di Sanremo, rappresentati per noi da Cristiana Polegri, vocalist appartenente a quella categoria di persone che nella vita fanno bene più di una cosa, che farne bene una è già una conquista. Ha iniziato come sassofonista, poi ha lavorato come attrice e cantante; un bel giorno la tv si è presa anche la sua anima (è una boutade) e la recitazione è restata indietro; una volta «diventata grande» si è iscritta a un corso teatrale, si è diplomata e nel suo spettacolo ‘Brava, suoni come un uomo’ ha raccontato quanto sia difficile essere sassofonista, strumento maschile per discutibile assunto, e che lei suona.
Oggi, presenza fissa de ‘I fatti vostri’ (Rai), Polegri porta il suo teatro canzone per l’Italia e il teatro in sé è per lei fonte delle emozioni più forti. «Mi sono pure sposata con un attore», ci dice, e cioè Stefano Fresi, che le ha riportato le emozioni di Gigi Proietti, «uno che prima di andare in scena si chiedeva se sarebbe riuscito a far ridere, perché l’impatto col pubblico in carne e ossa non è quello con la telecamera. A teatro ti possono pure fischiare…».
Cristiana Polegri, l’Europa del Nord venera l’Eurovision Song Contest, ma un festival della canzone senza un’orchestra può essere un festival della canzone?
Lo è stato, in passato. Negli anni 80, anni che hanno portato tante cose belle, c’è stato un periodo in cui si cantava in playback e l’orchestra a Sanremo non entrava. Sanremo senza l’orchestra è come la città senza i fiori, da un po’ di anni si è tornati a suonare e a cantare dal vivo ed è una bella cosa, eccezion fatta per questo autotune che tanto va di moda e che una metà dei cantanti di questo Festival utilizza. Sebbene questo sia il Festival della Canzone italiana e vada votata la canzone e non il cantante, a noi che siamo musicisti fa molta differenza ascoltare in cuffia una voce pulita, pur con tutte le sue piccole stonature e incertezze, sempre umane, da quella di un cantante completamente sommerso dall’autotune, del quale si perde ogni sfumatura vocale.
Cercano di spiegarci che l’autotune è impiegato come scelta artistica e non come ‘furbata’, ma anche quest’anno pare che a rapper e trapper serva per cantare come interpreti melodici, pur non sapendo da dove cominciare.
L’autotune è l’attualità, utilizzarlo può essere anche divertente in alcuni tipi di canzone, ma ho la sensazione e la paura che in molti lo utilizzino come espediente. Alcuni cantanti, addirittura, fanno le prove prima senza l’autotune, poi ne chiedono un poco al fonico, non so se per dare quel tipo di colore alla voce, o semplicemente per la paura di stonare.
E poi ci sono quelli che stonano pure con l’autotune…
Perché bisogna saperlo utilizzare. A questo punto, perché non eccedere volutamente, per creare un suono specifico, come fanno Ghali o Mr. Rain.
Però ci vorrebbe la sovrimpressione ‘contiene autotune’, il ‘contiene inserzioni pubblicitarie’ delle trasmissioni tv…
Beh, è come chi si fa il botulino pesante e chi solo una mezza punturina, ‘l’aiutino’. Ma non dobbiamo demonizzare il presente, l’importante è che si scrivano comunque belle melodie, e testi interessanti. Guardo a Loredana Bertè e vedo la volontà di Amadeus di far abbracciare il pubblico dei giovani famosi in rete, che mio figlio ben conosce, con quello degli adulti, e parlo di Ricchi e Poveri, Fiorella Mannoia.
Quanto lavora l’Orchestra di Sanremo, o anche: quante ore dormite a notte?
Lavoriamo tantissimo. Sanremo per noi è iniziato il primo di gennaio a Roma, con le prove a Saxa Rubra dalla mattina alle 10 fino alle 8 di sera, tutte le canzoni suonate fra noi musicisti e poi con i cantanti per una prima prova. Dal 18 di gennaio ci siamo spostati a Sanremo e abbiamo lavorato abbastanza duramente anche qui, sempre dalle 10 di mattina alle 8 di sera. Ora ci stanno convocando alle 2 del pomeriggio, però poi facciamo le 2 di notte. Sono parecchie ore, ma si sa che Sanremo è questo. Mettici anche che i brani sono 30 e che con le cover diventano 60, più le canzoni degli ospiti: abbiamo provato con Lorella Cuccarini, con Mengoni, Fiorello, Giorgia…
‘Ascoltare Giorgia dal vivo nelle cuffie comunque è una roba…’. È scritto sulla tua pagina social: è riferito a quella prova?
Sì, nutro un particolare affetto nei confronti di Giorgia. Abbiamo la stessa età, abbiamo ascoltato la stessa musica da bambine e sebbene io non abbia mai avuto l’occasione di lavorare insieme a lei, per me è stata una grande emozione poterla ascoltare in cuffia. È stata una cosa molto personale, l’ascolto in cuffia regala tutti i particolari della voce di chi canta.
