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E alla fine Homo sapiens rimase solo

Il professor Jean-Jacques Hublin, vincitore del Premio Balzan per la paleoantropologia, racconta la misteriosa scomparsa dell’uomo di Neanderthal

Neanderthal dove sei?
(keystone)
10 settembre 2024
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Da qualche decina di migliaia di anni al mondo ci siamo solo noi, gli Homo sapiens. Ed è una cosa eccezionale, perché negli ultimi milioni di anni ci sono sempre state, sulla terra, più specie di ominidi. Delle cause, e delle conseguenze, di questo evento eccezionale parlerà il professor Jean-Jacques Hublin, vincitore l’anno scorso del Premio Balzan per la paleoantropologia, in un incontro pubblico organizzato dalla Fondazione Balzan e dall’Università della Svizzera italiana. La conferenza, moderata dal giornalista Jonas Marti, si terrà alle 18.15 nell’Auditorio del Campus ovest a Lugano.

Professor Hublin, se parliamo di evoluzione umana, penso che a molte persone venga in mente la classica immagine con la sequenza che parte da una scimmia e arriva all’uomo moderno.

Penso sia molto importante dire che quell’immagine è falsa. È grosso modo dagli anni Settanta del Novecento – con un processo iniziato con la scoperta di Lucy e proseguito con altre scoperte – che abbiamo definitivamente abbandonato una visione lineare e graduale dell’evoluzione umana per qualcosa di più complesso.

Vale a dire?

Al posto di una sorta di sfilata di specie dalle forme via via più complesse che ci porta all’essere umano moderno, un folto cespuglio. Questo cespuglio ci fa capire che nel passato, per diciamo negli ultimi sei o sette milioni di anni, ci sono sempre state più specie di ominidi. Con “ominidi” intendo il gruppo nel quale si mettono gli esseri umani, i loro antenati e anche le forme apparentate.

Abbiamo quindi sempre avuto più specie di ominidi che hanno convissuto sulla terra. Generalmente in continenti o in regioni diverse, ma a volte anche nelle stesse regioni, ma questa situazione si è interrotta circa 40mila anni fa quando la nostra specie, Homo sapiens, ha soppiantato le altre forme. Così siamo entrati in un mondo nel quale esiste una sola specie umana: a noi appare normale che sia così e quindi abbiamo la tendenza a proiettare anche nel passato la situazione attuale che in realtà, per la scala dei tempi geologici, è eccezionale. Per questo credo che l’evoluzione della nostra specie sia l’avvenimento più importante diciamo dell’ultimo milione di anni: il fatto che una specie, la nostra, abbia rimpiazzato tutte le altre è una cosa che ha attirato l’attenzione degli scienziati e non solo.

Nella classica immagine dell’evoluzione umana c’è l’idea di linearità, ma anche quella di progresso: c’è una superiorità di Homo sapiens rispetto a chi abbiamo soppiantato?

Dipende ovviamente da come guardiamo le cose, ma vorrei dire che l’evoluzione non esiste, nel senso che quello che avviene è un cambiamento nel tempo. Nel corso degli ultimi milioni d’anni abbiamo visto alcune specie con un cervello più grande: possiamo vederlo come un progresso, ma è semplicemente un cambiamento. Sappiamo ad esempio che sono rimaste molte specie con cervello piccolo. Ma diciamo che la tendenza è inequivocabilmente quella: individui con maggiori capacità cognitive. Perché? Perché gli ominidi si sono impegnati in quella che i biologi chiamano costruzione di una nicchia: questo fenomeno avviene quando una specie modifica il suo ambiente per renderlo più propizio. Invece di adattarsi all’ambiente, modifica l’ambiente: è quello che fanno ad esempio le termiti che vivono in un ambiente completamente artificiale. E così fanno anche gli esseri umani – Homo sapiens, ma anche altre specie – che hanno avuto bisogno di un cervello sempre più “performante”.

Anche agli uomini di Neanderthal?

Parliamo di una forma umana che si è evoluta nell’Ovest e nel centro dell’Eurasia nello stesso periodo in cui, da un antenato comune, la nostra specie si è evoluta in Africa. Anche loro avevano un cervello grande e presentavano una importante complessità tecnica e sociale. Non guardiamo più ai Neanderthal come facevamo negli anni Cinquanta del Novecento, come degli uomini-scimmia, ma per certi versi siamo caduti nell’estremo opposto.

Cioè considerarli troppo intelligenti?

Li immaginiamo esattamente come gli esseri umani moderni cosa che, secondo me, è altrettanto sbagliata che descriverli come degli animali feroci. Ci sono delle differenze comportamentali, delle differenze cognitive e delle differenze genetiche, inclusa la genetica del cervello. E siamo noi ad aver sostituito i Neanderthal, non il contrario.

Come facciamo a conoscere tutti questi aspetti di una specie scomparsa, come detto, 40mila anni fa?

Ha ragione: è una vera sfida ricostruire come viveva davvero un Neanderthal. Abbiamo a disposizione, e in abbondanza, quella che viene chiamata “cultura materiale”, quindi utensili e strumenti. Certo, questo ci dà una visione parziale, perché chiaramente abbiamo a che fare soprattutto con gli aspetti tecnici e meno con quelli sociali. Una delle caratteristiche degli esseri umani moderni è la capacità di creare delle reti anche molto estese di relazioni in cui gli individui condividono credenze, valori, una lingua o una religione. Quando guardiamo i complessi paleolitici, già all’epoca dei Neanderthal si comincia a riconoscere una sorta di differenziazione geografica, ad esempio nei modi di realizzazione di certi strumenti, e si pensa che questo sia l’inizio di una differenziazione culturale. Le reti che osserviamo con la nostra specie sono tuttavia molto più grandi e troviamo in Europa degli oggetti che, passando di gruppo in gruppo, hanno percorso grandi distanze, come delle conchiglie del mediterraneo che sono state ritrovate in Germania.

Oltre a questi elementi, per capire come vivevano i Neanderthal e i nostri antenati possiamo basarci su alcuni aspetti del comportamento umano che sono collegati al modo e alla velocità con cui si cresce, e questa è una cosa che possiamo ricostruire anche per le specie fossili. Gli esseri umani attuali ci mettono davvero tanto tempo per diventare adulti, e il cervello continua a modificarsi fino a quel momento, e questo crea delle relazioni molto particolari tra genitori e figli e tra individui, con conseguenze sull’organizzazione sociale.

Quindi, tornando al periodo di coabitazione tra Neanderthal e Sapiens…

La interrompo subito: non mi piace molto il termine “coabitazione” perché fa pensare che Nenaderthal e uomini moderni vivessero nello stesso luogo allo stesso tempo ma non è andata così. Quello che vediamo è che sì, in Europa per diversi millenni hanno vissuto sia Neanderthal sia Sapiens, ma nel senso che quando i Sapiens sono arrivati in Europa dell’est o centrale c’erano ancora gruppi di Neanderthal in Francia o in Spagna. Più che una coabitazione, è una divisione del territorio.

Perché, quindi, sono scomparsi i Neanderthal?

Penso che la domanda che dobbiamo porci sia un’altra: non perché i Neanderthal siano scomparsi, ma perché i Sapiens l’hanno sostituito. E penso che la risposta sia da cercare in alcune caratteristiche del comportamento dei Sapiens che hanno manifestato una migliore capacità di sfruttare l’ambiente. A lungo c’è stato un equilibrio, tra queste forme umane, poi questo equilibrio si è rotto perché i nostri antenati sono stati in grado, diciamo, di “fare le cose un po’ meglio”.

Una questione di concorrenza, più che di conflitto.

Quello che sappiamo è che un gruppo ha sostituito l’altro. Quello che voglio dire è che bisogna evitare le caricature: non fu un genocidio, ma non dobbiamo neanche cadere nell’angelismo e molto probabilmente ci sono state situazioni di conflitto.

Una parte del nostro Dna è di origine neanderthaliana. Qualche contatto c’è quindi stato.

Circa il 2%. È tanto? È poco? Personalmente non credo sia tanto: non parliamo di due popolazioni che si mescolano ma di una popolazione che ha sostituito l’altra.

Su come questo 2% sia passato dai Neanderthal ai Sapiens, possiamo immaginare un po’ quello che vogliamo: quello che conosciamo per certo è il risultato. Possiamo immaginare due gruppi che vivono vicini e ogni tanto si scambiano partner, oppure un gruppo di Sapiens che arriva e massacra i Neanderthal presenti tranne qualche donna. Ogni epoca ricostruisce la sua preistoria immaginaria: oggi siamo inclini al pacifismo, all’ecologia, al femminismo e ci piace pensare che in passato siano avvenute certe cose; nell’Ottocento la visione era diversa e ci si immaginava situazioni diverse. Quello che sappiamo con certezza è che c’è un 2% di Dna neanderthaliano, il resto non lo possiamo sapere con certezza.

Ma questo Dna neanderthaliano può avere avuto un ruolo nell’evoluzione di Sapiens?

Certamente e questo è vero per i Neanderthal in Europa e per i Denisova in Asia, che erano un’altra popolazione. I Sapiens arrivati dall’Africa erano ad esempio meno protetti contro i patogeni locali rispetto ai Neanderthal ed è quindi possibile che quel 2% di Dna che troviamo oggi sia stato fissato dalla selezione naturale proprio perché conferisce una qualche protezione dai patogeni. Ricordiamoci anche che non tutto il Dna ha una funzione: quello dannoso viene generalmente eliminato dalla selezione naturale, quello utile mantenuto ma quello inutile può restare, un po’ come una macchia su una camicia.

Durante la pandemia si era scoperto che alcuni geni neanderthaliani aumentavano il rischio del Covid.

Quello che dobbiamo capire è che non ci sono geni buoni e geni cattivi. Ci sono geni che sono vantaggiosi in un certo momento, in certe circostanze, in un certo ambiente. E tutto questo può cambiare: quella parte di Dna, presente in alcune popolazioni, porta a una maggiore suscettibilità al Covid ma forse, in passato, portava a qualche vantaggio.

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