Le telecamere vi inquadrano spesso mentre cantate insieme ai cantanti anche quando la parte in questione parrebbe soltanto eseguita dal solista…
È una tendenza del periodo. Ci viene chiesto di cantare con la voce ottavizzata e con la doppia voce per scelta stilistica, oggi si arrangia in modo diverso. E si tende a far sentire i brani così come poi sarà l’originale: pur capendo le potenzialità commerciali derivanti da una versione unica, nella giornata delle cover io rifarei il mio brano con un altro arrangiamento, sfruttando l’orchestra, per far capire se davvero si tratta di un brano valido oppure no. Si fecero tentativi di questo tipo in passato, in un periodo d’oro del Festival durante il quale a cantare lo stesso brano erano artisti internazionali.
E in questa cosa del cantare a ottave, dove si applica la voce?
Il pezzo di Alessandra Amoroso, per esempio, lo canto per intero insieme a lei, stando attenta alle inflessioni della voce, alle virgole. Seguo il suo labiale per essere in sincrono con lei, con l’esperienza che mi viene dal lavorare per la Disney in ambiti di sincronismo labiale, insieme ad altri tre di noi. Guardo Alessandra dal vivo, perché il monitor ha una latenza che non mi permetterebbe di essere a tempo. Tanto il pezzo, i pezzi, li conosco a memoria…
L’ex Doobie Brothers Michael McDonald è uno stimato solista che fa i cori nei dischi altrui ed è osannato per questo. In Italia c’è sempre l’idea che il corista venga dopo un chitarrista o un batterista?
Dopo la sezione ritmica, sì. I più penalizzati sono in realtà gli archi, anche se lavorano tanto. A Pippo Caruso, con il quale ho lavorato ai tempi di Baudo, era sempre chiaro che il coro è uno strumento musicale, supporta sì ma aggiunge anche un colore, è parte dell’arrangiamento e deve essere sfruttato al meglio.
Su quali brani di questo Sanremo ci si diverte di più, lì dalle vostre parti?
Io mi sono affezionata un po’ a tutte le canzoni, forse perché le vivo dall’interno. Da fuori, forse le avrei criticate di più. Ne ho vissuto la nascita, l’evoluzione; mi divertono quelle di Fred De Palma, Geolier, Angelina Mango, meravigliosa; mi è piaciuto Diodato, che è un grande cantante, lo vedrete anche nella serata delle cover. Ho gradito particolarmente gli arrangiamenti del maestro Enzo Campagnoli, che è riuscito a lavorare molto bene sul brano di Dargen D’Amico, malgrado martedì non sentisse al meglio la sua voce in cuffia. Stupirà il suo omaggio a Ennio Morricone. Ero tanto amica di Leandro Piccioni, il pianista di Morricone venuto purtroppo a mancare, anche arrangiatore e pianista dell’Orchestra di Piazza Vittorio una cui cellula accompagnerà D’Amico, che unirà il suo rappare a ‘The Crisis’ di Ennio Morricone, tratto da ‘La leggenda del pianista sull’oceano’.
Hai parlato di Leandro Piccioni, credo che il Festival debba un ricordo anche al maestro Danilo Minotti, venuto a mancare lo scorso anno.
Sarebbe tanto bello, la moglie Letizia apprezzerebbe una parola spesa su un grande maestro come lui. Ho lavorato con Danilo in varie occasioni e oltre a essere persona meravigliosa era un grande arrangiatore, così come il maestro Caruso. Danilo fu uno dei primi a credere in me come sassofonista e come corista.
‘Povero cucciolo abbandonato’, chiami così il tuo sax su facebook, solo soletto in un angolo della tua camera d’hotel...
Non riesco a suonarlo, in albergo le pareti sono di cartapesta. Lo suono in Rai e anche con il grande Massimo Ranieri, che ho dovuto temporaneamente ‘lasciare’ per Sanremo. Ci è rimasto male, mi ha detto “lì non ti inquadreranno mai, io invece ti do risalto!’ (sorride, ndr). Spero che abbia capito la mia scelta, lui che con Sanremo è nato e lo conosce bene. Leggo il suo dispiacere come una dimostrazione di stima.
Salvo colpi di scena, dal prossimo anno Sanremo cambierà guida: sei, siete preoccupati per il futuro dell’orchestra?
La paura che l’orchestra possa essere intesa solo come un ‘colore’ esiste. I pezzi con sequenze (elettroniche, ndr) sono sempre di più, non vorrei che un giorno rimanessero solo gli archi, per questioni estetiche. Archi che già suonano insieme a sequenze di archi virtuali e così accade a volte anche per il basso. Facciamo tanto lavoro, lo dobbiamo fare bene. Forse è bene sapere che quando serve lo stacco imprevisto, magari in situazioni di improvvisazione come quelle create da Fiorello, se l’orchestra non supporta l’artista l’improvvisazione non funziona. Per fortuna nella musica un po’ di meritocrazia c’è, perché se proprio non sai cantare, allora c’è davvero poco che puoi fare.